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Maspero | Avere cura di noi

Piange la signora. Finalmente si concede di perdersi nel pianto. Le lacrime le scorrono grevi lungo il volto inclinato, seguono l’incavo del suo viso, fanno una leggera curva dopo lo zigomo, e poi con un salto atterrano pesanti sul suo vestito verde. Il punto dove la lacrima incontra l’abito si scurisce, la stoffa si bagna, un’ombra cala. È li all’altezza del grembo che l’abito diviene verde scuro, perde la sua lucentezza. È li che Nina incrocia le mani, quasi in segno di preghiera, e si sfiora il grembo. Poi alza il volto, mi guarda, anzi mi cerca, forse con il dubbio di non trovarmi ancora li davanti a lei, e quando ha conferma che ci sono, che non sono scappata via davanti al suo dolore, tiene lo sguardo su di me e il suo pianto continua. Le lacrime le scorrono grevi lungo il volto dritto, seguono l’incavo del suo viso, fanno una leggera curva dopo lo zigomo, e poi con un salto atterrano pesanti sul suo vestito verde. Il punto dove la lacrima incontra l’abito si scurisce, la stoffa si bagna, un’ombra cala. È li all’altezza del seno questa volta che l’abito diviene verde scuro, come quando una neomamma perde latte dal capezzolo. Ma questa volta dietro l’abito non c’è vita, il seno dormiente non contiene latte e Nina lo sa. E’ alla tredicesima settimana quando durante un controllo le comunicano che la gravidanza si è interrotta.

Nina è incredula, non si è accorta di nulla, per tutti questi giorni ha continuato a sfiorarsi delicatamente il grembo, a parlare al plurale, a pensare al futuro. A poche persone aveva raccontato della sua gravidanza, pensava di non aver bisogno ormai di nessun altro, c’erano lei, Rocco e il bambino..

Quando il dottore le parla di aborto ritenuto, Nina non può ascoltare, esce dallo studio e cammina. Sa che dovrà fare qualcosa ma non subito, ora come un’urna conserva la sua reliquia. Sente improvvisamente la trasformazione. Il suo corpo, bello, giovane, creativo ora è un reliquiario, conserva un corpo privo di vita, tutto si fa mortifero.

 

Decidiamo di camminare insieme, le sto accanto, prevalentemente in silenzio. Camminiamo lentamente come se stessimo accompagnando un feretro, le dico che dovrà separarsi dalla sua reliquia, che io le starò accanto ai funerali, ma che lei Nina deve affrontare questo dolore per poter un giorno riprovare a sperare. Nina mi dice che vuole salutarlo, ma ha paura. Con un gesto delicato le accompagno la mano sul suo ventre, lo sfiora e sussurra addio.

È difficile dire addio, eppure è l’unico modo, a volte per guarirci. Imparare a dire addio è crescere. È avere cura di noi.

Per Nina trovare il modo per separarsi dalla sua reliquia non è facile, soprattutto quando prova la sensazione di essere lei stessa reliquia: il resto, l’avanzo. In realtà, Nina è proprio ciò che resta di vivo, che sopravvive. E Nina sopravvive anche grazie a chi accanto a lei innalza il feretro e intona un requiem.

A casa infatti Rocco aspetta, non sa cosa dire, pensa di non avere il diritto di dire nulla, pensa di non poter capire tutto e forse in parte è così. Il requiem in D minor invade la stanza, anche Rocco soffre. Si immaginava già steso sul divano con il suo bambino appoggiato sullo stomaco, stare li a osservare il movimento dei respiri che lentamente si coordinano e diventano uno solo. Ora il suo respiro è irregolare, fa quasi fatica, come se il cuore pompasse meno sangue nell’aorta perché ha perso le sue forze. E si, anche Rocco prova male al cuore e trova ingiusto non avere nulla da poter accarezzare. Raggiunge Nina, le poggia la mano sul grembo. Le lacrime le scorrono ora veloci lungo il volto, seguono l’incavo del suo viso, fanno una leggera curva dopo lo zigomo, e poi con un sussulto atterrano sul suo corpo, riempiono quella piccola depressione formatesi tra l’osso della clavicola e lo sternocleidomastoideo, lì un raggio di sole si frammenta e si intravede un piccolo delicato arcobaleno.

 

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