Camurri | Maigret e l’assenza di un metodo
Jules Maigret è uno dei personaggi più famosi e amati di tutto il Novecento. Infatti, oltre a essere il protagonista in ben 75 romanzi, il celebre commissario del Quai des Orfèvres parigino è apparso in numerosissime trasposizioni cinematografiche e soprattutto televisive di tanti paesi: memorabile è rimasto per esempio in Italia lo sceneggiato interpretato negli anni sessanta e settanta da Gino Cervi, e alla cui realizzazione collaborò anche il giovane Andrea Camilleri.
Ma quali sono in sintesi gli elementi che rendono così peculiare la creatura letteraria di Georges Simenon, le cui opere sono state tradotte in più di cinquanta lingue e sono state vendute in centinaia di milioni di copie? Innanzitutto, l’assenza di un vero e proprio metodo di indagine.
Lo stesso Maigret, quando gli viene chiesto in cosa consista il suo metodo, risponde di non avere nessun metodo. A dire il vero, il suo modo di procedere nelle inchieste è sempre quello di immergersi, di ambientarsi, di immedesimarsi oserei dire, nei luoghi in cui i delitti sono stati commessi (spesso aiutato dagli alcolici, di cui fa largo uso, per voler ricorrere a un flebile eufemismo), per cercare di cogliere ogni singolo aspetto di quella particolare atmosfera. Visto il ruolo importante che ricopre, egli potrebbe benissimo delegare ai suoi sottoposti le indagini “sul campo”; invece, preferisce andare lui di persona in questi luoghi, per parlare con tutte le persone che ci vivono o ci lavorano, per cogliere, anzi per vivere, ogni singolo aspetto della vicenda, e soprattutto per comprendere i risvolti umani del caso in questione, arrivando in questo modo a trovare le motivazioni del delitto, e quindi a individuare il colpevole o i colpevoli.
Tuttavia, la più grande novità apportata da Georges Simenon, quasi cento anni fa, al classico romanzo poliziesco “all’inglese” è forse un’altra: nei romanzi in cui compare il suo celebre commissario, e anche in molti di quelli che vengono convenzionalmente definiti romans durs, egli introduce spesso personaggi e ambienti umili, profondamente diversi dalle classi sociali elevate rappresentate nelle opere precedenti e coeve degli altri autori. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione” di questo particolare genere letterario che è il giallo, che dal XIX secolo aveva mantenuto alcuni stilemi e alcune caratteristiche che si erano come cristallizzati, e che parevano davvero immutabili.
Quando si fruisce un’opera letteraria, è sempre forte la tentazione di “leggere” le parole e i pensieri di un personaggio come se fossero quelle del suo autore. Nel caso di Maigret, almeno in un aspetto – vale a dire la sua incrollabile monogamia, nonostante sia messo costantemente alla prova da tanti personaggi femminili – c’è una forte discrepanza con la vita dello scrittore belga, noto per le sue innumerevoli avventure e scappatelle coniugali, vere o millantate che fossero.
In due tratti distintivi c’è invece totale sintonia tra personaggio e autore: la passione per la gastronomia – a proposito: sono stati addirittura scritti dei libri sulle prelibate ricette della signora Maigret, l’affettuosa moglie del commissario – e la pipa, di cui è un fumatore accanito non solo il commissario, che ogni mattina la sceglie nella sua personale collezione, ma anche il suo creatore, come testimoniato da moltissime foto che lo ritraggono con la pipa all’angolo della bocca.
Due parole anche sulla ricezione delle opere del Nostro. Per decenni il romanziere belga è stato osteggiato e snobbato dal cosiddetto Establishment letterario, che gli rimproverava soprattutto, quasi che lo scrivere molti libri sia da considereare come una colpa, la sua straordinaria “prolificità” in fatto di romanzi, racconti, saggi e articoli di giornale. Basti pensare che solamente in questo secolo – e quindi post mortem – Simenon ha visto pubblicate certe sue opere in alcuni volumi della Bibliothèque de la Pléiade, la prestiogosa e autorevole collana di Gallimard.
A mio avviso, il pregio principale delle opere con Maigret è che, a differenza dei classici romanzi polizieschi, il lettore in genere non vuole arrivare il più velocemente possibile alle ultime pagine per scoprire la soluzione del mistero: al contrario, arrivo a dire che queste opere sarebbero altrettanto interessanti e pregevoli anche se non ci fosse un colpevole da identificare, o un caso da risolvere, perché l’acuta analisi psicologica dei personaggi, e la minuziosa descrizione degli ambienti rendono comunque questi libri degli ottimi romanzi.
Mi sembra opportuno a questo punto concludere il mio breve intervento citando le parole di Leonardo Sciascia, che così scriveva in un saggio del 1961: “… e forse anche qualcuna delle avventure del commissario Maigret ha più diritto di sopravvivenza di quanto ne abbiano certi romanzi che, a non averli letti, si rischia di sfigurare in un caffè o in un salotto letterario.”
Photo by Ergita Sela
guido
Grazie, ottima disanima. E mi permetto di confutare, almeno in parte il grande Sciascia: più che qualcuna delle avventure del Commissario Maigret “ha più diritto di sopravvivenza di quanto ne abbiano certi romanzi che, a non averli letti, si rischia di sfigurare in un caffè o in un salotto letterario.”