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Montorfano | Pietà Rondanini

L’arte genera Idoli. Ma cosa succede quando guardiamo questi Idoli nella completa libertà dello sguardo? Cosa sperimentiamo quando ci permettiamo di ribellare il nostro osservare?

Ci avviciniamo e poi ci allontaniamo, vi giriamo intorno alla ricerca di qualche traccia che possa risolvere la nostra curiosità in merito alla sua incompletezza, ci fermiamo e la riguardiamo senza saper identificare con chiarezza perché questa statua mancante di qualcosa sia così bella, perché ci seduca con così poco, perché spinga il nostro desiderio di guardarla ancora lasciando una bruciatura sul tempo. Senza accorgercene, ci scopriamo seduti di fronte a lei guardandola come si fa con le creature appena nate. Un profondo senso di protezione e di tenerezza ci avvolge e ci tenta verso quei due corpi incompleti, quei due volti indefinibili e pieni di amarezza, di dolore. Il figlio cade, la madre lo sorregge. Le ginocchia, le gambe piegate. Il tronco che scivola verso una terra che non c’è, che non riusciamo a vedere. E la madre, con la schiena, il viso rivolti verso di lui, a tentare di fermare quella caduta nella morte, sebbene sia già morte quella carne che non ha più forza, che non ha più il tempo di opporsi, di resistere, di schiacciare la terra con i piedi, di guardare al volto della donna che è cielo sopra di lui.
Ma ecco, appena ci spostiamo a destra, siamo rapiti da un miracolo. La materia cambia consistenza. Il marmo sembra diventare leggero, audace. E i due corpi ora non hanno più peso nell’aria che li sfida. La schiena flessa della madre avvolge quasi completamente il Cristo e l’arco che disegnano segue il medesimo cadere che ora si trasforma in danza, conferendo alle figure una leggerezza suggestiva. Liberati dal cuore del dolore, si consegnano all’infinito dell’adorazione.

Ma cosa succederebbe a questa statua se smettessimo di guardarla nella sua completezza sentimentale, se lasciassimo il nostro cuore due passi indietro al nostro desiderio? E cosa vedremmo se non giudicassimo il non-finito come l’impossibile che crea il mondo? Dovremmo crudelmente annotare tutto ciò che legifera una realizzazione mancata.

Ecco allora un braccio sinistramente sospeso a mezz’aria, il viso di Cristo compresso e schiacciato nel muscolo orbicolare e del procero, dallo sfenoide al vomere una grande depressione. La schiena accennata da una spalla e quella della madre chiusa in un guscio. E così proseguiremmo palmo a palmo su tutte le parti del corpo sostituendo alla parola “sgrossate” dallo scalpello il più crudele “martellate”. Scalpello che buca, che fa saltare il marmo, mani che stringono gli strumenti per dare forma alla materia che il tempo non permette di formare lasciando spazi, angoli bui.

Ecco i due volti indistinguibili di Cristo e di Maria. Ecco le due figure indistinguibili di maschio e femmina. Due figure desessualizzate. Due sessi che non dialogano più con le differenze né hanno rapporto con il loro corpo. E là dove il rapporto manca non c’è nemmeno esposizione, non c’è un esporsi ma una massa che si richiude. Due corpi senza corpo che compongono una semplice linea nell’aria. Potremmo provocatoriamente affermare che ciò che vediamo non sono due figure, due carni che si piangono ma un corpo unico che si duplica. Corpo diviso, corpo moltiplicato. Femmina e maschio senza misura comune. Corpo tormentato, disancorato. Corpo tagliente. Corpo amato.
Proprio come Afrodite che reclama alla propria anima la bellezza paritaria del proprio corpo così questa “Pietà” è il rapporto dell’origine e l’origine che si dissolve nel rapporto.

Come unificare allora ciò che i nostri occhi vedono e il nostro cuore emozionandosi fa morire? Come legare l’attraversamento di questi due percorsi così distanti dove madre e figlio ci guidano al pianto e il corpo unico, il corpo totale, l’Afrodite acuisce una distanza alla nostra prossimità?
Forse è il valore dell’approssimativo: l’approccio di ciò che resta fuori tiro. L’accesso a ciò che, una volta avvicinato, risulta non essere altro che l’avvicinamento.


Michelangelo Buonarroti | Pietà Rondanini | 1552-1553 / 1554-1564

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