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Palazzo | Orizzonti

Privo d’ogni imperativo comando, nulla è più
anarchico del viaggio. Ed era quella l’ambizione
assoluta: interrompere la misura di res quotidiana,
andare verso la collina come verso il mare,
farsi strada a piedi oltre l’abitato, inseguire
la piccola coda di rettile o l’orizzonte smisurato.

Non ha altra ispirazione il viaggio –
se ci si pensa bene solo smuovere qualcosa
dentro il terzo occhio. Uccidere ogni coazione
puerile, adempiere ad ogni improvviso afflato.


è tempo di mare sospeso
inverno liquido acrilico,
inferno cordiale, corale
allarga le braccia al volo
a un meridiano cieco


certi ragazzi australiani, forse dei o titani,
figli di Urano e di Gea, guerrieri seminudi
i muscoli incollati alle reti di Teti, occhi
come diamanti neri, denti di squalo al collo
splendenti, gambe e mani forti su tavola
lanciata nelle acque di cieli rivoltati

a guardare i loro movimenti anfibi
con l’ossigeno nei polmoni ci sembrava
di poter diventare figli imbattibili anche noi,
superare il dolore dell’età adulta,
respirare la corrente degli oceani,
la luce del faro di Cape Orway


ora in sentieri di mondi lontani,
l’urlo di cacciatori di balene
risuona nell’ade del ritorno,
qui dove il sangue non si può fermare
ignorare l’arte di muoversi nudi,
non esser mai appartenuti,
non sapere di essere nati,
morire forse disabitati


a volte il viaggio porta con sé
rivelazioni in dono, una stretta di mano,
lo sguardo di malinconia di uno sconosciuto,
la fame di vivere in segreto una partita esigente

e l’arresto quando tutto finisce, al ciglio di un marciapiedi,
dentro l’aura della luna, nella folgore della maledizione
di un abito a kimono stretto nello strappo
dell’incontro di un corpo a corpo


Photo by Aaron Burden

 

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