Calvino | Salento
Iprofumi marini si mischiavano agli aromi del caffè con il latte di mandorla dei chioschetti. Torre dell’Orso era, come al solito, invasa dai turisti vacanzieri. La spiaggia emanava calore, poiché erano le nove del mattino di un inizio agosto, e il rumore di fondo era già alto, grazie al vociferare di bagnanti e bambini e alla musica che usciva dagli altoparlanti.
I due amici liberarono i kayak dai carrelli, che nascosero presso le sdraio dei loro conoscenti, poi sollevarono le imbarcazioni una alla volta e le posarono nell’acqua bassa e calda della riva.
Il mare era ancora calmo e la risacca ondeggiava dolcemente lungo la spiaggia. Fu facile sedersi, chiudere il paraspruzzi, una gonnellina di nylon o di neoprene che evita l’ingresso dell’acqua nelle canoe, e iniziare a pagaiare verso le “due sorelle”, la coppia di faraglioni che caratterizzano quella baia. La prua dei kayak sollevava silenziosamente l’acqua cristallina, donando varie sfumature alla tonalità smeraldine dominanti.
La lieve brezza di terra portava con sé i profumi balsamici dei pini marittimi, dei fiori di cappero e di un altro sentore, quasi “umami”, che sprigionava da una pianta serpeggiante, dalle foglioline verde argenteo, diffusa lungo tutta la costa salentina.
Raggiunti i due faraglioni, decisero di deviare vero Est, verso la punta del “volo di Aracne” per proseguire poi verso Leuca. La scogliera imponeva la sua presenza con pareti giallastre ripide e vertiginose. Lo spettacolo roccioso pareggiava quello sommerso, l’acqua trasparente permetteva di vedere il fondale che scorreva veloce sotto la chiglia. I due iniziarono a giocare lungo la costa frastagliata rasentando il più possibile le rocce, anche dopo aver virato a Sud, alla fine del promontorio. Da lì la costa presentava uno scalino piatto, una specie di bordo roccioso a protezione delle pareti verticali. Le stesse erano spesso interrotte da buchi e antri di varia dimensione, alcuni posti in alto, altri a livello del mare, come la “grotta del Trucap”, meta di bagnanti. Tutta la costa salentina è costellata di grotte, le più famose, come la “Zinzulusa”, sono mete turistiche rinomate, altre, come la “Poesia”, sono accessibili sia dal mare che da terra e offrono uno spettacolo suggestivo e intimo. Il fenomeno carsico è diffuso in tutta la Puglia grazie alla presenza di rocce calcaree o calcareo sabbiose, come quelle della costa di Otranto. Alcune grotte hanno un ingresso subacqueo che le ha preservate dall’invadenza umana moderna, alcune hanno conservato tracce pittoriche del paleolitico, come la “grotta dei cervi” o la “grotta del cavallo” e sono importanti per comprendere il nostro passato remoto.
Giunti alla “spiaggia delle ossa di pietra”, dove l’ennesimo antro faceva bella mostra di sé, la scogliera si fece nuovamente prossima al mare, la navigazione divenne più interessante per l’alternarsi di insenature e scogli, che interrompevano il rettilineo precedente. Nelle baie, il mare sfumava tra il turchese e lo smeraldo e l’acqua appariva così trasparente da dare l’illusione che le imbarcazioni stessero fluttuando nell’aria.
Arrivati ai faraglioni di Sant’Andrea, nei pressi della famosa torre, i due si dedicarono a rimirare le pareti, formate da strati alternati di sabbia e ciottoli, da cui spuntavano fossili di ricci di mare e di conchiglie di forma straordinariamente moderna, quasi che il tempo avesse voluto congelare in un museo all’aperto quanto viveva nascosto sott’acqua.
Il mare era piatto, dato che la brezza era ormai quasi assente, in attesa dell’inversione termica che avrebbe portato il vento dal largo e innalzato l’onda di traverso tipica di queste zone. Il caldo si faceva sentire, una buona bevuta era d’obbligo per non cadere nella disidratazione, comune quando si è circondati dall’acqua e si sottovaluta il senso della sete. L’acqua delle borracce si era mantenuta ancora fresca e la sensazione di ristoro fu impagabile, come una fresca scossa che riattiva i neuroni nella scatola cranica e permette al cervello di focalizzare sé stesso e l’ambiente circostante.
Era tempo di riprendere a pagaiare, sempre verso Sud-SudEst, seguendo le piccole baie che si insinuavano leggermente nella scogliera, mantenendone la possanza, ma articolandola in scorci magnifici.
Che sensazione! Alla loro destra la scogliera, a sinistra il mare aperto.
Perché si naviga? Per svelare l’ignoto, per rispondere a quell’appello irrinunciabile di scoperta, un istinto profondo legato alla legge di sopravvivenza, la ricerca di nuove e migliori risorse. L’uomo moderno occidentale non ha più necessità, per il momento, di rispondere ai bisogni primari, ma due secoli di industrializzazione non hanno modificato la natura specifica, che gli ha permesso di vivere e prosperare in ogni parte del pianeta, anche in condizioni climatiche avverse. Il marinaio, come l’alpinista e l’esploratore, sente in modo impellente l’esigenza di spingersi oltre il limite del tangibile immediato. Negare questo bisogno sarebbe come negare la propria essenza e cadere nell’apatia e nella disperazione.
