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Losavio | La scuola come utopia

L’esperienza tragica e inedita della pandemia si è rivelata chiarificatrice dei reali rapporti di dipendenza e interconnessione tra le varie componenti della società contemporanea. Anche la scuola è stata coinvolta in questo processo. In particolare, la pandemia ha rivelato il ruolo fondamentale della scuola come base della struttura economico-sociale della società capitalistica contemporanea.
La sospensione delle lezioni in presenza ha messo in crisi tutta la struttura della produzione e del lavoro. Con i figli a casa, moltissimi genitori-lavoratori, hanno avuto difficoltà a svolgere regolarmente le proprie mansioni lavorative. L’attenzione del governo e delle forze politiche si è, allora, concentrata sulla scuola che è diventata il centro del dibattito. Al di là dei mascheramenti ideologici, quello che realmente interessa la politica è l’efficacia del sistema economico, la crescita del PIL, che si possa lavorare e produrre.
Del resto anche la scuola stessa si è arresa a dinamiche economicistiche. Basti pensare alla sua organizzazione su base aziendalistica, con un preside manager e i docenti considerati impiegati e operai della formazione, e alla alternanza scuola-lavoro che introduce nell’apparato formativo scolastico il potere delle aziende e “l’addestramento” degli studenti alle logiche produttive.

Se la scuola ha, e le è stato riconosciuto, questo ruolo fondamentale e basilare nella organizzazione della nostra società, possiamo immaginare che proprio dalla scuola possa partire la possibilità di un cambiamento radicale, di un nuovo modello socio-economico e culturale.

Proprio la sperimentazione didattica, a cui la pandemia ha costretto la scuola e i docenti con la DAD, la tanto discussa didattica a distanza, può aprire prospettive nuove e inaspettate per una nuova scuola e una nuova organizzazione sociale.
Con la DAD, la scuola si caratterizza come “utopia” ossia, etimologicamente, come non-luogo, ou-topos, finisce per dematerializzarsi, per smantellare la localizzazione. La scuola diventa assenza dei corpi, limitazione dei sensi. Certamente ciò comprende aspetti di negatività fortemente sottolineati dai tanti osservatori che, ultimamente, hanno affrontato queste tematiche, ma può contenere anche i germi di una inaspettata carica liberatoria. Se l’assenza dei corpi e la limitazione dei sensi porta necessariamente ad una menomazione della relazione umana e didattica, proprio l’assenza del corpo, però, apre la possibilità di una maggiore libertà. La didattica a distanza, se ben praticata, salvaguarda quell’indispensabile transfert emotivo e affettivo che consolida la relazione didattica e, allo stesso tempo, lascia liberi e slega i corpi. Oggettivamente nella nostra scuola permangono aspetti ancora fortemente impositivi e ancora vi si esercita un certo potere. La scuola, come la fabbrica sociale e sul modello della fabbrica, deve costruire un certo tipo di individuo che sia funzionale al modello produttivo e replichi la divisione del lavoro e la composizione di classe. L’individuo è soggetto a continuo controllo e valutazione e deve generare un determinato “profitto” scolastico.
La mancanza di una restrizione in un luogo deputato, slega i corpi dal controllo, dalla catalogazione, dalla schedatura, dalla valutazione, dal continuo esame.

Non solo, ma per dirla con Foucault, in questo caso, smantellare il luogo, decostruire la localizzazione, equivale a smontare gli ultimi residui di quella istituzione disciplinare che è stata la scuola. La scuola come luogo e istituzione si estingue.

Non vogliamo dire se ciò sia bene o male, weberianamente ci asteniamo da giudizi di valore, ma consideriamo il fatto che, questi processi di trasformazione, ormai, sfuggono al controllo della politica e della economia, ma sono guidati unicamente dall’ineluttabile dominio della tecnica.
La DAD, come oggi è impostata, rimane legata ancora a modalità “scolastiche”, si rispettano gli stessi orari della scuola in presenza, si controllano le assenze, si replica la valutazione, si comminano sanzioni. Ma, la DAD, contiene in sé, la possibilità dell’utopia; questa volta intesa nell’altra accezione semantica della parola, cioè una apertura all’immaginazione di un modello diverso di scuola che ora non c’è. Una scuola della libertà. In cui i discenti individuino le proprie materie di studio secondo i propri interessi e scelgano liberamente gli orari e la durata delle lezioni e in cui ogni studente scelga il proprio docente.
Tutto questo comporta una trasformazione generalizzata della struttura della società. Una ridefinizione radicale della organizzazione sociale a cominciare dal tempo. Dal tempo dedicato alla cura, al tempo dedicato al lavoro. La tecnologia già rende possibile tutto questo; una liberazione dal tempo come costrizione, per una visione del tempo come tempo ritrovato. Una società più a dimensione dei ritmi dell’umano, più che dei ritmi della produzione. In cui ci sia una attenzione biopolitica maggiore alla salute, all’ambiente, alla Terra.


Featured Image by Robert Bye

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