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Vedruccio | Un giorno mite, di sole pieno

C’è sempre , intorno alla metà del mese di Febbraio, un giorno mite, di sole pieno. Il giardino del palazzo dove lavoro si riempie di fiori gialli, che gli allievi della mia scuola di teatro strappano in corsa per farmene dono. Ad alcuni di loro ho smesso di tenere la mano e oggi, a dodici anni, per la prima volta mi parlano di malinconia. Non sanno dirla appieno, tremano loro gli occhi mentre si fermano ad ascoltarla. Ma meravigliosamente sicuri mi svelano il loro antidoto a questa quasi tristezza : il nostro teatro, nel nome di Arlecchino. Questo pensiero conforta le ipotesi della ricerca che ho svolto negli anni a teatro: possono Arlecchino e le altre maschere della grande tradizione della Commedia dell’Arte (e non solo) sanare le derive di un approccio mentale alla vita, l’aridità del troppo dubitare, il conseguente solipsismo?

Image Credit: “Relation ships” | Sergio De Riccardis | Trani 2017 | Silver film scan, print on Canson Baryta

Il duro lavoro con le maschere, fisico, diretto, ritmico, reattivo e collettivo, e soprattutto il lavoro che l’attore deve compiere per sostenere la forza archetipica di una maschera,o di un personaggio in generale, sono un valido strumento pedagogico? Possono contribuire ad un miglioramento delle nostre vite?
Oggi i ragazzi confermano le mie ipotesi con queste parole:
<< Il Teatro è diventato una passione che mi aiuta a sentirmi meglio, perché qui posso continuare a giocare. Nella mia quotidianità invece, ora che ho dodici anni, si è fatto tutto più complesso, anche i modi di divertirsi. Vedo il mondo e sento malinconia e tristezza. Attraverso il teatro, invece, vedo le cose colorate. Qui mi sento a casa. Se una mattina mi capita di entrare in sala con troppi pensieri, dopo poco questo lavoro me li porta via >>.

Il gioco e l’azione quindi spingono alla presenza totale nel qui ed ora, contrastando la rigidità del rimuginio interiore. Il teatro , infatti, obbliga a relazionarsi in ogni momento con l’Altro da sé.

A questo proposito, mi parlano di che cosa significa per loro il rapporto con l’Altro, con l’identità del personaggio che attraversano. “Qui, a teatro, posso vivere le storie scritte attraverso la mia pelle. E’ troppo bello! Ho un corpo!
Con la maschera neutra che mi copre il volto, mi accorgo che ho le braccia, le gambe e che le posso muovere e muovere in maniera diversa. Nella vita quotidiana, lo faccio meccanicamente, ma non me ne accorgo. Inoltre, sento che i personaggi che vivo mi insegnano qualcosa. Per esempio Arlecchino, sempre vivace e festoso, mi obbliga ad essere un po’ come lui veramente, a trovare nella mia persona qualcosa di lui. L’aviatore de Il Piccolo principe mi ha regalato un senso di libertà e speranza. Guardare con lui le stelle e ascoltare nella loro luce le risa di un amico lontano, mi hanno fatto pensare che dobbiamo vivere con pienezza, sempre, perché la fine è vicina”.

Image Credit: “Sogni nel campetto” | Sergio De Riccardis | Lecce 2014 | Epson Gliclée print on Canson Baryta

Ma l’Altro in teatro è anche e soprattutto il pubblico: la relazione in cui si compie e risuona l’atto scenico.
Ecco che un allievo si porta le mani al petto e opponendo una resistenza fortissima, come se stesse spingendo fuori un peso enorme, lancia le braccia davanti a sé : << Alla fine di uno spettacolo è come se mi fossi strappato un pezzo e l’avessi donato! A questo proposito, ricordo la frase della Luna, protagonista di un racconto che porteremo in scena quest’ anno:

“Regalare la nostra fantasia ci rende immortali”

Ecco, adesso col petto tutto all’indietro, la testa tra le spalle, le guance rosse e ridenti : << E poi, durante lo spettacolo, vedere il viso delle persone felici insieme a me è la cosa più bella >. Distanti un soffio dalla propria infanzia, i miei allievi mi offrono lo spettacolo nascente dei loro pensieri. Forti della loro quasi tristezza, riconoscono già di doverne ostacolare l’eccessiva presenza. Oggi, metà di Febbraio, in questa stanza, sto seduta insieme a loro. Li guardo, li ascolto, mi parlano, mi guardano, ricordo. Siamo un sole pieno.

 

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