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Patregnani | Ritrovare la sapienza nascosta

Nel tempo della fiaba, che è un non-tempo e che pare non esista più -agli occhi affaticati dell’uomo adulto e mondano-, esiste un raccontastorie, figura ammantata di mistero, nascosta dai simboli, che appartiene al tempo della veglia ma si confonde con il sonno. Questo genere di traghettatore, difficilmente potrà essere una persona giovane – anche se del fanciullo possiede la purezza di visione e la custodisce come segreto arcano. Si diceva, il narratore di fiabe, per ammaliare tutti con le parole che derivano dalla sua sapienza, dalla sua conoscenza, dovrà essere vecchio.
Naturalmente occorre operare una distinzione, una divisione netta fra i mondi, per distinguere questo tipo di vecchiaia, proficua e feconda, che non cessa di gettare semi e di nutrirne poi i delicati cotiledoni, dalla vecchiezza sterile, plasmata dalla mente avida di denaro e di beni terreni, perfettamente asservita alle logiche della contingenza – che sono spietate e contro natura, contro la vita.
In un tempo che uscì da quello della fiaba, i giovani si dicevano massimi sognatori. Si vollero staccare dalla vecchiezza del sistema, dalla sua cupezza da cui si sentivano irrimediabilmente plasmati e perciò ingabbiati. Quello che determinò un certo fallimento di questa ondata di fantasia guidata dalle evasioni psicotrope, fu l’approcciarsi alla liberazione utilizzando le stesse logiche del sistema – logiche di consumo travestite da ribellione. Non si sfugge alla vecchiezza se non attraverso la vecchiaia, e questo i giovani, impegnati a ribellarsi, non possono capirlo.
Si ritrovano (torno al presente, scarto tra un tempo e l’altro, voglio entrare nel non tempo) pieni di vita ma carenti di mezzi che siano altri, da quelli dell’appropriazione, dell’avere per (credere di ) essere. Alcuni intraprendono viaggi spirituali, dicono di voler ricercare se stessi attraverso l’altro, le altre culture, gli altri mondi. Spinta sacrosanta al viaggio, anch’esso strumento di crescita; ma qualcuno di loro viaggia con una piuma in mano che, lasciata volare per aria, indichi loro la direzione? Qualcuno di loro ha varcato la porta del giardino segreto per entrare nel fitto del bosco?
Forse hanno preso aerei, hanno viaggiato in bicicletta o a piedi, si sono fatti arrestare oltre il confine di Stato, sono incappati nella violenza del sistema da cui tentavano di fuggire, che per loro sfortuna ingloba tutto, anche i luoghi più esotici lontani, che da questa parte del velo di maya sono solo il sogno di una fiaba. Hanno sperimentato viaggi mentali su divani e materassi, hanno provato cosa il cervello è in grado di offrire, se stimolato in specifici nodi. Hanno nascosto nel sangue le sostanze che permettono di sentirsi onnipotenti (alcolici compresi), per poter finalmente non vedere il regno di carta divampare alla prima scintilla, per poter credere che quel reame di beni (sempre acquistati, mai comuni) sia ancora tutto lì a sostenerli e a sostenere la loro follia.
Qualcuno si è incasellato fin da subito sulla strada maestra, non quella che si perde in uno spazio indefinito, che gira su se stessa, che conduce anche all’entrata dell’isba della Baba Yaga. Hanno preso la strada maestra della carriera, degli studi prima e del lavoro poi. Di colpo, se sono sopravvissuti alle droghe, si sono ritrovati incastrati nella gabbia che volevano eludere, che si erano inventati di poter sabotare con un capriccio. Il disgusto nei confronti di ciò a cui si opponevano si trasforma in indifferenza, il capo chinato per la rassegnazione e per la noia, che sedano a malapena i colpi brutali dell’istinto. Imbottiti della peggiore illusione, il divertimento, resi autonomi dall’automazione, ignari davanti a se stessi.
Dov’è la vecchiaia? Perché non corre loro incontro, in aiuto? Ai margini della strada maestra si intravede solo il lento e inesorabile trascinarsi nella vecchiezza. E una folla di genitori che si preparano a rimpolpare quelle fila, carichi di sclerotizzazioni – del corpo e della mente, ma la più importante è quella del cuore.
La vecchiaia, quella vera se ne sta in silenzio. Attende. A capo leggermente chino ma non per rassegnazione, bensì per pazienza e concentrazione. Sa che qualcuno arriverà ancora, dal bosco. Con le mani sulle ginocchia attende, mentre dentro di sé il mormorio tesse un gomitolo di bisso, più leggero di una piuma ma dallo scintillio albale che permetterà alla tela di essere tessuta, alla maga di compiere la sua magia, al bambino di ascoltare e all’adulto senza tempo di uccidere il drago.


Foto di Nong

 

 

Comments (1)

  • piergiorgio muzi

    Esco ora dalla vertigine e spero di trovare un dizionario-breviario per dirti ..che cosa? Grazie, molte grazie!
    Piergiorgio

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