All’occhio distratto e forse superficiale di qualche passante frettoloso l’imponente mole della millenaria basilica di Agliate, nel cuore della Brianza monzese, potrebbe apparire un ammasso di vecchie pietre. Un edificio antico – certo perfetto dal punto di vista architettonico – ma che si staglia ormai solitario e immenso in un intrico di viottole di una sperduta frazione lombarda. Tuttavia al visitatore curioso e interessato, desideroso di scoprire un tesoro inimmaginabile, la vista della facciata del monumentale reperto di epoca romanica assume ben altro significato. Vecchie pietre, certamente, però trasudanti storia da ogni ciottolo di fiume, sapientemente incastrato da abili maestranze vissute secoli addietro. Vecchie pietre, ma anche testimonianze preziose del passato, troppe volte bistrattato e dimenticato. Vecchie pietre, tuttavia capaci di racchiudere e incarnare i valori storici, artistici, culturali e religiosi di chi le ha messe le une sulle altre. Vecchie pietre, che resistono tenacemente allo scorrere inesorabile del tempo. Vecchie pietre, eppure ammirate ancora oggi, che raccontano, a chi le osserva stupito, la storia del luogo e del popolo che lo ha abitato e lo abita. Un monumento, come la basilica romanica di Agliate, offre una finestra sul passato, aiutandoci a capire gli eventi storici, le tradizioni e le trasformazioni sociali di un’epoca. È un capolavoro di arte antica, creato da artisti e maestranze di talento che sono stati in grado di costruire da cima a fondo un gioiello architettonico destinato a non essere scalfito da secoli e secoli di avvenimenti, a volte cruenti e drammatici, come i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Rappresenta dunque un tesoro capace di definire l’identità culturale della comunità che lo ha fortemente voluto, simbolo di orgoglio e patrimonio condiviso, fondamentale per ricostruire la storia, nonché attrazione turistica di rilievo capace di generale utile benessere collettivo. E che cosa ci narrano queste vecchie pietre incastrate una sull’altra?
Ogni pietra ci offre un dettaglio di una preziosa storia antica che riaffiora particolare dopo particolare: una delle colonne delle navate è un miliario romano risalente all’imperatore Giuliano l’Apostata; alla base della prima colonna di destra, invece, c’è un’intera ara sacrificale con un’iscrizione dedicata a Giove, segno del riuso di vecchi materiali pagani nella costruzione dell’edificio cristiano; altresì, il capitello della penultima colonna di sinistra è appartenente a un tempio antico dedicato al dio Nettuno o a una divinità fluviale.
Ogni pietra ci racconta, poi, tante piccole storie di personaggi che emergono dalla storia universale dell’umanità. Quella, per esempio del presbitero Garibano, che decide di dedicare alla madre Amiza una lapide funeraria, la più antica della basilica, la cui presenza è attestata sul territorio brianzolo fin dal VI secolo, quando cioè nella circoscrizione territoriale rurale di origine romana di Agliate, che sorgeva presso il guado sul fiume Lambro, si decide la creazione della comunità cristiana. Comunità che, con i suoi abitanti, cresce nell’arco di poco tempo fino a edificare la chiesa e il battistero, il primo luogo in Brianza dove storicamente è attestata la somministrazione del sacramento del battesimo. O ancora, la storia del lector Albino, figura che faceva parte dell’antica gerarchia ecclesiastica con il compito di leggere le Scritture. A lui è dedicata la lapide funeraria fissata alla parete meridionale della basilica. Non da meno il ricordo del presbitero Giovanni che nel 1065, come conferma un documento, dona alcuni beni della basilica a una chiesa monzese.
Ogni pietra ci testimonia, infine, avvenimenti importanti che hanno avuto luogo all’interno di questo vecchio, ma alquanto prezioso, edificio religioso. Come, ad esempio, la visita pastorale del 1578 del cardinale Carlo Borromeo che prende atto del tentativo di porre rimedio allo stato di incuria in cui per un certo periodo la basilica era precipitata; o quella di uno dei suoi illustri successori, Federico Borromeo, che decreta la costruzione di una sagrestia, di una casa parrocchiale, del campanile e l’intonacatura degli ambienti. Data epica è dunque il 25 Aprile 1838, quando il cardinale Karl Kajetan von Gaisruck decide di sopprimere la pieve di Agliate come entità territoriale, raro caso in cui una pieve viene cancellata prima del sinodo della chiesa, datato 1972, del cardinal Giovanni Colombo che abolisce tutte le altre ancora esistenti.
E se ancora qualcuno è propenso a credere che queste “vecchie pietre” non contino nulla, sappia che senza di esse perderemmo la memoria storia, l’identità culturale, il patrimonio artistico, il risvolto economico e sociale che spesso da esse deriva, l’educazione e all’appartenenza al territorio, un punto di riferimento religioso e un luogo di incontro. Ciascuno di noi si renda conto che il “vecchio” non è, per natural conseguenza, da considerare desueto, antiquato o fuori moda. Ciascuno di noi faccia tesoro del significato che le “vecchie pietre” assumono ai giorni nostri. Ciascuno di noi imprima nella mente e nel cuore che è nostro compito preservare i monumenti, al fine di trasmettere alle future generazioni la storia e la cultura di una civiltà, la nostra, che altrimenti rischierebbe di scomparire.