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Anghilieri | Resistenza

Trentacinque caduti e diciannove feriti. Un bilancio esigue di fronte ai quasi 70 milioni di morti del secondo conflitto mondiale. Ma un conteggio ugualmente e tragicamente drammatico che rappresenta il tributo della brigata Puecher alla causa della Liberazione dai nazifascisti in terra brianzola. Una storia fatta di coraggio, abnegazione e spirito indomito che portò tanti uomini al sacrificio estremo per scrivere la parola fine a una delle pagine più sconvolgenti della Guerra 1940-1945. Risultati eccezionali, quelli di cui furono protagonisti i partigiani della Puecher: il disarmo di tante caserme tedesche, la cattura di centinaia di prigionieri, un ingentissimo bottino in armi, fermi e sequestri di materiale militare e l’uccisione in battaglia di 80 nazifascisti. A raccontarci la vicenda umana e morale di un gruppo di coraggiosi brianzoli è stata una donna, Irene Crippa, monzese di nascita, renatese d’adozione, staffetta partigiana a sua volta, la cui biografia per anni è stata nascosta ai più. Fu lei la prima a redigere la gloriosa storia della brigata e a darla alle stampe già del Novembre 1945, a guerra appena terminata. La vita per l’Italia e per la Libertà, questo il titolo dell’opera, documenta nei minimi dettagli il carattere della cospirazione partigiana in Brianza, la storia di Giancarlo Puecher, il “precursore”: un giovane milanese trapiantato a Lambrugo, ucciso senza tradire i suoi grandi ideali a Erba il 21 Dicembre 1943. Non solo: c’è spazio anche per la vicenda delle tre vedette, i fratelli Guerino e Carletto Besana, morti nell’Ottobre 1944, e Livio Colzani, scomparso il 6 marzo 1944, il cui sacrificio salvò la vita a tanti compagni. E ancora: le giornate di luce, le notti di passione e l’epilogo di un’odissea con l’arrivo degli Alleati che chiesero dove fossero gli ultimi nemici da abbattere, ma si sentirono rispondere con quell’orgoglio e la fierezza tipicamente brianzoli: “Non c’è più niente da battere. Abbiamo fatto tutto noi!”.
Irene ci racconta tutto con dovizia di particolari “scrupolosamente vagliati attraverso il filtro di ineccepibili testimonianze”, facendo commuovere fino alle lacrime il lettore e permettendo di intuire solo in parte la grandezza della sua azione, discreta ma provvidenziale, tra i partigiani. Una penna delicata e incisiva al tempo stesso, specialmente nei passaggi del testo in cui descrivi gli eroici sacrifici di tanti giovani brianzoli disposti al martirio, pur di cacciare il nemico dalla propria terra. Riferendosi a Puecher, scrive: “Il ragazzo ventenne, nel pieno fulgore della prestanza fisica, non è già più che una pura forza spirituale; l’ultimo suo atto è d’amore, le ultime sue parole riecheggiano gli accenti della misericordia divina. Leva le braccia, che tanto amore saprebbero donare sulla terra, nella stretta d’addio: non al padre, ai fratelli, alle persone care, ma a coloro che tra un attimo punteranno le armi contro lui inerme; coloro che adesso tremano nell’imminenza del crimine da consumare, mentre non trema lui che li incuora e bacia. Poi, nella luce bianca dei fari s’incide e ingrandisce l’ombra del condannato che s’avvicina al muro. […] Perché la via di Giancarlo (Puecher, ndr) è quella della luce ed essi sono nell’ombra, quella dell’amore ed essi sono nell’odio, quella della Patria che li maledice da tutte le sue ferite mentre stende le braccia ai figli santi che ancora sanno incoronarla di gloria”. E ancora, mettendo in evidenza il carattere di Puecher e delle tre vedette: “Giancarlo, Guerino, Carletto e Livio: uno studente, un salumiere, un muratore, un impiegato. Quattro posizioni sociali: felice rappresentanza di tutto il popolo nella comunione dell’eroismo. Quattro tempre diverse: al pensoso ardore dell’uno contrapposto all’istintivo slancio dell’altro, all’impulso spavaldo la calma fermezza, al coltivato pensiero la candida semplicità”.
