Interview | Antonio Prete
Riproponiamo una conversazione, già apparsa sulla rivista l’immaginazione (329, maggio-giugno 2022, Manni Editori) tra la nostra editor Carla Saracino e il poeta e critico Antonio Prete a proposito del suo libro Carte d’amore (Bollati Boringhieri 2022). L’opera è una colta e appassionata indagine sul sentimento amoroso interpretato nelle sue articolate declinazioni e nella storia della letteratura mondiale.
Carte d’amore, edito lo scorso anno da Bollati Boringhieri, è un viaggio nel sentimento dell’amore evocato attraverso le grandi testimonianze della letteratura e delle arti. Quando è nata l’idea di dare voce a un’opera così composita e quanto vi abita del suo lungo lavoro di critico e scrittore?
Studiare la lingua dei sentimenti, le forme della loro rappresentazione, è un campo di ricerca che non ho più abbandonato dopo libri come Nostalgia, del 1992, e Prosodia della natura, del 1993. In seguito, anche nelle pagine di altri saggi mi è accaduto di riflettere intorno al “sentire d’amore”: si trattava, ogni volta, di brevi escursioni. In questo saggio, che nel suo tempo di scrittura si distende lungo sei anni, di fatto tornano temi che mi hanno occupato precedentemente, anche in corsi e seminari tenuti a partire dai primi anni Ottanta, ma l’oggetto precipuo dell’indagine è la lingua dell’amore. Come dire l’amore: si trattava di ripercorrere – nelle narrazioni, nella poesia, nell’arte – le forme e i modi di questa domanda.
Leggendo il libro, si riceve l’impressione di avere per le mani la mappa di un sentimento dello “spazio amoroso”; la stessa parola “Carte” mi fa pensare alla Carte du Tendre, la Carta del Paese di Tenerezza illustrata dai romanzieri della Parigi del ‘600. Una sorta di topografia dalla quale farsi guidare e incantare…
Per il titolo, più che al Pays de Tendre del romanzo seicentesco francese, pensavo alla raggiera di significati della parola Carte: mappe, certo, ma anche carte della scrittura, manoscritti, carte da gioco (la sfida, l’azzardo, la sorte, il caso), carte dei tarocchi (quelle sull’amore), lettera d’amore (che era detta carta d’amore, un tempo)… A proposito di “tendre”: in effetti il sentimento sul quale avrei voluto indugiare di più è la tenerezza. Fino a poterla vedere come forma della vera prossimità che chiamiamo amore. La tenerezza come lingua mite della passione. Relazione che unisce intimità e cura, dolcezza e leggerezza del desiderio. Musica dell’incontro.
Il libro fa luce su diversi aspetti dell’amore e ne approfondisce le molteplici diramazioni di senso e di memoria. È l’atto ermeneutico che induce a indagare ad ampio spettro l’oggetto del proprio interesse?
Certo, la posizione di lettore – il lettore come esegeta, cioè come uno che cerca di portare la parola del testo nella vita – è quella dalla quale nasce la scrittura di un saggio. Se è inteso appunto come essai, cioè fatto di tanti assaggi, di escursioni, indugi. In questo caso l’oggetto è un azzardo: proprio l’amore, che Leopardi chiamava “la più dolce, più cara, più umana, più potente, più universale delle passioni”. Una trattazione che non poteva che procedere per figure: l’apparizione, la tenerezza, la seduzione, la gelosia, la confidenza, il nesso amicizia-amore, eros e agape, e così via. Un luogo precipuo – il paesaggio dell’amore – si è disteso nella seconda parte. Un classico, il Simposio di Platone – si è disposto tra le due parti, come intermezzo. Lungo il tempo della scrittura non mi ha mai abbandonato la consapevolezza di stare nel frammento, nella parzialità, nel margine. Non si può scrivere un libro sull’amore, o sull’infinito, ma solo si può raccontare di qualche loro riverbero restando sulla soglia di un’avventura conoscitiva.
Si inizia con una meditazione sull’apparizione. L’apparizione della persona amata innesca la simultaneità degli eventi. Dal suo incedere, l’istante genera lo sguardo. Quale relazione esiste tra sguardo e movimento? Come si intrattengono con il tempo assoluto dell’istante?
La poesia d’amore ha dato grande rilievo all’apparizione della figura che genera turbamento e fascinazione, dunque innamoramento. L’apparizione ha quasi sempre a che fare con il luminoso e con quel che viene dall’ignoto. Un nuovo tempo prende campo nell’interiorità di chi è colpito dall’apparizione: un tempo che è, appunto, movimento, esitazione, protezione di un’immagine. Di fatto l’apparizione – che sia la Beatrice di Dante o la Passante di Baudelaire o l’Albertine in Proust – risponde a un’attesa dell’amore che abita già il soggetto. Resta sul fondo – via via che il tempo di un amore prende forma– l’enigma per cui quel che era un’apparizione diventa una presenza, quel che era casuale si fa necessario. Ma il fulgore istantaneo dell’apparizione, da una parte, e la visione destinale dell’amore, dall’altra, sono due modi per accogliere quel che di indefinibile, diciamo pure di sconfinato, c’è nell’esperienza dell’amore.
