Belfiore | Resistere, come venir meno
Forse è uno di quei soliti e indicibili
pseudo calembour quello del r/esistere, credere
che vi sia storia e che uno strappo di violenza
sfugga dallo sfuggire, anche se a occhi chiusi.
Dell’altro più profondo, di più scuro sta di sotto
di quel tuo sguardo malinconico su una molotov
di quel dito che hai perso e che ti ciucci forte:
lacera te e la lacerazione, forte la spinta
che porta il fuori per finta ad autocostruirsi
da un vuoto aeriforme, e poi ti abbindola con forme
che vedi mentre vedi di vedere con occhio nuovo.
Ogni resistenza rispetto a un qualcosa di determinato si mostra come forma pervertita, un’azione volitiva (ma priva di arbitrarietà propria) che prevede uno scontro faccia a faccia tra volti di una stessa medaglia: si è con un linguaggio–un’estetica da contendersi, quindi con pressoché tutto in comune. Il determinato a cui si pone resistenza è inoltre sempre una composizione fittizia, posta sotto condizioni ideali e secondo connotati precostituiti e selezionati dal resistente stesso (a sua volta già precostituito da altri molteplici input, oltre che dal suo proprio nemico), mostrando così come non vi sia resistenza verso il determinato che non determini comunque un potere. È inutile cercare reali e sottostanti forme di resistenza se non tra quelle che rispondono a un qualcosa di più incontrollabile, profondo e indefinito: si resiste sempre a una sensazione vaga ma intensa come di perdita di non si sa cosa. Si potrebbe dire di come tutto il resto sia in realtà un surrogato, un divertissement di contro a questa resistenza irresistibile. In questo senso, per fare a meno di perdere bisogna perdersi, arrivare così a un vuoto e al punto tale che, almeno per qualche istante, la creazione non coincida che con l’atto creativo (ormai irriflesso), ed è tutto un processo, ed è tutto un possibile.
Painting: “The Four Ages of Man” | Valentin de Boulogne | Oil on canvas – 96.5 x 134 cm | About 1629.