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Interview | Il Sarto di Ulm

Una domanda secca, per iniziare, che spero non suoni banale. Perché, oggi, fare una rivista di poesia?

Fare una rivista oggi è senza dubbio una scelta coraggiosa. Ma chi fa questa scelta ama la Poesia. Chi fa questa scelta non ha mai paura del confronto ed è disposto a mettersi in gioco per imparare sempre qualcosa e, se si è un poeta bravo, anche, indirettamente, a insegnarla.

Se non sbaglio, questo mese, considerando il numero zero, il bimestrale poetico «Il Sarto di Ulm» compie un anno. Come nasce questo progetto?

È stata una scelta soprattutto editoriale. Macabor Editore che ha due collane di poesia e sta finanziando un’opera colossale in 70 volumi, da me curata,  sulla nuova mappatura della poesia italiana, aveva anche nel suo progetto iniziale un bimestrale di poesia, appunto «Il Sarto di Ulm». E un semestrale di studi di letteratura che dovrebbe invece partire nella primavera del 2021.

Quando i più ormai si rivolgono al web per fondare nuovi blog, testate o spazi di discussione, perché hai scelto di fondare una rivista rigorosamente in cartaceo?

La scelta del cartaceo non vuol essere assolutamente di resistenza a un tempo che inevitabilmente sta cambiando. Non smetterò mai, però, di pensare a riviste, libri come oggetti fisici, qualcosa da toccare che lasci un ricordo tattile, olfattivo. Gli amanti del cartaceo sanno che i libri hanno anche un buon odore: profumano di carta e momenti di vita. Senza dimenticare i suoni: il fruscio della carta è così poetico, così magico. L’uso del cartaceo, a mio avviso, non sarà mai definitivamente abbandonato. Ma questo non significa che bisogna ostacolare la riproduzione digitale, sarebbe sciocco farlo. Ogni tempo porta i relativi cambiamenti e bisogna accettarli.

Rispetto alle riviste cartacee italiane esistenti, questa nuova rivista cosa aggiunge e in cosa si vuole differenziare? E, se ce ne sono, quali spazi lasciati vuoti vorrebbe andare ad occupare?

«Il Sarto di Ulm»  accoglie i buoni poeti. Non importa se siano sconosciuti o già noti. È la loro poesia che ci interessa, la loro poesia a convincerci per la pubblicazione: il valore dei testi insomma e nient’altro. Personalmente sono ossessionato dalla leggibilità. Credo che una rivista debba essere leggibile. Forse ci differenziamo in questo. In molte riviste si cerca di coprire ossessivamente ogni spazio con notizie, poesie e altro per accontentare probabilmente più abbonati possibili. Noi questo non lo facciamo mai. A tal proposito, per molti è stato sconcertante il nostro invito ad abbonarsi al «Sarto». In una nota acclusa al Numero Zero  scrivevamo così: “Abbonatevi come lettori perché, per il bene della Poesia, bisognerebbe finirla, noi pensiamo, di continuare a fare riviste per poeti che si abbonano solo per vedere il loro nome prima o poi comparire su qualche numero. Noi vogliamo dei lettori di poesia e avremo grande rispetto  per quei poeti che, scendendo dal loro piedistallo, saranno capaci di riconquistare l’umiltà del grande lettore, senza nessun tipo di calcolo”.

A primo impatto, rispetto ad altre testate nazionali, mi è parso di notare nel tuo bimestrale un’attenzione particolare a voci per così dire più periferiche (geograficamente e non solo). A cosa è dovuta questa specifica sensibilità?

La sensibilità viene sempre da chi la rivista la dirige e inevitabilmente le scelte non sono mai diverse dal suo modo di pensare e di sentire. Sono stanco di vedere passare per buona, secondo logiche strambe e scambi di favore, poesia che non lo è affatto. Preferisco avere a che fare molto con la Poesia e poco con i poeti.

Come operate le scelte degli autori da pubblicare, e prima ancora, come vi orientate in questo affollamento per scoprire le nuove voci?

