Patregnani | Breve saggio sul poeta
Il poeta è una creatura di confine.
Si situa, geograficamente, nell’area liminare fra sé e il mondo.
E’ una spugna in grado di assorbire dati ed energia dal contesto per poi rielaborare le informazioni memorizzate utilizzando un linguaggio. Non il linguaggio della mera comunicazione (poiché – apparentemente – poetare non ha uno scopo funzionale), non il linguaggio burocratico né tanto meno quello scientifico, settario e incomprensibile ai più.
Il poeta usa il linguaggio comune, quello letterario e quello del ritmo, modulandolo su strutture universali, che sono proprie di ogni essere vivente per come noi lo conosciamo: si basa sui sensi, sulla percezione, sull’intelletto, sul respiro, sul linguaggio.
Eppure, si potrà obiettare, il significato del linguaggio poetico è spesso astruso, non sempre accessibile ed è esso stesso settario; quel che è peggio, è che è un linguaggio interpretabile. Per capire il poeta occorre saper leggere tra le righe. Per conoscere il poeta occorre mettere in atto uno sforzo paragonabile a quello di conoscere se stessi; occorre spingersi verso i limiti, situarsi al confine tra due mondi. Spesso, alla fine di un percorso poetico, si scopre che i risultati ottenuti non sono quelli sperati. Questo accade perché il poeta è un cercatore. La sua ansia espressiva non conosce pace. Egli probabilmente sa già in partenza che non troverà mai l’oggetto delle sue ricerche, tuttavia per lui è impossibile porre rimedio alla sua ossessione. Quand’anche crederà di averla placata, essa si ripresenterà sotto nuove forme, costringendolo a tornare a scrivere.
La poesia è allo stesso tempo arma di difesa nei confronti del mondo esterno e arma del delitto che egli compie verso se stesso. Scrivere è un’attività ambigua, carica di tensioni contrastanti, liberazione e tortura allo stesso tempo. L’ansia di espressione è perciò costituzionale al poeta; egli è, decisamente, un condannato a morte.
Il poeta è un rabdomante. Mosso dallo stesso desiderio che spinge i popoli a spostarsi di confine in confine, egli attraversa mondi. Lo fa con la bava alla bocca del cercatore d’oro, lo sguardo ferino del cacciatore, corre con l’angustia della preda nel petto. Il poeta è un egotista e nel suo culto dell’io, è estremamente sincero. Non dirà mai nulla, su di sé, che non pensi veramente. E quasi mai, nelle sue poesie, egli parlerà di qualcosa che non sia riconducibile a se stesso e al suo mondo interiore. E’ un microcosmo che indaga incessantemente le proprie leggi. Lo sguardo del poeta è indiscreto. Travolto dalla sua inquietudine, egli non può fare a meno di trasformare ogni cosa in oggetto della sua impietosa osservazione. Lavora al microscopio, utilizzando i luoghi che attraversa come suo laboratorio. Il poeta è, infine, un collezionista. Vorrebbe essere un compilatore di atlanti, un cartografo di universi paralleli. Che colpa ne ha, se alla fine si accorge che non basta una vita per svolgere il suo compito? Ha messo insieme qualcosa di simile a un museo, ma lascerà parecchio lavoro ai posteri, perché il poeta è anche un essere disordinato. Segue tracce imprevedibili, lascia la logica al suo posto.
Testo già pubblicato su “Rivista” n. 1 Aprile 2020.
Photo by Thomas Franke