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Guida | Non più segreta l’alba

NON PIÙ SEGRETA L’ALBA

Nessun paese che suoni,
la pietra nel sale, il frutto che mangiano i grilli,
dove i morti, di notte,
traducono e, a turno, vegliano gli aratri. I lupi,
quei silenzi. Gli anni cadono avanti.
Tu vai e non torni. Chiami l’alba che ti raccoglie,
l’orto del primo vederci, la parola muta
nel mozzicone che vuol dire “Vieni”.
Sono qui, un dialogo intessuto tra le foglie,
il guizzo del tuo amoroso che non perde e non toglie.
Ospitarmi in segreto nei tuoi capanni,
la nuca ferma, l’odore di roccia
delle mani. Mi apri una strada e mostri
la natura serena. In un sorriso i giorni si uniscono,
l’abbraccio, il gioco serio
del sesso, quando mi lasci, improvviso,
a un cammino promesso.

 

G. C.

Giovanni è Sergio Citti, gli stessi occhi,
le stesse labbra. Lo sguardo virile del contadino
che strappa radici e affronta bestie
si ricopre di un breve riso infantile, teneramente.

Giovanni torna di sera. Chili di arance venduti
per strada, un dialetto schivo, una timidezza
tra spavento e misura. Viene qui a volte. Ci spogliamo.
Si sdraia. Giocano le mani, è il mio modo di tenermi
nel buio, lui, col suo petto bruno, caldo. Chi ara
prende tutto il calore
che esce dalla terra – dice, e si apparta  sotto un faggio,
tra le vecchie tamerici del torrente.

Giovanni accetta l’errore, non chiede,
schierato nel canneto che indica la palude,
nell’irrealtà del sesso.

Tornerà stasera, con l’erba tra le scarpe chiodate,
dopo i pascoli. Con un breve sorriso entrerà tra i padri.
Scruterò il suo viso in un silenzio di creta e cardi.

Si tocca l’erezione,
si spoglia, non dice niente.
Le parole svuotano il gesto.
Un suono di conche saline e di fratte,
l’abitudine a parlare col bestiame. Stringe in alto
il pugno e dice ” serve per mungere”. Poi si riveste e piano
si disperde, come un respiro, serenamente.

 

LUCO

Alle bandiere fredde
di febbraio il tempo si ferma e trincano
tutti. Le brocche e i bicchieri si svuotano.
I doni sono tracce di occhi.
Altri doni sgombrano il tavolo e noi abbiamo una
visione calcinata, un biancore scheggiato di fossili.

Torna, imperante, l’ombra,
la parola incavata a sera. Forse
verranno tardi i bevitori gagliardi, una posa
tra falconieri e giullari. Eppure resta una statuaria
sotto il vuoto di una fuga noiosa. E, nel gelo,
dietro le porte inchiavardate, si masturbano, folli
di una notte vorticosa e stellata
che si aggira per Via Muro Barbieri,
le mani in tasca, il vino nella grotta.

(da “Il tassidermista”, di prossima pubblicazione per Terra d’Ulivi)

 

 


Photo by Jakob Owens

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