Perché si naviga a pagaia? Perché il movimento fisico è vitale, perché il pagaiatore, anche il più chiacchierone, è un amante del silenzio, deve raggiungere il proprio limite senza aiuti meccanici. Perché la rotta percorsa è quella che è stato in grado di fare da solo, con il proprio fisico, le proprie forze e la propria mente. Perché le onde vengono cavalcate con le proprie capacità, perché è possibile rovesciarsi, ma anche riportare il kayak in posizione senza uscirne, o, eventualmente, riportarlo in posizione e rientrare da solo o con l’aiuto di un compagno di navigazione. Pagaiare è libertà della mente e del pensiero, è concentrazione assoluta per potersi muovere correttamente e interpretare l’ambiente circostante. È Libertà con la L maiuscola.
Dopo Sant’Andrea il profumo balsamico dei pini marittimi divenne ancora più intenso, grazie alla macchia mediterranea più fitta e lussureggiante. Oltrepassarono la Specchiulla e decisero di prendersi un bagno nella piscina naturale di Frassanito, vuoi perché sarebbe stato un delitto non farlo in tanta bellezza, vuoi perché dopo un po’ sentivano la necessità di rinfrescarsi. Tirati in secco i kayak, tolti i salvagente e le magliette tecniche, si tuffarono nell’acqua smeraldina. Poi presero maschera e pinne e si dedicarono all’osservazione del fondale. Saraghi e Occhiate erano ben visibili, anche se mantenevano una distanza di sicurezza importante, le alghe e le spugne coloravano di chiazze variegate le rocce del fondo, che si alternava a distese di sabbia. Purtroppo la posidonia era molto più scarsa di un tempo, quando rappresentava la maggior parte della vita vegetale: distese infinite di foglie verdi e lunghe che ondeggiavano sommerse costituendo la prateria sottomarina. Dopo aver ammirato ancora un po’ i pesci variopinti delle acque basse, come donzelle e labridi, uscirono dall’acqua e si distesero ad asciugare al sole. Era presto per un pranzo, ma a quel punto valeva la pena di prendere uno spuntino veloce, innaffiato di acqua fresca.
Impellente venne il desiderio di rimettersi per mare. La brezza stava cominciando a spirare e ricordava che erano nella “terra te lu ientu”, la terra del vento. La costa ora digradava piana, la scogliera aveva lasciato posto alle dune sabbiose, ricoperte dalla macchia mediterranea. La vista delle dune naturali dava al paesaggio un aspetto selvaggio, non più primordiale, data l’alta frequentazione di bagnanti, ma riportava alla mente i versi dei canti epici, ove si descrivono le rive mediterranee e il mirto che le ricopre.
La pagaiata divenne più tecnica, mentre le onde al traverso, si alzavano. Il vento aveva infatti rinfrescato e la superficie del mare era punteggiata di spuma bianca. L’animo si fece allegro. Era certamente più divertente navigare nell’onda. L’innalzarsi sulla cresta e il discendere nel cavo, ritmicamente, dona all’andare in kayak la ragion d’essere. È l’uomo che si avventura nell’elemento liquido con il massimo rispetto, ma non si arrende alla sola contemplazione dalla riva, come farebbe il poeta, lo cavalca divertendosi, gonfiandosi di euforia, ma restando umile a sufficienza per non cercare il pericolo inutile.
Una caratteristica del Salento è la costa sabbiosa: in molte parti d’Italia appare monotona, qui risulta attraente. La lunga lingua di sabbia che da Frassanito agli Alimini diventa candida, sebbene invasa da turisti, dona all’acqua sfumature turchesi caraibiche.
La costa divenne nuovamente frastagliata dopo Baia dei Turchi. Il mare frangeva sugli scogli, e il fondale donava tonalità di blu intenso omogeneo, nei punti dove sprofondava velocemente nell’abisso.
Infine traguardarono il Faro Bianco, misero i kayak col vento in poppa e surfarono le onde fin dentro la baia di Otranto, che vuole contendere, insieme a Castro e a Porto Badisco, il primo approdo di Enea in Italia. La mente divagò sui versi di Virgilio:
“Soffiano le invocate aure, e già s’apre
più presso il porto e il tempio appar su l’arce
di Minerva. I miei calano le vele
ed al lido dirigon le prore.
Il porto de l’euròo flutto a riparo
curvasi in arco; spumano del salso
spruzzo le opposte rocce, esso si addentra;
in doppio muro abbassano i turriti
scogli le braccia e si fa indietro il Tempio.”
Passarono davanti alla città vecchia, al largo del “lungomare degli Eroi”, per ammirare il rosa degli edifici in pietra leccese e sentire l’afrore delle numerose pizzerie e panetterie tipiche, per poi tornare verso le spiagge e sbarcare oltre le barriere frangiflutti, dove li aspettavano un paio di amici con l’auto.
Dopo una veloce doccia in spiaggia ed essersi cambiati, la giornata non poteva finire che con un aperitivo vista mare.
“Perché c’era così poca posidonia?” disse Andrea.
“Per il riscaldamento climatico, ma anche per la pesca”, rispose Fabio, “ma qui il problema sono i ricci di mare. Sono stati prelevati così intensamente che ne è vietata la pesca per tre anni, anche se la legge è contestata a vari livelli. Una trentina di anni fa se ne trovavano così tanti che tutte le rocce erano colorate da quelle sfere rivestite di spine accuminate. Purtroppo la specialità della pasta con i ricci e le uova stesse, che hanno un sapore eccellente anche da sole, ne fanno un’attrattiva golosa”.
“Speriamo che si riprendano!”
“Lasciandoli riposare potrebbe essere. La natura ha buone capacità di ripresa, se l’uomo la lascia fare. In tutti i cosiddetti “santuari del mare”, le aree protette di vario genere, si osservano progressi rapidi, che si estendono anche alle aree limitrofe non protette”.
Con questi pensieri positivi in testa, discussero del piano di navigazione per il giorno successivo e per una serata all’insegna della “pizzica” e del divertimento.