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Patregnani | Un vocativo irriverente

Sortilegio

Per un giorno e una notte stetti
piegata in due dal dolore:
lo stomaco è femmina.
Come lo sguardo di un cane randagio
lungo la strada – custode
disprezzato dalla strada.
Come la sfortuna sfacciata
riflessa nei vetri rotti dal pettegolezzo
di una strega – seduta assorta
sul ciglio della via.
Un tempo oracolo,
ora menzogna – il cane,
la donna.
Stanno entrambi ai margini
aspettano pazienti che qualcuno
getti loro un osso.
La pelle abrasa dal sole e dal vento
– monumenti all’amore perduto,
alla vendetta compiuta.
Il giorno in cui lo stomaco
si strinse tanto da farmi svenire
ne tolsi un osso di pesce,
forse una testa di orata.
Aveva l’odore dei campi arati
e della paura del sole che brucia
– l’odore di una femmina in calore,
l’odore della luna meschina.


 

Matera

Non esiste una sola Cartagine
rasa al suolo e dileggiata dalla furia degli imperatori.
C’è un vento che – con le sue dita,
nella sua bramosia
consuma ciò che ama.
Ed è un vento che tutto ama,
e trasforma tutto
nel ricordo di una città perduta.

È il vento elefantiaco di Fernweh.
Questo è quello che ho saputo
arrivata a Matera,
seguendo un sogno ricorrente.

Ho seguito le orme – le ombre –
lasciate dalle rondini, dai tetti piovosi del Nord
alle piazze meridionali del deserto a mezzogiorno.
Quello che ho trovato, una città in dissolvenza.

Sapevo che, nelle piazze di quella profonda
terra ancestrale, il tempo appartiene
agli orologi rotti.
Nessun cuore di tufo o marmo
batte in questa oscura era.

Il mio sogno ricorrente mi portò poi al mare,
ma all’improvviso capii che era solo un sentiero
lasciato dal mare, tra antiche argille.
Era un lago, un sogno fatto dal mare.
Un lago simile al mare che sognava mari.

Ho sentito il senso profondo
– un diluvio di sensi –
di ciò che un amico
– forse immaginario
mi ha insegnato a chiamare Heimweh.
Ed è per questo che sono costantemente
sulla via del ritorno a casa.


 

Da anni

Insistentemente
mi si chiede
– le mosche che ronzano
nella stanza me lo chiedono –
che vado cercando.
Sto cercando un nuovo linguaggio
un interstizio
dove il mistico stringa a sé
l’intellettuale
e la luna cresca e muoia
senza doversi giustificare alle maree.
Che la sofferenza e la lotta
da oggi
– sanguineranno orecchi –
cambino sintassi!
Che escano il pudore e la vecchiaia
sul palco, a braccetto
e si prendano lo schiaffo glorioso
della gioventù presuntuosa!
Che vincano i paurosi!
Io me ne sto qui
– amaramente cercando
tra le mie carte sparse –
un vocativo irriverente
che possa esprimere distacco
e non invocazione.

 



Photo by Hello I’m Nik

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