Schiattarella | Corrispondenze
Ricorrere all’interpretazione della realtà o dei sogni mediante i numeri è prassi talmente comune nella vita di un napoletano che, talvolta, si finisce per comunicare, più che con le parole, con cifre apparentemente senza senso per un non partenopeo -da cui l’espressione dare i numeri – ma che, all’ombra del Vesuvio, sono del tutto motivate. Se doveste, ad esempio, essere terrorizzati nel cuore di Napoli di certo, non diranno Poverino, si è spaventato! ma Puverielle, ‘a fatte nuvante (90)!; se dovessero appellarvi con un bel 23, sappiate di non aver dimostrato grande intelligenza mentre con un 48, invece, vi consiglio di allontanarvi in fretta. Se al risveglio, poi, vi venisse in mente di raccontare un sogno particolarmente significativo al vostro oste, non meravigliatevi se spediti nella più vicina ricevitoria per giocare al Lotto. Ma è durante il periodo natalizio che questa ostinata simbologia raggiunge i massimi livelli, quando in tutte le case almeno una volta ci si siede a tavola, tra struffoli, ciocere (frutta secca) e cartelle per segnare numeri, a malapena nominati, perché citati solo con i rispettivi segni della celebre Smorfia.
Che voi ci crediate o no, finireste per essere affascinati da questa magica corrispondenza tra fatti e numeri. Perché? La risposta è proprio nella forza delle tradizioni napoletane che affondano le radici nella notte dei tempi, in quelle forme di pensiero ataviche, capaci di sopravvivere all’incalzare della modernità che propone modelli di conoscenza sterilmente settoriali. Se, come Albert Einstein sottolineava I problemi che abbiamo non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero che li ha generati ne consegue che, se il massimo dell’intelligenza si esplica nella tanto osannata capacità di problem solving, allora, ciò che serve, forse non è una particolare specializzazione -solitamente a carattere logico-matematico-, ma un’attitudine a trovare corrispondenze tra ambiti anche molto distanti tra loro, proprio come tra parole e numeri, sogno e realtà, sentimento e ragione, letteratura e scienza.
La tradizione ebraica della qaballah, da cui prende ispirazione la Smorfia napoletana, attraverso la Ghemetria, mirava proprio ad attribuire alla lettera/parola un valore numerico per scoprire la vita che si cela sotto le forme esteriori della realtà e render visibile quell’abisso in cui la natura simbolica di tutto ciò che esiste si rivela per usare un pensiero di Gershom Scholem, filosofo-teologo e semitista israeliano che riteneva il tentativo importante per noi oggi quanto lo era per gli antichi mistici.
Non a caso su tale scommessa si basa uno dei capolavori più illustri della letteratura mondiale, la Commedìa di Dante Alighieri, in cui il contenuto ultraterreno è stato narrato in una forma sapientemente plasmata dalla cosiddetta mistica dei numeri.
Certo non è una scoperta che l’intera opera sia intrisa di numerologia cristiana: l’1 simbolo della divinità, l’origine di tutte le cose, il 3 della Trinità e perfezione divina, il 7 di quella umana e via di seguito con i vari multipli; ma quello che si vuol fare qui è andare oltre il mero significato simbolico di fatti e numeri per trovare una perfetta corrispondenza tra intento dell’autore e opera compiuta. In altri termini, è possibile che una mente così geniale quale quella del Dottore di Firenze abbia lasciato al caso il numero di versi del suo poema o piuttosto è plausibile che quest’ultimo si sia sviluppato sulla base di un numero ben preciso che abbia offerto un ordine precostituito alla tumultuosa materia da trattare?
Esasperando alla maniera dei cabalisti -o, a questo punto, semplicemente di un napoletano- la ricerca di un significato recondito nella progettazione dantesca proviamo, quindi, a soffermarci su quest’unica cifra per spiegare l’intera struttura, ovvero 14233, il totale cioè dei versi endecasillabi che compongono la Divina Commedia. Procedendo da destra verso sinistra, troviamo il numero 3, come già ricordato fondamentale nella Cristianità e, di conseguenza, nell’opera: i versi sono, infatti, raggruppati in strofe da tre con schema metrico ABA BCB…, per questo dette terzine incatenate e 3 sono pure il numero di cantiche in cui risulta diviso il poema (Inferno, Purgatorio e Paradiso); 33, invece, i canti per cantica, per un totale di 99, ma a questo numero va aggiunto il canto introduttivo dell’Inferno, rappresentato dall’1 del numero di partenza (14233), portando quindi il totale alla perfezione, un centinaio, tondo tondo. Ma non è finita qui. Considerando la lunghezza di ogni canto: l’Inferno varia da un minimo di 115 versi ad un massimo di 157, il Purgatorio da 133 versi a 160 e il Paradiso da 130 a 154, per una media, rispettivamente di 139, 144 e 142. Risultato della media totale? 141,6 che arrotondato per eccesso equivale proprio a 142, la stessa cifra del Paradiso e la stessa che compare nel nostro numero di partenza, il 14233!
Qualcuno potrà dire che sono solo numeri, anzi, che si stanno dando i numeri ovvero che si farnetica come dei folli; ma a Napoli come si è detto, l’espressione non indica solo qualcosa privo di senso, al contrario può valere anche come qualcosa che deve essere rivelato.
Del resto non era proprio il Sommo Poeta a ricordare
“O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame de li versi strani”
(Inf. IX, 61-63)
invitando il lettore, a ricercare sempre la verità della conoscenza sotto la fitta rete delle corrispondenze? Che sia questo il suo messaggio di fondo, valido, oggi, ancor più di ieri, per un’umanità costretta a confrontarsi con un sapere sempre più schizofrenico?
Foto di Danilo D’Agostino