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Peli | Veranio

Primo Sogno

Sotto i miei passi si apriva una voragine, un imbuto gigantesco in cui la terra girava vorticosamente, come se una fortissima mano invisibile, la mano di un Dio della terra, trivellasse il mio mondo, io saltavo e volavo ma poi venivo risucchiato giù. Sottoterra c’era una comunità di esseri mostruosi, metà vermi e metà uomini, che con la loro viscidità sapevano scivolare e strisciare velocissimi attraverso cunicoli  intrecciati fra loro, labirinti di cunicoli stretti che loro stessi avevano scavato nei secoli, cunicoli che portavano da una piazza a un’altra. A volte le piazze, che erano grotte immense, potevano farti dimenticare che stavi vivendo sottoterra. Abituarsi a questa vita significava diventare un uomo-verme, significava non aver più bisogno della luce che porta la vita, né degli occhi chiari, né della pelle abbronzata, significava mangiare cose immonde e gridare «aiuto» un attimo prima del cardiopalmo del risveglio!


Secondo Sogno

Vidi cento donne bagnarsi i piedi nell’acqua del lago, nude entrare nell’acqua che dopo qualche minuto copriva completamente la loro vagina e poi cambiava colore e consistenza, così le donne camminavano placide in un miele dorato. Ed ecco cento aironi dalle ali gigantesche scendere in picchiata nel lago, a quel punto il lago non era più d’acqua né di miele ma di veranio. Gli aironi una volta tuffatisi risalivano e tutti si innalzavano in volo e sbattendo le ali gigantesche stillavano migliaia di gocce di veranio, e da ogni goccia si generava un airone con ali gigantesche che si tuffava a sua volta nel lago di veranio. Le donne tornavano a riva e tutta la loro procace nudità era coperta di veranio, e anche tutti gli uomini della terra coprivano di veranio le loro nudità. Gli umani erano diventati esseri di luce e di energia e nessuno avrebbe più avuto bisogno di niente, per vivere, nemmeno di mangiare o di bere.


 

Terzo Sogno

Vedevo una ragazza in riva al lago, sembrava stesse tranquillamente guardando qualcosa nell’acqua, la vedevo nei sogni, frequentemente. A volte ne sentivo invece i singhiozzi, come se stesse piangendo, poi mi avvicinavo e capivo che stava pregando. Non capivo le parole, deglutiva continuamente mentre parlava una lingua che non aveva vocali. Mentre cominciavo ad ambientarmi, sentendo una brezza piacevole sulla pelle, e perlustrando con lo sguardo gli alberi frondosi e il cielo, incuriosito dal verso buffo delle taccole e dal loro nervoso spostarsi da un ramo all’altro, da un torrione all’altro, da una guglia all’altra, lei cominciava a muoversi, e mi inquietava ad ogni gesto, perché pareva che si muovesse come un ragno o comunque qualcosa di viscido, qualcosa che non capivo. A volte mi avvicinavo tanto da toccarle la pelle e poi mi guardavo le dita che erano tutte invischiate. Aveva i capelli rossi più di un rosso corallo, la pelle bianca più del latte o della neve, a volte sembrava lei stessa latte, sembrava fatta di latte, sembrava sudare latte e mi veniva voglia di abbracciarla. Una volta mi aveva guardato con occhi scintillanti, che erano subito diventati rossi e aveva un sorriso cattivo e mi veniva voglia di possederla, di avvinghiarla, di strizzarla, e fu quella volta che mi svegliai eccitato. Ma prima di qualsiasi contatto fuggiva, arrampicandosi come un animale viscido, e io mi svegliavo col batticuore, temendo di riaddormentarmi e rivederla ancora più mostruosa. Sognavo spesso questa ragazza magica. Una notte aveva pianto inequivocabilmente, era umana, completamente umana, la pelle pallida ma umana, senza più nulla di raccapricciante, gli occhi erano di un sapido verde, mi diceva “Guarda le mie lacrime”, ed erano tutte lacrime nere. Le rispondevo “È il rimmel che ti cola giù”, come in un film del secolo scorso, e invece l’avevo solo pensato, non ero riuscito a dire niente per consolarla: piangeva lacrime nere, e non potevo farci niente. Pensavo di leccarla tutta, partendo dalla faccia, per sentire se piangeva veranio. Ma ogni volta che mi avvicinavo a lei così tanto mi risvegliavo.


 

