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Imprisoned for murder, abduction, slavery, rape, coercion and incest against his daughter Elisabeth imprisoned for twenty-four years in the basement of his house, Josef Fritzl is the text and the ruin of the evil idea, the ferocity that happens when we slip into the loss of control. He is the feeling of unsearchable, of unfathomable, of not filed. He is the preview of the horror in the nocturnal game of pleasure.
But this story is also a plan rippled by endless scalpel blows, heaps of rubble that push against our lives, collapse, rise again to force us to think if the radical evil can be wrapped by forgiveness or only by a desperate sense of impotence. Or increasing the depth, the excavation: where forgiveness is impossible, the only imposition, the only duty are expiation and regret or is everything already too far away, simple bleached matter, a slow and gentle slope in the indecent?
On August 24, 1984, the Rosemarie and Josef Fritzl spouses reported the flight of eighteen-year-old daughter Elisabeth who had left Amstetten, a town in Lower Austria, following a religious sect. It would therefore be a voluntary departure, the second of the girl who two years earlier had tried to escape from home before being returned to the family by the police. On that day of 1984, however, as will be discovered later, Elisabeth had not moved away from home at all but, against her will, had been locked up in the basement by her father Josef. The girl then tells about trying to escape from home, shortly before the kidnapping, and asking the police for help telling them about the first abuses suffered by the parent. Not being believed, her statements fell on deaf ears and she was re-entrusted to the family. As a result of this last episode, the father decided to segregate her by keeping it hidden from the world for 24 years.
Incriminato per omicidio, sequestro di persona, riduzione in schiavitù, stupro, coercizione e incesto nei confronti della figlia Elisabeth, tenuta imprigionata per ventiquattro anni nel seminterrato della sua abitazione, Josef Fritzl è il testo e già il declino dell’idea di male, della ferinità che accade quando scivoliamo nella perdita del controllo. È il sentimento dell’inguardabile, dell’insondabile, del non archiviabile. È l’anteprima dell’orrore nel gioco notturno del piacere.
Ma questa storia è anche un piano increspato da infinite scalfitture, segni come segni di detriti, cumuli di macerie che si spingono contro le nostre vite fino a domandarci se il male radicale possa essere avvolto dal perdono o solo da un senso di disperata impotenza. O ancora, aumentando la profondità dello scavo: dove il perdono è impossibile, è l’espiazione che si impone o tutto ormai è semplice materia decolorata, un declivio lento e dolce nell’indecente?
Il 24 agosto 1984, i coniugi Rosemarie e Josef Fritzl denunciarono la fuga della figlia diciottenne Elisabeth che aveva lasciato Amstetten, una città della Bassa Austria, a seguito di una setta religiosa. Si tratterebbe quindi di una partenza volontaria, la seconda della ragazza che due anni prima aveva tentato di scappare da casa prima di essere riconsegnata alla famiglia dalle forze dell’ordine. In quel giorno del 1984, però, come si scoprirà in seguito, Elisabeth non si era affatto trasferita da casa ma, suo malgrado, era stata rinchiusa in cantina dal padre Josef. La ragazza racconta poi di aver tentato di scappare di casa, poco prima del rapimento, e di aver chiesto aiuto alla polizia raccontando loro i primi abusi subiti dal genitore. Non essendo creduta, le sue dichiarazioni sono cadute nel vuoto e lei è stata riaffidata alla famiglia. A seguito di quest’ultimo episodio, il padre ha deciso di isolarla tenendola nascosta al mondo per 24 anni.
M.M.
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