Il tema della seduzione ha forte presenza nel libro. La nostra ansia di vita coincide quasi sempre con il desiderio di essere dove non si è. E il seduttore è colui che può condurci in un altrove. Qual è la ragione, perché accade questo?
È un aspetto della seduzione, del suo potere, questo di indurre il senso dell’altrove, della rottura con il quotidiano, con il continuo, della fuga nel “giardino di delizie”. Per questo la seduzione si allea con la magia (Alcina e Armida), con la promessa del godimento affidata alla lingua musicale dell’ignoto (le Sirene), con l’elemento del divino (nell’ Odissea Circe e Calipso partecipano del divino). Vasto e iridescente il ventaglio della seduzione: ha a che fare con la luce, ma nell’artificio, con il desiderio, ma nella finzione, con l’eros, ma in un corpo che vincola l’altro a sé. Potere dell’immagine. Incantamento e sudditanza, insieme. Spesso nelle figurazioni poetiche e narrative il lessico della seduzione è d’ordine bellico: conquista, prigionia, assedio, resa.
Nella poesia medievale la lontananza della persona amata apre al tema della soglia. Di soglia in soglia – per citare Celan, poeta a lei caro – l’amante, al pari del poeta, edifica la sua stessa ammissione di finitudine?
Sì, l’esperienza dell’amore, come è figurata nella poesia e nella narrazione, coincide con l’avventura, e lo scacco, del desiderio, che ha il suo fondamento nella mancanza. L’ amor de lonh della poesia medievale, con tutte le sue rifrazioni, ha disegnato benissimo la natura di questa lontananza e di questa assenza: un’alterità inattingibile, sorgente del desiderio sempre privato del suo approdo. L’amore è sempre al di qua dell’amore. Ma è questa mancanza, questa privazione che genera la forza del sentire, e del legame.
E a proposito dell’immagine, cui lei dedica ampia analisi, non c’è il rischio di amare solo l’effigie che l’altro rimanda di noi? Difatti quando un amore finisce, soffriamo per la parte di noi a cui dobbiamo dire addio e che grazie all’altro si era in qualche modo espressa…
Sì, l’immagine di sé rinviata dall’altro è momento del conoscersi. Ma l’amore nel suo prender campo si alimenta di uno scambio reciproco di immagini. La cura dell’ “altra” immagine può avere forme di impreziosimento – la “cristallizzazione” di cui diceva Stendhal – oppure, come nelle narrazioni di Proust, può portare il desiderio nelle volute fantasiose e inquiete di un’interrogazione incessante. Ma l’amore è anche dare un corpo, e un sentire, all’immagine, sottrarre l’immagine al suo statuto effimero e trasparente. Ritrovare, di là dall’immagine, la presenza.
Il silenzio, che dimora nella sfera dell’intimità, è l’inchiostro di una scrittura ulteriore e segreta?
Sì, la lingua dell’amore, come la lingua della poesia, non si identifica con la parola, ha in sé una forte presenza del silenzio. Di qualcosa che è prima e dopo la parola e che la parola non può accogliere o comprendere. Proprio questa eccedenza dal dire è l’amore. Come è, su un altro piano, la poesia. La rappresentazione poetica e romanzesca dell’amore declina in mille modi queste variazioni del silenzio e della parola. Ho dedicato anche un capitolo a quel confine della parola d’amore che è l’approdo mistico – la noche oscura di San Giovanni della Croce – e a quello svolgersi della parola d’amore come condivisione che è l’ agape.
In riferimento agli eventi bellici di quest’ultimo anno, parlerei, senza timore di retorica, di disamore e fragilità del linguaggio; è d’accordo?
Certo, disamore, e nel senso più distruttivo: insomma il totalmente altro dall’amore è la guerra. Cancellazione del desiderio, e della stessa alterità, che prende la forma del nemico, non della mancanza. Mentre scrivevo l’ultima parte del libro, nel corso della pandemia, pensavo spesso a come il discorso d’amore fosse davvero l’altro dal fosco dilagare di un virus che annientava, isolava. Ora che il libro è uscito c’è una guerra, cioè una negazione assoluta dell’amore. In questo caso l’amore può mostrare, all’opposto della distruzione, due suoi aspetti per dir così attivi: la prossimità al dolore, cioè la compassione, e il nesso profondo con una parola che in occasione delle guerre subisce discredito e che invece l’amore protegge e ritiene necessario fondamento di ogni vivere civile, cioè la pace.
Foto di Aaron Burden