Ma è nelle pagine drammatiche del resoconto delle notti e delle giornate di passione, delle azioni eroiche dei partigiani, dei pericoli scampati e delle rappresaglie violente che Irene riesce a descrivere in modo oggettivo l’accaduto, facendo trepidare il lettore che resta affascinato dalle sue parole così genuinamente piene di ardore patriottico.
Così racconta gli attimi precedenti la Liberazione: “Scoccata l’ora, l’insurrezione si manifesta sotto due aspetti prevalenti: disarmi e fermi. In ogni paese l’interessamento dei patrioti si volge immediatamente alle guarnigioni armate ove c’è da gustare un bel colpo. […] A un posto di blocco, i tedeschi si arrendono, ma mentre il compagno Rabot si china a raccogliere le loro armi, uno dei teutoni spara a tradimento contro Rabot, colpendolo al fianco e alla mano sinistra. Immediatamente gli altri SS, ringalluzziti, riprendono posizione di offesa. Rabot è rimasto solo; è gravemente minorato; non importa, non si dà per vinto: prigioniero dei tedeschi, mai! Risponde con disperata energia al fuoco dei traditori e riesce infine a volgerli in fuga. […] Ormai l’odor di polvere è nell’aria e gli uomini sono accumulatori carichi. Su e giù per le strade tutta notte, snervati se l’attesa si prolunga, elettrizzati da ogni rombo di motore […] L’odissea è finita. Ne resta un ricordo fosco che non è né rancore né desiderio di vendetta, ma soltanto passione di giustizia. Per gli altri, quelli che non torneranno”.
La dedica del comando a Irene Crippa posto in calce al testo parla chiaro di come la sua opera fu determinante nel ricordo, in particolare tra chi aveva combattuto in prima linea per la libertà: “Alla madrina del nostro gagliardetto, che, con amore e passione di partigiana, ha voluto e saputo raccogliere e narrare gli episodi della cospirazione e delle gloriose giornate della Resistenza, esaltando il sacrificio dei nostri puri eroi, va il ringraziamento e la riconoscenza di tutti i patrioti della Divisione Puecher”. Una donna pronta a sacrificarsi fin da quando nel Ventennio (era nata nel 1908) preferì vivere di stenti, rinunciando al suo lavoro di scrittrice, piuttosto che prendere la tessera fascista. E, dopo la guerra, la malattia e le difficoltà non mancarono, ma lei non ne fu piegata: dava ripetizioni di lingue (ne conosceva tre) ai giovani facoltosi della zona e scriveva per qualche periodico del tempo, troppo poco per garantirsi una vita almeno dignitosa. Tuttavia non chiese mai elemosine sino al tragico epilogo della sua parabola umana: nel 1959, ammalatasi di broncopolmonite, optò per una vita ritirata fino a spegnersi lentamente il 5 Febbraio 1960, facendo conservare nella memoria dei pochi, che la assistevano e che erano ammessi nella sua casa, il ricordo di una donna semplice dai modi fini e signorili, mai avvezza a mostrare pubblicamente e con ostentazione le sue raffinate doti intellettuali. Fu l’Amministrazione comunale, in mancanza di eredi, a occuparsi delle esequie e della sepoltura. Della semplice lapide oggi non c’è più traccia nel cimitero di Renate, ma una targa più recente del 2000, collocata all’ingresso del camposanto, ricorda il suo impegno nella lotta partigiana. Il testo di Irene Crippa è stato pubblicato nuovamente nel 1999, a distanza di 55 anni dalla prima edizione, a cura di Domenico Flavio Ronzoni col titolo Una pagina della Resistenza in Brianza (Bellavite editore). Un impegno promosso dall’ANPI della Provincia di Lecco “per non dimenticare e non voler lasciar dimenticare”, perché il ricordo della Resistenza rappresenta un’occasione di conoscenza e un patrimonio specialmente per le giovani generazioni che necessitano di sapere da quali aberrazioni di idee e princìpi siano scaturiti odio, distruzione e morte, ma anche e soprattutto da quale recuperata fedeltà ai valori di giustizia, libertà e pace sia derivato il nostro presente di democrazia; un ideale da preservare e tutelare per il futuro della nostra civiltà.

 Foto di Shaojie

 

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