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Schiattarella | Il contagio

Non sappiamo da dove arrivi, è invisibile a occhio nudo, si trasmette da una persona all’altra, trasportato dall’aria che, dai nostri polmoni, fuoriesce dalle labbra, passando prima per gola, cavità orale e nasale. Una volta fuori, si attacca alle persone, alle cose… Contamina l’ambiente circostante in misura direttamente proporzionale alla sua carica di contagiosità: se troppo bassa, finirà per disperdersi come se non fosse mai stato emesso; se troppo alta, è potenzialmente letale. Determinante è lo stato del soggetto ricevente.
La fenomenologia di un nuovo virus? No, questo lo conosciamo da millenni: ha attraversato i secoli, utilizzando l’uomo come veicolo, grazie al quale si è evoluto e distinto in varianti diffusesi, poi, in tutto il globo. Di tanto in tanto, alcune di queste varianti, nocive per l’organismo umano, hanno finito per prevalere, dando luogo a epidemie che hanno falcidiato intere popolazioni.
Scientificamente noto come “Verbum communis”, è più conosciuto con il termine “Parola”.
Il romanzo distopico di G. Orwell, “1984”, -in cui un autoritario partito immaginario ha preso il potere della società, guidato da un invisibile ma onnisciente “Big Brother”, un Grande Fratello a larga scala- apparentemente, sembra un testo incentrato sulla storia di Winston Smith, un funzionario che tenterà di svincolarsi dalle morse del Partito; in realtà, ad una lettura più attenta, ci si accorgerà che il personaggio principale, così come il resto della società, è vittima di un virus geneticamente modificato, la Parola, appunto, che diventa così il vero “protagonista” dell’opera.
La Parola è, direttamente, al centro del processo di creazione della “Novalingua”, un vero e proprio sabotaggio linguistico “in divenire”, che fa da sfondo a tutta la narrazione, ben riassunto nei tre dogmi del partito:
“La guerra è pace
La libertà è schiavitù
L’ignoranza è forza”

E lo è, indirettamente, nel tentativo del protagonista di riappropriarsi dell’antica lingua attraverso una scrittura libera su un quaderno di carta, che diventa il primo fondamentale atto di ribellione per Winston: la ritrovata “capacità di formulare i suoi pensieri “, il cosiddetto “pensierocrimine” che, per il Partito, “non implica la morte: […] è morte”.

Che il testo sia costantemente incentrato sulla contagiosità della Parola, ce lo conferma la stessa impalpabilità del Capo del Partito, che finirà proprio per identificarsi con quella “Parola” che si insinua nel pensiero, che influenza la vita, capace, cioè, di mandare in “tilt” non solo la mente di Winston ma tutto il sistema.
Visto così il romanzo non ci sembra poi tanto distopico, tanto distante dalla realtà, se consideriamo i totalitarismi del XX secolo: il germe della Parola, alterato ad arte, trovando delle società immunodepresse, a causa di una dilagante smania di potere mista ad una fragilità delle coscienze (lo status determinante del ricevente, di cui si parlava all’inizio), attacca senza pietà gli smarriti individui di inizio Novecento.
Una società letteralmente malata, infettata dalla propaganda razzista di fine ottocento. E non parliamo solo dell’autoritaria Germania di Bismark, ma anche della civile ed evoluta Inghilterra, in cui un gentiluomo come l’autore R. Kipling, noto per il meno compromettente “Il libro della giungla”, si sentì in dovere di scrivere “Il fardello dell’uomo bianco” , invitando i suoi concittadini a sacrificare vita e progenie per la giusta causa della colonizzazione, necessaria perché unica via per civilizzare dei popoli, appellabili, solo ed unicamente, con la sbrigativa espressione “metà demoni e metà bambini”. Nello sterile binomio scelto c’è tutta la riluttanza di chi non vuole spendere tempo ed energie per comprendere la complessità dell’altro.
Ma se scarna e semplicistica appare la conoscenza di quei popoli, forte e ricco compare il virus della Parola, alimentato dalle teorie evoluzionistiche di C. Darwin, sapientemente riadattate allo scopo: un processo di alterazione degno di un Grande Fratello “ante litteram”. Così manipolato, il germe viaggia, di bocca in bocca, divenendo patologia collettiva. Una pandemia cerebrale che porta al delirio della “Soluzione finale per la questione ebraica”.

A questo punto, le diverse varianti del virus presenti nel mondo, si ritrovano rinchiuse nell’inferno dei campi di sterminio. E per varianti, qui, non si intendono le diverse lingue costrette a coesistere coattamente in quella che Primo Levi, nella sua testimonianza della Shoah, ha definito una vera “babele linguistica”. Si vuol portare all’attenzione, invece, lo sgomento della variante debole rispetto a quella dominante.
Anche in “Se questo è un uomo”, la Parola diventa l’elemento centrale non solo di un’opera ma di un’intera epoca: ad un “organismo” che presume di sapere, classificare, condannare, giudicare attraverso Parole sputate in un “droplet” nefasto, se ne oppone un altro, rimasto senza Parole, incapace di comprendere quindi la realtà.
Sono solo i primi istanti nel Lager, ma appare subito chiaro a Primo Levi che “la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo”, ed è evidente il valore dell’aggettivo possessivo “nostra” inteso non per “lingua italiana” ma per “lingua umana”. Ne consegue che l’altra, quella nefasta, non possa essere più considerata umana, al pari del suo organismo ospitante, perduto per sempre nella follia febbrile.
La paura che si avverte nel testo di Primo Levi, così come nei racconti degli altri sopravvissuti, è quella di non essere più padroni della “parola”; paura che si traduce nel timore di non riuscire a ricordare, a raccontare quanto vissuto. È allora che entra in scena la Variante Benefica che, stimolata da determinate condizioni ambientali, si risveglia e si impadronisce del suo “portatore” che si fa “portavoce” . Come un fiume in piena sgorga la testimonianza che diventa “memoria condivisa”.
L’Enciclopedia Treccani definisce come “vaccino” una “preparazione rivolta a indurre la produzione di anticorpi protettivi da parte dell’organismo, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva” in altre parole, viene stimolata la cosiddetta “memoria immunitaria”, gli anticorpi, memori del “virus” iniettato, lo riconoscono e lo distruggono.
Ecco l’importanza della memoria storica, unico vaccino in grado di debellare il Virus della Parola Letale, quella che sa come “demolire un uomo” dietro ai suoi “im-memori”: sporco negro, giudeo, frocio, ritardato, vacca…”
Una volta vaccinati, proviamo a cantare, con Sergio Endrigo, le parole di Gianni Rodari:
“Abbiamo parole per vendere, 
parole per comprare, 
parole per fare parole.
 Andiamo a cercare insieme 
le parole per pensare.
Abbiamo parole per fingere, parole per ferire,
 parole per fare il solletico.
 Andiamo a cercare insieme
 le parole per amare.
Abbiamo parole per piangere, parole per tacere,
 parole per fare rumore.
 Andiamo a cercare insieme
 le parole per parlare.”

 


Photo by Clay Banks on Unsplash

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