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Peli | Tenue oscurità

E fu così che non riconobbe più
le persone che gli erano care
tutto quello che aveva imparato
si sciolse perché era di ghiaccio
blu grigio nero
nero grigio blu
cercava l’identità del neonato
insieme a ogni certezza e volontà
e mentre il ghiaccio
era continuamente prodotto
dagli umori della pelle affranta
cercava via di scampo
i movimenti delle persone
i risultati delle elezioni
ma tutto ciò si rivelò fittizio
labile come il canto
si strappa vedi.


Sono rigonfio di male
che secca le labbra e il cielo
perché so che non ce la farai non ce la faremo
a tornare io bambino e tu papà
ti scusi con le tue deboli braccia ormai ossa
i tuoi occhi neri più del nero
ormai fatti anch’essi ossicine
nero impallidito di uomo nero sparito dalla tua testa
non ce la faremo a stare all’aperto in canottiera
a ridere e tagliare l’anguria come banzai
perché le ossicine basta soffiarci sopra e si spengono
e mentre l’erba cresce e inorgoglisce il gelsomino
tu non sei più tu e io vorrei essere quel tuo io.


In un solo giorno trascorrono tutte le ore
gli occhi del neonato diventano sempre più grandi
il suo sonno ha palpebre avvolgenti
anche il vecchio si ripara con le palpebre del neonato
la sua pressione arteriosa sale a livelli normali
tutti immaginano la mattina successiva in silenzio
tutti come addormentandosi cullati per finta
in silenzio abbiamo imparato a pensare a noi stessi
e al nostro vecchio che non sembra riuscire a parlare
mentre le ore passano indifferenti
immaginiamo la mattina successiva
la mattina in cui un altro dottore
dirà che non è successo niente
arriverà la mattina dolce come un lampo
quindi arriverà ancora una volta
tutto quel pallore quello spavento
quello stringersi attorno i familiari
sconosciuti o accettati secondo destino
i parenti a cui continuiamo a soffiare dentro anima
con tutte quelle volte a dirci ce la facciamo.


Nella tenue oscurità del tuo andartene
“Non hai nessuna malattia, una forte influenza”
sono le ultime parole che hai sentito
oppure viene ancora in te
il continuo “Non ce la faccio più” della pazza?
Ma in quel delirio, l’accusa a noi
e questi cento anni
di grida e autodeterminazione
sono diventati suoni sottili
che non conoscono futuro né lamento.
Non sono più segni umani.
E tu respiri ancora, respiri forte
butti dentro e fuori quello che non hai
e quello che non esiste ancora.


La vita divenne dea nelle fattezze minime
senza colore preciso negli occhi di bimbo
la divinità di ogni minimo segno malaccorto
era l’unica possibilità di comunicazione
davanti agli occhi inermi e lussati
del vecchio che si offendeva per ogni sguardo negato
come mai aveva fatto in gioventù
il vecchio divenne trasparente
ma bisognava pensare solo al presente
uccidere ogni nostalgia
così il giovane padre cancellò dentro di sé il figlio
si trasformò in membrana protettiva
e avvolse come palpebre
le ossa sfascicolate del vecchio
avvolse come una mucosa l’essenza stantia del vecchio
anche il suo fiato flebile avvolse e i suoi sorrisi faticosi
e gli occhi ciechi ma ben coperti
e tutto il mondo ci aiutava a proteggere
anche le preghiere erano protette da ogni terremoto
e dalla stessa volontà di dio
come l’abete di fronte a casa maestoso e distruttivo
perché dio è senz’altro crudele
si allargava e diventava una membrana di aghi duri
e perversi e insinuanti che si adoperano tuttora
perché il vecchio non raggiunga il vuoto
e un dubbio senza parole prosegua dentro
nel razionale e nell’aspro
fino alla fine
la sua vischiosa trama.

 


Cinque poesie tratte da Poesie 1994 – 2024 (Calibano, 2024)

 

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