La buona poesia la cerchiamo da anni. Prima del «Sarto» ho diretto in passato altre due riviste di letteratura, quindi credo di essere un buon conoscitore di poesia. E mi sorprende molto il fatto che, dopo quarant’anni di attività nel campo della letteratura, rimanga ancora così viva in me la curiosità di andare a scoprire nuove voci, soprattutto tra i giovani.

Crocetti con «Poesia», Manni con «L’immaginazione», ora Macabor con «Il Sarto di Ulm». In questo parallelo, quali sono i punti di contatto e le divergenze tra il lavoro dell’editoria libraria di poesia e quello per una rivista?

In questo parallelo due delle realtà citate recentemente sono mutate. Qualche mese fa è morto Piero Manni ed è stata per il Sud una grande perdita. È chiaro,  l’editore Manni continuerà il suo percorso editoriale ma non sarà mai più come prima. Forse sarà anche meglio, ma mai più come prima: mancherà la presenza viva del fondatore.  Anche «Poesia» negli ultimi mesi ha cambiato un po’ pelle,  entrando a far parte del gruppo editoriale Feltrinelli. Anche qui si sa tanto di cosa ci si lasci alle spalle (la prima serie di «Poesia» ha dato voce negli anni a migliaia di poeti)  e poco di quello che sarà questa nuova avventura. Ma è chiaro che la prima serie di  «Poesia» ci mancherà. Dirò di più. Molti nostri lettori sono convinti che il «Sarto» stia coprendo il vuoto lasciato proprio da questa mutazione della rivista «Poesia».

Se per gli editori esistono diversi modi, oltre, e a volte prima ancora delle vendite, per avere dei ricavi, in che modi si sovvenziona una rivista e tutta la rete dei suoi collaboratori?

Come direttore editoriale della Macabor so che per fare una rivista di qualità si deve mettere nel conto, almeno nei primi due anni, il relativo deficit della stessa. I poeti, lo sappiamo, credono che l’abbonamento apra in automatico la strada della collaborazione. Da noi non è così. La strada si apre solo se sei bravo. Quindi delle difficoltà le avremo in futuro per far quadrare il bilancio, ma credo anche che una realtà importante come la Macabor saprà come risolverle.

Oltre che editore, sei a tua volta anche scrittore. In che modo la tua condizione di autore, e ancor prima di lettore, può aver condizionato da un lato l’identità e dall’altro le priorità della tua rivista?

Molto, credo. L’identità di una rivista è importante e  non si edifica sul nulla. Per salvaguardarla totalmente, il custode, è necessario che si senta vicino alla linea della rivista e non un estraneo.

Tra i libri che arrivano in casa editrice e quelli per la rivista, avrai vagliato numerosissimi poeti. Esiste, pur nelle differenze più lampanti tra le varie voci, un andamento comune sotterraneo, che può far ipotizzare la direzione che sta prendendo la nuova generazione della poesia?

Bella domanda. Cominciamo col dire che ogni cento libri che arrivano, quelli degni di nota si contano fra le dita di una mano. E che paradossalmente molti di quelli che non sono degni di nota, in rete sono notissimi,  perché molto bravi a muoversi in questi canali e a collezionare quei “mi piace” di scambio, in un rituale che spesso non ritiene necessario nemmeno la lettura di ciò che si condivide. C’è una grande confusione insomma ed è difficile capirci qualcosa. Quest’orgia di versi spesso privi di anima e vita pregiudicano la discesa nella profondità. C’è una grande voragine in corso tra il vecchio mondo e il nuovo e se prima non si assesta sarà difficile tirare le somme.

Con ormai un anno di storico alle spalle, forse è possibile fare un primo bilancio. Quali sono oggi a tuo parere le lacune de «Il sarto di Ulm», e quali i propositi per il futuro?

Non credo sia possibile fare un primo bilancio. Siamo ancora troppo pieni di entusiasmo e di passione per essere pronti a individuare lacune ed eventualmente migliorarci. Quindi questo primo anno dedichiamolo al cuore. Il prossimo  proveremo ad essere un po’ più distaccati.

 


Photo by Timothy Eberly

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