De Falco | L’assedio
Il virus non mi ha mai fatto paura. Mai, neanche per un attimo. Perché?
Non ho paura della morte? O della morte di chi amo?
Sono morte tante persone e tante hanno sofferto, forse tutti in qualche modo hanno sofferto, eppure mi sembra che il virus non riguardi la morte.
La morte in fondo è la soluzione. Anche se ha delle conseguenze impossibili da definire sulla vita, la morte fa dell’ingiustizia un mistero. E le viscere diventano polvere capace di andare ovunque.
Dovremmo occuparci della vita, forse, che però non si vive solo… con la vita, come diceva qualcuno.
Dovremmo occuparci del dolore, nostro e altrui, e provare a capirlo e poi a riposare, a correre su un prato. A salire su un albero. A fare qualcosa di serio. Ad abitare ancora l’immaginazione. A trovare un rimedio per questo virus che vede tante morti in nome dell’amore. Tante donne, ma anche uomini che perdono se stessi, in nome del potere.
Presto arriverà la primavera, la stiamo aspettando tutti. Lo spettacolo dei fiori e delle gemme, del sole che comincia a scaldare il nostro corpo ci porterà sollievo.
Tutte le stagioni sono belle, spesso sento dire di preferenze in merito. Come si fa a non amare il caldo che ti permette la nudità? Eppure cosa faremmo senza inverno? Senza il riposo che l’inverno ci permette di fare nella notte profonda. Senza quel freddo che ci costringe a trovare il caldo in noi. Senza autunno… che abbraccia la nostra esistenza con mille sfumature e ci chiede sempre, costantemente, di cambiare. Di amare e sbagliare meglio.
Il mondo sta finendo, è cominciata la sua fine? O solo quella della razza umana che non ha avuto il coraggio di una guerra totale ma che ha dissipato la sua intelligenza nella corsa al potere?
Che cos’è il potere?
Non ho niente da dire eppure vorrei scrivere. Ho qualcosa da dire, eppure non vorrei farlo.
Il potere della parola, vano come vano è tutto. O niente.
La solitudine per esempio, serve a qualcosa?
L’assedio. Eravamo già assediati. Dalla pubblicità, dallo spettacolo onnipresente. Tutto, o quasi tutto, era diventato spettacolo, già mangiato dalla pubblicità: la politica, il lavoro, l’eros, la scienza. L’ansia di comunicare (dimenticando forse davvero cosa dirci…) si era presa anche il piacere di lanciare una parola nell’aria. La vita trasformata in uno show dipinto non più a mano.
Quando si vive nel panico, nell’isteria, nel controllo costante, il corpo perde il suo tempo. Un altro tempo t’invade ma non come fa il vento che lascia sempre un buco da cui possiamo scivolare dentro.
In questa società di voyeur affumicati, il pubblico è entrato nel privato e si è mangiato il nostro corpo, i nostri sensi.
I nostri capelli come insalata, i nostri piedi come ossa da rosicchiare. Gli occhi.
La pubblicità evidenzia solo una cosa a mio parere: la solitudine. In fondo anche lo spettacolo evidenzia la stessa cosa.
Se invece ci fosse tensione, se l’eros palpitasse come un cuore nell’aria, se l’aria vibrasse tra i corpi, e tra loro e lo spazio (che non è mai stato solo un contenitore), se il pensiero commuovesse le nostre cellule del silenzio e risucchiasse le parole verso il sentiero di terra, allora, forse, cammineremmo accanto. Come antichi cavalieri, come Hansel e Gretel, come la rana e il ragno che non si guardano, ma si sentono ovunque.
Non c’è solitudine tra gli animali perché quando fanno spettacolo, quando si corteggiano, quando aspettano, sono oltre la felicità, sono radicati, come alberi, alla terra.
Ora guardo il mio cane correre nella tenuta verso il muro lontano per dire a quel suono estraneo che qui è lei il guardiano. Penelope il mio cane, dolce come una mela, come la prima e l’ultima mela e il nocciolo che resta sempre.
Gli animali sono il nocciolo dell’esistenza. Resteranno e daranno vita ad altre specie, dopo.
Gli ominicani, di nuovo con la coda, le sorescimmie, i topimbi, le ienegazze, i lupiani e gli artistucolatti.
Ora di questa vita rubata agli schermi cosa resta?
Le mani bagnate quando cucini, i capelli che cadono nella doccia, il vetro sporco della macchina, le fossette su qualche viso luminoso.
Bisognerebbe fare l’amore finché il virus non si mette in qualche angolo del mondo a riposarsi e vedere a cosa è servita la sua crociata, altro che astinenza e bavagli colorati. La primavera troverà dei luoghi per noi, perfetti, dove portarci ancora. E allora, i remi in barca saranno il premio finale…
Featured Image by P. De Falco