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Peli | Custodire L’oscurità

dalla sezione LA VOCE IN FONDO:

Nell’esercizio della funzione vocale sento il tuo amore mai esplicitato a parole. Si evince già nell’emissione del suono, e conoscendo la tua predilezione per le tortuose sintassi e i particolareggiati resoconti, il tuo amore si amplifica nelle fricative dove va a lavorare la lingua, poi negli incisi modulati secondo protocollo, e in ultima istanza nelle citazioni che solo noi due possiamo cogliere. Poi, si aggiunga, che nel camuffare scherzoso delle sonorità, quel deridere il nostro piccolo linguaggio, quel sovrapporre sensi ridicoli al nostro tragicomico ingabbiante linguaggio, mentre si fronteggiano due entità, ovvero la pressione con la quale l’aria espiratoria preme contro le corde vocali e le resistenze che la glottide oppone al suo passaggio, così, quando le resistenze vengono vinte, il ciclo vibratorio prende inizio, mantenendosi con amorevoli raggiustamenti continui del delicato equilibrio sino al termine della corrente aerea, e all’abduzione inspiratoria e sessuale, e ciò succedeva tutte le notti a ogni nuova inspirazione. E poi l’evento si ripeteva.

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Incapacità di esprimersi mediante la parola detta o scritta, o di comprendere il significato delle parole dette o scritte da altri, dovuta ad alterazione, godimento, prostrazione, eccitazione, possessione acuta, estroflessione, sospensione di ogni giudizio sulla natura delle cose non rappresentabili e assedianti, pervicacemente vive con la loro aspra voce: l’anomia come condizione esistenziale.

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Ci chiedevamo se sarebbe mai stato possibile recuperare la tua voce lasciata cadere in fondo, transitata nei lugubri avvicinamenti dell’orizzonte, nei bui attraversamenti dei limiti che semplicemente l’epifania ti aveva affidato, e nel linguaggio del tuo rispetto tu eri completamente te stesso, il linguaggio dei tuoi gesti dolci e flebili come fossero di un insetto, la fragilità dei tuoi gesti ti rendeva invisibile ma eri incrollabile nei gesti quando cadevi, quando mangiavi e a ritroso nel tempo ucciso nei palleggi alla Rumenigge, nelle pochissime parole pronunciate, incrollabile nella mitezza di un muto avresti salvato la vita agli spericolati. Ho qui ancora la tua carta d’identità, papà, quando ti serve te la porto, sta docile e assillante in un libro che duramente mi tiene compagnia.

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Il passaggio dalla forma fonologica astratta al processo effettivo di produzione verbale prevede il mantenimento della rappresentazione fonologica in un magazzino temporaneo, arredato con i nostri disturbi bianchi e azzurri, e con gli oggetti comprati di recente, i mobili fatti fare su misura, i disturbi del comportamento, l’immarcescibile presunzione della gente con quel sorriso che non trattiene (ah, la cupezza della gente scarsamente empatica, prodigiosamente egocentrica! Ah, in certa poesia e in certe relazioni così fredde, i versi pretenziosi e formali come esatto specchio dell’incapacità di vivere, e scaldarsi a vicenda col sole!). Restiamo dall’altra parte della strada a controllare se la vita scivola anche nel mutismo caloroso, nelle fratture del processo affettivo, così tenute strette come una volta, e per caso, nonostante tutto, guarite: le parti mancanti di un segnale verbale degradato sono tutte ricostruite.

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L’esperimento consisteva nel far ascoltare a questi soggetti per un mese un’ora al giorno suoni fortemente striati, fortemente zebrati, poi si passò ai suoni stirati, e il linguaggio lisciato e successivamente allungato e inturgidito veniva poi progressivamente riportato alla normalità, dove per noi si prodigano le compattate costellazioni del dolore, e l’attiguo piacere veniva lì accorciato e accartocciato mentre le zebrature delle commesse in minigonna aggiungevano una certa peccaminosa impressione nel lobo temporale, dopo un mese d’addestramento i soggetti recuperavano un’oscura voce, e dopo un anno di comprensione del linguaggio si sentivano poeti addormentati sotto il tiglio, e poi, risvegliati nella luminescenza, computavano errate correzioni di una forma linguistica.


dalla sezione SEGNALI:

Quando tutto finirà non esisteranno pagine bianche, non conosceremo più l’ansia di riempirle, non riusciremo più a decodificare i nostri pensieri, e non diventeranno concetti. Il nostro flusso di coscienza, fin troppo amato, che ci ha permesso, persino, di sovrapporre immagini e di abbellire gli aspetti più truci della realtà, non esisterà più. L’effetto collaterale sarà lo sfinimento del pensiero e nessuno riuscirà più a parlare tra sé e sé. Perennemente estroflessi, proprio perché impossibilitati a soddisfare l’innato desiderio di contatto fisico, gli uomini si realizzeranno unicamente attraverso i loro gesti, e le parole serviranno soltanto a una comunicazione orale primitiva. Non ci sarà spazio per l’interpretazione. Le persone si abitueranno col tempo a una comunicazione schietta e necessaria, o sarebbe meglio dire: vitale. Ma potrà questo nuovo ordine essere terreno fertile, nel futuro lontano, per la poesia? No, meglio non commettere gli stessi errori. Il pensiero inquina. Anche oggi, non ancora malati, non ancora guariti, siamo al limite delle nostre possibilità, ogni parola lotta per la sua necessità, e soccombe snaturandosi.


dalla sezione LA CASA COL GIARDINO:

Scrivo versi da venticinque anni. Un percorso verso l’insignificanza. La vita non è diventata un poema epico. Scrivo accanto a una siepe di cosiddetto falso gelsomino, ne tocco le foglie vellutate e morbide e sorrido di questo sensuale rigoglio, buffo nella minimità della scena: un essere umano inespresso, un vegetale responsabilizzato che ci impedisce di vedere cosa succede di là: sento solo la vocina di un papà che spiega qualcosa alla bambina, sembra una lezione di inglese. Il sole scotta, è un piacere inevitabile, la piccola impara parole fascinose che non le serviranno a nulla se non a essere una bambina che impara. Mi tratto così, custodisco l’oscurità anche qui al sole. Se serve una parola sola non ce ne vogliono due. La lista è una ripetizione della stessa cosa fino al prossimo circolo vizioso. Venticinque anni fa mi sarebbe piaciuto avere un libro di botanica che mi spiegasse l’esatta conformazione di questa fogliolina, ora vorrei vederci ancora più chiaro e mi arrendo: dei suoi palpiti d’amore, di quanto potrà resistere… non me ne voglio occupare. C’è un foglio di carta nero che separa ogni mio pensiero.



(I testi sono tratti dall’opera LA VITA IMMAGINATA, di Giovanni Peli, Lamantica Edizioni 2021)

Photo by Natalya Letunova

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