Interview | Christian Caliandro
Alle porte di Bari, sul lungomare arioso di Polignano a Mare, sorge la Fondazione Pino Pascali, luogo dello stupore, museo a ridosso della costa adriatica, adagiato sul blu delle increspature dell’acqua e delle rocce. E in questo albergo della rievocazione, ma anche della decostruzione e della reinvenzione artistica, entrandovi e scendendo qualche scalino, si può trovare un’opera, “Family in the Old City” (2007) di Cristiano De Gaetano, artista prematuramente scomparso, tarantino, nato nel 1975. Family in the Old City se ne sta in disparte dal resto delle installazioni esposte al piano inferiore. Quando la si trova, si resta sulla linea della soglia, a un passo tra due azioni di tempo: un passato irrimediabile, un futuro eterno ed immalinconito. L’opera, pittura in cera pongo su legno, ritrae l’artista insieme alla moglie e ai piccoli figli, una in braccio alla donna, l’altro in piedi. Non è un tradizionale quadro familiare. È lo sforzo, nel tempo e sul luogo, di rendere unanime e duratura la progressione lirica dei corpi e delle sue lezioni di rovina. Le sagome, che appaiono illimitatamente sospese in un punto lontano, eppure ritte su una riproduzione pavimentale di cementine, guardano in quattro direzioni diverse, riguardate dall’osservatore. I loro volti cerei e pallidi, gli occhi lucidi fissi e illanguiditi da una indefinita attesa, sono certamente un rintocco solenne, una processione di silenzi, un incauto supporre il peggio. Perché se serve sapere che di lì a qualche anno dalla realizzazione dell’opera l’artista sarebbe scomparso, vale pure intravedere nell’immobilismo irrevocabile delle figure il presentimento di una controversa insonnia di vita. Nella posizione di ognuna un intento diverso: qualcosa di corrispondente, forse, ai caratteri (la centralità impressionante nello sguardo della donna; la vaghezza un po’ imbronciata della neonata; il timido impaccio dell’altro bimbo; la fierezza e al contempo un esordio di malinconia negli occhi dell’artista, il meno definibile). Poi, qualcosa si interpone tra di loro e arriva indeterminatamente a cambiare il corso delle cose. Una ulteriore presenza, ovvero l’inquietudine di chi osserva e la stessa gravità commossa con cui si guarderebbe a una fotografia. Perché in questo “scatto” familiare esiste la grafica anomalia del disturbo, una serpentina malattia del dispiacere, la certezza della irrevocabilità che fa da preludio alla futura notte. Quasi un memento mori, come scritto nel pannello a lato dell’opera. E un’innocenza sterminata, che attraversa uno ad uno questi corpi e questi volti basiti, raggelati, amabili e inquieti, superando persino lo smacco sgargiante dei colori degli abiti, rivelazione vistosa di trame accese, esuberanti e paralizzanti.
In molte delle opere di questo artista si ravvisa la debole dolcezza della resistenza al buio, che in opposizione avanza indefesso nel lucore degli occhi, nelle piccole figure bambine rappresentate in altri lavori, nella cera pongo che rende incipienti e tattili l’interazione, la centralità, il racconto.
Di lui vogliamo parlare ancora. Lo facciamo con Christian Caliandro, curatore del catalogo dell’artista (Speed of Life, edito da Posa Edizioni ed attualmente in ristampa), oltre che curatore di una mostra in tributo all’artista tenutasi proprio alla Fondazione Pino Pascali nel 2017.
Cristiano De Gaetano, giovane promessa della scena artistica contemporanea, scomparso troppo presto. Tarantino di origine, accolto con favore presso la Galleria milanese The Flat, aveva scelto di continuare a vivere nella città pugliese. Che tipo di persona era? Come sei entrato in contatto con le sue opere?
Il mio rapporto con Cristiano risale ai primi anni del Duemila. All’epoca esponevo anche io e capitava di incrociarci in alcune mostre, penso ad esempio a quella organizzata una volta a Taranto da Antonella Marino, in cui ricordo che lui aveva portato proprio Family in the Old City.
Per noi, artisti più giovani, lui era un riferimento, una figura affascinante, misteriosa, anche riservata. Aveva una personalità carismatica ed era anticipatore di cose che poi sarebbero diventate di moda, come il lavoro con la ceramica, iniziato negli anni della malattia e grazie al quale rivelò fin da subito una originale e personale prospettiva della sua arte. Aveva uno sguardo e un fare versatili, che attraversavano allo stesso tempo pittura, fotografia, installazioni, scultura…
Perché, nello specifico, l’uso della cera pongo?
