Interview | Mariacristina Mordiglia
Il tema del conflitto non riguarda solo gli ampi scenari; può diventare anche prerogativa dei piccoli contesti dove a ramificarsi e a infittirsi sono soprattutto gli indolenti equivoci, le false giustificazioni, i confini dettati dal pregiudizio, le scarse motivazioni. Come nei recinti privati delle difficoltà coniugali, dove le relazioni rischiano di far saltare il limite della sostenibilità ed entrare nella notte delle intenzioni, capitolando, infine, nell’esperienza della separazione.
Cristina Mordiglia, milanese, di professione avvocato, da molti anni opera per la tutela dei diritti civili e dal 2012 indirizza le sue competenze e le sue energie verso la gestione dei rapporti conflittuali di coppia, applicando, col concorso di altre figure professionali, il metodo della Pratica Collaborativa.
Divenuta formatrice presso AIADC (Associazione Italiana Professionisti Collaborativi), ha insegnato in corsi base e avanzati per professionisti collaborativi. Ha curato la traduzione del libro di Nancy Cameron “Pratica Collaborativa, approfondiamo il dialogo” (Bruno Mondadori, 2016) e contribuito al Volume “Pratica Collaborativa dialogo tra teoria e prassi” a cura di C. Menichino e M.Sala. E’ in fase di lancio un Corso Interdisciplinare di Formazione alla Pratica Collaborativa organizzato da AIADC che la vedrà docente, insieme a un team di quattro formatori, alla Masseria Cuturi, a Manduria in provincia di Taranto, dal 27 al 31 maggio 2022. L’abbiamo raggiunta e le abbiamo rivolto alcune domande per approfondire il suo campo di ricerca e le prospettive future.
Avvocato Mordiglia, cos’è la Pratica Collaborativa? E quanto è diffusa nel nostro Paese?
La Pratica Collaborativa è un metodo per affrontare i conflitti in maniera non avversariale. Questo significa che i professionisti formati al metodo sanno, se i clienti mostrano disponibilità e voglia di mettersi in gioco o anche solo desiderio di non andare in giudizio delegando la ”soluzione” della controversia a terzi, aiutarli a spostarsi da posizioni rigide per lavorare su interessi e bisogni di entrambi. L’attivazione di questo spostamento è già una delle attività più delicate e di soddisfazione per un professionista collaborativo. L’esperienza e la comprensione della delicatezza del percorso sono il cuore della pratica, insieme ai principi base che la regolano e che sono: lealtà e buona fede, trasparenza e riservatezza, oltre al mandato limitato. Se i primi principi sono più comprensibili, dovendo creare una “stanza della fiducia” dove si cerca di cambiare la dinamica che solitamente si attiva tra le parti, il mandato limitato significa che i professionisti sono ingaggiati solo per il raggiungimento di un accordo condiviso, e dovranno essere sostituiti nel caso l’accordo non venga raggiunto. Questo aspetto, che potrebbe destare preoccupazioni nelle parti che, in caso di fallimento del percorso, dovrebbero rivolgersi ad altri legale, in realtà è un importante punto di forza del metodo, che vede tutti, parti e professionisti, impegnati in un’unica direzione, l’accordo o, meglio ancora, la trasformazione del conflitto. In Italia ci sono ormai quattro associazioni di professionisti collaborativi, AIADC, quella di cui faccio parte, è nata nel 2010 ed è man mano cresciuta fino ad arrivare oggi ad avere oltre 400 professionisti formati. AIADC fa parte dell’associazione mondiale IACP (International Academy of Collaborative Practice) che ha portato, con i suoi formatori americani e canadesi, questo metodo in Italia ed in Europa e che ogni anno organizza incontri tra tutti i “collaborativi” del mondo, dislocati in 5 Continenti e in oltre 40 Stati.
Rifletto sulle due parole: pratica/collaborazione. Mi pare chiariscano bene che il percorso non avviene “in solitaria” e richiede una radicale messa in discussione delle parti protagoniste: dai vostri ruoli professionali alle necessità degli assistiti. È così? E nello specifico, chi sono le figure che compongono il suo gruppo di lavoro?
Nel radicale cambiamento che comporta diventare professionista collaborativo, oltre al lavorare “insieme” al legale “avversario”, c’è anche la nuova dimensione del lavorare in team, con un intreccio di saperi che si muovono sullo stesso piano e interagiscono secondo una dinamica di mutuo apprendimento. I professionisti collaborativi coinvolti sono quelli che paiono man mano utili alla particolarità del singolo caso. Tra i professionisti che si possono formare al metodo infatti ci sono, oltre ai legali, anche esperti finanziari, mediatori, esperti delle relazioni e coach.
Come si abbattono le diffidenze e le inibizioni di chi si accosta a questo cammino? E come si riesce a penetrare nella sfera dell’intimità e dei non detti della coppia, ad indicare una speranza di trasformazione?