Quarto Sogno

La ragazza era sopra di me e io le toccavo i seni, poi avevano cominciato a scorrere lacrime nere, e lei godendo aveva sussurrato “Non è veranio, è petrolio”, poi era filtrato un raggio di sole nella stanza, albeggiava, allora il suo corpo si faceva sempre più leggero e trascolorava, finché non vedevo che la sua sagoma perché era diventata trasparente e sottile come un foglio di carta, si staccava da me: ero riuscito a sentire ancora il suo umidore sul mio sesso e le sue labbra sulla mia bocca prima che, come uno spirito, aleggiando, si avvitasse fino al soffitto. A quel punto il giorno intero irrompeva nella stanza, perché si erano divelte le veneziane e anche le finestre magicamente con fragore si erano spalancate, e continuando a volare e ad avvitarsi su se stessa la ragazza volava via in fretta come il vento estivo che porta il temporale. Era uscita dalla finestra vorticando e volavano fuori anche fogli di carta e i libri più leggeri come animandosi. Se fossimo anche noi stati spiriti e l’avessimo seguita avremmo visto la prima mattina nelle case degli altri. Ci saremmo stupiti: in tutte le case la gente contemplava la propria riserva di veranio. Attorno alle loro preziose bottiglie, donne, uomini e bambini, si davano il buongiorno come al tavolo della colazione. Si dicevano “Guarda come è denso questo veranio”, “Una bottiglia intera di veranio, in una sola giornata!”, e poi, rassicurati, più forti, rilassati perché avevano controllato di avere una scorta sufficiente per qualche settimana, o magari qualche mese, andavano ognuno alla propria occupazione, chi a due passi da casa, chi nel bosco, chi a Iseo o addirittura più lontano, a Brescia.


Quinto Sogno

Sogno la ragazza, Limpida, che è un adorabile mostro, lei parla, e mi guarda con i suoi occhi completamente rossi ed è così dolce da farmi dimenticare la ripugnanza che il suo aspetto mi suscita, mi sono abituato alla vista della sua pelle chiara e della sostanza viscida e appiccicosa, densa e gelatinosa che essa produce; mi viene vicino, mentre parla. È incuriosita da me e dal mio corpo, si avvicina strisciando i piedi, si avvicina velocissima e poi si ritrae, quasi voglia per un attimo sentire il mio odore e appena percepito debba allontanarsi. Quando si ritrae è come un animale che ha paura di essere toccato. Quando si avvicina il colore della sua pelle diventa velocemente bluastro e sembra che la sostanza viscida, in quei momenti, non ci sia più, come se la sua pelle si seccasse alla mia vicinanza. Le dico ridendo di fermarsi, che così mi fa girare la testa. Lei si ferma di colpo restando davanti a me, è diventata completamente azzurra, un azzurro tenue, come il cielo nella stagione più fredda. Smette di parlare ma non di guardarmi languida, i suoi tre seni si fanno più rotondi e i tre capezzoli si inturgidiscono: e la pelle non è più cosparsa di quella sostanza, ora è sicuramente secca, ruvida. Mi guarda sotto la cintura “Cresce…” dice. Ho un’erezione, “Sì. È così che divento io” dico, e senza pensarci le accarezzo un braccio. Ma quel contatto le fa male. Capiamo ben presto che non posso toccarla senza provocarle dolore, che dovrei avere un “liquido” anche io, per renderla “ancora più fluida”, come diceva lei, ancora più fluida di quando scivolava nei cunicoli sotto terra. Io tento di spiegarle di che genere sono i “nostri” liquidi, dei baci e delle penetrazioni e di ciò che solitamente intendiamo noi umani quando parliamo di sesso, ma inorridisce e si allarma, perché è certa che siano tutte azioni che le provocherebbero profondissimo dolore. Lei non ha alcun orifizio, la sua bocca secerne sostanze acide e per lei un incontro sessuale consiste nello scambio, attraverso contatto o sfregamento, di una sostanza dal profumo agrumato chiamata nella loro lingua “marnina” che significa esattamente “rugiada”, una sostanza che le esce, anch’essa, dai pori. Qualche volta poteva uscire sangue, se non erano sufficientemente umidi e allo sfregamento la pelle si tagliava. Si eccitano, diventano azzurri e poi si avvicinano, si abbracciano, fanno combaciare la loro pelle, si cospargono a vicenda di marnina… Mentre racconta tutto ciò, torna bianca e viscida, e, continuando a sorridere, ricomincia a camminare facendomi segno di seguirla. “Bisogna camminare per fare il veranio, non lo sai?”, “Lo so, perché si ammorbidisce la terra, diventa più docile… Anche tu sei ossessionata dal veranio?” Le chiedo cambiando tono della voce, “No, ma è la nostra ragione di vita, cosa potresti fare senza veranio?”, e poi, piangendo lacrime nere “Cosa c’è secondo te oltre al veranio?”.


 

Sesto Sogno

La scutigeracane aveva partorito un lupo adulto color zafferano, gli occhi verde smeraldo, correva nella brulla pianura del Nord Sebino. Giunto alla riva del lago, per giorni si era fatto accarezzare dai bagnanti, qualcuno raccontava che nelle notti di luna il suo ululato diventasse una voce umana, le sue canzoni narravano la fine del veranio, la fine della marnina, la fine di qualsiasi energia. In una di queste notti si era ricongiunto alla luna, e la luce potente scambiava la notte con il giorno. Un lungo giorno di pura luce, nessuno aveva mangiato nulla, né bevuto, le donne e gli uomini avevano pulito le loro case, i loro laboratori, gli anfratti, le baracche e non era restata su tutto il pianeta alcuna traccia dello scuro veranio.


Sogni tratti dal romanzo breve inedito di genere distopico/fantastico “Veranio”.

Ndr: Il “veranio” è un misterioso combustibile che sostituirà il petrolio. La “marnina” è una sostanza naturale che contribuisce alla produzione di veranio di qualità.

Foto di Aziz Acharki

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