Ha introdotto questa tecnica che rappresenta forse la summa della sua idea dell’arte, proprio perché la cera pongo non si asciuga mai. Lui la impastava con delle tecniche di personale invenzione. La cera pongo è effimera, in qualche modo riflette la precarietà della vita; ancora adesso, se qualcuno la sfregasse sui suoi lavori, il danno sarebbe irreparabile. La applicava su sagome di materiale povero, come il compensato. Questa modestia di materiali che si muove in contrapposizione ai virtuosismi della realizzazione è certamente uno dei dati più interessanti e innovatori delle opere di Cristiano.
Mi sembra che le sue opere siano caratterizzate da un fondo di malinconia e di grazia rivelatrici di un mondo affettivo quasi remoto e non più raggiungibile. È così?
Sì, uno degli immaginari che la sua arte evoca si rifà agli anni settanta. Le foto di riferimento che pescava per la realizzazione delle opere venivano da diversi luoghi, anche improbabili, persino dalla spazzatura. Ed è importante rilevare che questo bagaglio di immagini e rievocazioni non era solo autobiografico, ma si rivolgeva a una necessità di memoria collettiva che riguardava tutti. Il suo mondo era pure traversato da molte ispirazioni glamour, influenzate dalla grande passione – quasi una venerazione – per David Bowie, mescolate al contempo a una sequenza di suggestioni tratte dalla Puglia anni settanta. Insomma, una sorta di composito immaginario dove confluivano gli inevitabili stimoli del luogo, ma anche impulsi fortemente innovatori e precursori.
Eda David Bowie proviene il titolo del suo catalogo da te curato: Speed of life, edito da Posa Edizioni. Titolo emblematico che investe e sigla totalmente la breve esistenza di Cristiano De Gaetano…
Sì, come dicevo, nutriva per David Bowie una vera e propria venerazione, quasi un’identificazione.
Esiste un intero nucleo di suoi disegni dedicato a David Bowie. In uno di questi il cantante è in posa da Van Gogh o ritratto come in un disegno di Schiele, un altro dei suoi riferimenti giovanili soprattutto negli anni dell’Accademia.
Questa sua particolare passione ho cercato di metterla in evidenza l’anno scorso in occasione della riproposizione della mostra collettiva Z/000 GENERATION – promossa dal Comune di Bari, dalla Regione Puglia, con il patrocinio della Fondazione Museo Pino Pascali – dove è stato ricostruito quel particolare momento storico, a cavallo tra la fine degli anni novanta e gli inizi del Duemila, in cui diversi artisti pugliesi si avvicendarono in un comune percorso di ricerca a Mola, nella sede distaccata dell’Accademia di Bari. Tra di loro, figura centrale e certamente di spicco fu Cristiano.
Ci sono dei temi che De Gaetano sceglie di rimarcare nei suoi lavori e che si ripetono, giungendo a definire un’identità di visione?
Be’, sì, una certa insistenza sul tema del sesso, sempre visto attraverso il corrispettivo della morte; un forte legame con i corsi e le bibliografie che aveva frequentato in Accademia…In questo senso fondamentali furono, per la sua crescita artistica, due o tre docenti che lo instradarono su determinati punti di interesse poi proseguiti. Successivamente sono arrivate le suggestioni di Schiele, Artaud, Cronenberg, il porno, Lynch, David Bowie, appunto.
Sicuramente nei suoi anni ha proposto uno stile eterodosso rispetto al dettato che era quello dell’arte postconcettuale, postminimalista con cui lui non aveva nulla a che fare, anche perché possedeva dei virtuosismi tecnici che gli permettevano di realizzare tutto. Era un artista a tutti gli effetti. Se vogliamo, anche la sua tecnica della cera pongo è pittura, scultura, installazione insieme.
Tutto ciò che appartiene alla brevità della vita appartiene anche alla consunzione dell’opera? Cioè, esiste in De Gaetano una volontà di testimoniare della rapidità della rovina umana attraverso l’opera artistica?
Non solo questo. Per lui il senso della precarietà delle cose coincideva con la direzione dell’eternità; una cosa aderiva all’altra e viceversa.
Ancora oggi mi scrivono artisti, italiani e non, per saperne di più. Cristiano De Gaetano non è stato importante solo durante gli anni in cui ha vissuto; continua ad essere cercato e studiato proprio perché ha attraversato i generi grazie ad una abilità nel “fare” l’opera, nel trasmetterla, al di là dei sottostrati concettuali, con delle tecniche spinte al massimo grado. È quasi diventato un modello lui stesso, una persona che realmente, malgrado la breve vita, è riuscita a creare una compagine di espressioni durature che resteranno, su questo non ho dubbi. Altri artisti attualmente noti non resisteranno al tempo, lui credo proprio di sì, perché ha avviato una ricerca talmente originale da influenzare in profondità le persone a lui vicine.
La sua sfortuna è stata solo quella di mancare prematuramente nel mondo.
All images courtesy of Fondazione Museo Pino Pascali | Website