Due domande complesse che richiederebbero risposte adeguate… ma facciamo del nostro meglio. In merito alla prima, posso dire che si avvicinano al nuovo metodo soprattutto professionisti che si trovano a disagio nella modalità avversariale, all’inizio magari anche solo per curiosità, e poi spesso se ne innamorano. Deve essere comunque una scelta individuale, cosi come deve essere una scelta consapevole quella delle parti che devono realmente accettare di volersi mettere in gioco e sforzarsi di ascoltare e provare a capire il punto di vista dell’altro, cercando di cambiare le dinamiche che, magari da anni, muovono le loro relazioni di coppia. Una leva che può essere utilizzata nella coppia è quella di aiutare le parti a spostare lo sguardo verso il loro futuro anziché verso il passato, così come spingerli a focalizzarsi di più sui bisogni e aspirazioni di ciascuno, piuttosto che sulle presunte responsabilità dell’altro. Premesse queste per la costruzione di una nuova storia condivisa della loro esperienza passata insieme.
Il suo lavoro va nella direzione opposta al buio della relazione; tenta di demolire i tarli della incomunicabilità e abbatte gli stereotipi. Quando accade di riuscire nell’intento, quali sono gli effetti più soddisfacenti?
Il conflitto è un momento di crisi della relazione che, come tutte le crisi, può trasformarsi in una vera occasione di risorsa. C’è poi da lavorare sulla resistenza al cambiamento, innata nell’uomo, che spesso da più valore a quello che lascia rispetto a quello che può raggiungere, almeno nel momento del lasciare andare…. Quando si riesce a fare distogliere lo sguardo dal passato per rivolgerlo verso il futuro talvolta succede la “magia”, che porta le persone a porre l’attenzione su di sé e sui propri veri bisogni anziché rimanere prigionieri delle proprie rabbie. Certo che questo comporta uscire dalla zona di comfort per mettersi in gioco, aprirsi all’inatteso, confrontarsi con l’altro cambiando le dinamiche abituali, imparare a costruire una storia condivisa.
Quando questo succede in un rapporto di coppia ci dicono talvolta di avere per la prima volta, dopo anni, conosciuto l’altro/a.
Viceversa, quando accade di non trovare la via sperata, quali sono le alternative che si presentano?
Certamente non tutti i casi finiscono con il massimo della soddisfazione, talvolta bisogna accontentarsi di un accordo “risicato”, talvolta neppure di quello… e allora si incappa in una delle regole della Pratica Collaborativa: il mandato limitato. Questo significa che le parti che decidessero di rinunziare al percorso e andare in giudizio devono cambiare professionisti di riferimento, gli avvocati innanzi tutto. Il motivo è che nel percorso collaborativo si lavora, come abbiamo detto, costruendo una “stanza della fiducia”, in buona fede, trasparenza e riservatezza; è evidente che se dovesse saltare questo percorso i professionisti non possono più essere quelli di prima.
Pensando agli eventi tragici di questi giorni, sono curiosa di conoscere alcuni suoi punti di vista. Il dialogo può davvero risolvere i conflitti e quali sono i limiti delle parole? Portando il discorso sui grandi orizzonti: quali sono le condizioni perché si radicalizzi un’etica collaborativa nella complessa rete della società?
L’ascolto, il dialogo, il riconoscimento dei valori e delle diversità, unitamente a tecniche di comunicazione appropriate, possono costituire un volano per il cambiamento.
In un mondo provato dagli effetti destabilizzanti di una continua crisi sociale, economica, ambientale e istituzionale, nonché dai conflitti che ne derivano, riteniamo che principi, pratiche, metodi e strumenti della “collaborazione” possano contribuire a ridurne la fragilità sostenendo “aspirazioni” di equità, inclusione e rispetto, trasformando il conflitto in risorsa e motore di responsabilizzazione individuale e collettiva. Promuovendo la “formazione collaborativa” per un attivismo partecipativo ed inclusivo, i nostri principi potrebbero davvero diventare patrimonio di una più ampia platea di attori sociali ed economici, istituzionali e non.
Dal 27 al 31 maggio 2022 il prossimo Corso Interdisciplinare di Formazione alla Pratica Collaborativa proposto da AIADC (di cui alleghiamo a fondo pagina il link informativo) si svolgerà nella Masseria Cuturi, in Puglia, tra la campagna di Manduria e il mare Ionio. Un luogo carico di luce e di rivelazioni. Un simbolo, forse, del senso più profondo dell’agire collaborativo?
Abbiamo desiderato tanto realizzare questo corso in Puglia, perché pensiamo che sia una regione fertile per iniziare il cambiamento, sia per la storia che per la particolare empatia dei pugliesi. Confidiamo poi che, per la bellezza del posto e la particolare atmosfera del luogo possano decidere di venire a fare una vacanza-studio anche altri professionisti da tutt’Italia. Attendiamo pertanto avvocati, commercialisti, esperti di relazione e mediatori che, incuriositi, vogliano aprirsi a questo nuovo mondo mondo. Faremo anche una diretta su instagram per rispondere ad eventuali domande o richiesta di chiarimenti, che possono comunque essere inviate anche alla mia mail mordiglia@studiolegalemordiglia.it o a quella dell’associazione info@praticacollaborativa.it
Studio Legale Mordiglia | Website | Pratica Collaborativa
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