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Interview | Lucia Valcepina

Le parole costruiscono mondi possibili, creano sogni e si radicano nella realtà. Silvia Monti intervista Lucia Valcepina, scrittrice, attrice, giornalista.



 

Ciao Lucia! Comincio subito con una domanda diretta, tanto per rompere il ghiaccio: teatro e scrittura sono due tra gli ambiti artistici entro cui ti muovi… Quale è venuto prima?

La scrittura, senz’altro. Del resto, anche il mio incontro con il teatro nasce dalla parola scritta. Tuttavia, in una fase molto precoce, i due ambiti si sono intrecciati. Oggi non saprei scindere i due mondi, ma la scrittura continua a essere la mia “pratica quotidiana”, motivata anche dal mio lavoro per il giornale “La Provincia” e dalla collaborazione con varie case editrici.

 

La scrittura è un momento creativo molto intimo, personale, a mio parere. Tu hai anche collaborato con altri artisti, nel tuo percorso. Cosa puoi dirci a riguardo? E che differenza c’è tra lo scrivere un romanzo, scrivere per il teatro, e per un giornale?

Le collaborazioni e i confronti con altri artisti sono un modo per mettere in discussione la scrittura, destrutturarla e ricomporla entro opere corali. Nella mia esperienza, sono momenti preziosi che mi svincolano dall’io e mi collocano nella dimensione del “noi”.
Per quanto riguarda le diverse forme di scrittura – narrativa, teatro e giornalismo – si tratta di processi distinti, anche se suscettibili di contaminazioni.
Sul romanzo, lavoro a partire da una voce narrante che ritengo significativa e da un’urgenza: una domanda che mi “urla” dentro e alla quale cerco di dare forma. L’intento è quello di plasmarla entro i confini di una storia, lavorando molto sullo stile, di cesello. In questo senso, trovo delle affinità con la scrittura drammaturgica. Il ritmo, i dialoghi, i non-detti sono elementi imprescindibili e comuni alle due pratiche. La scrittura per il teatro, tuttavia, è un processo continuamente aperto, in fieri, che deve trovare voce e corpo nell’interpretazione e va mutando mentre lo spettacolo si definisce. Nella scrittura per il giornale, infine, gli obiettivi principali sono la massima chiarezza e precisione dei contenuti, il rispetto e l’adesione alle parole ed esperienze altrui e il tentativo, utopistico ma non vano, di contribuire alla diffusione della cultura. E della controcultura, se possibile.

 

Giornalista, scrittrice, attrice. E che progetti aveva la “Lucia bambina”?
Tanti e confusi. Fino ai diciotto anni, ho immaginato di diventare una chitarrista e, a lungo, la musica è stata la mia più grande passione. Dopo di che, con il trasferimento a Milano e i primi lavori presso il Teatro Franco Parenti e “La vita felice”, mi sono avviata sul doppio binario del teatro e dell’editoria. Da allora, mi è capitato spesso di collaborare con musicisti e di strutturare i miei spettacoli a partire da veri e propri copioni sonori. In fondo, la scrittura è ritmo, suoni, silenzi, chiasmi, esattamente come la musica.

 

Gli adulti sognano in modo diverso, dai bambini, secondo te? E gli scrittori? Hanno sogni che altri non saprebbero creare?

Credo che i sognatori non abbiano età. Li immagino come vecchi bambini o giovanissimi adulti. Quanto agli scrittori, non saprei. A volte, ho la sensazione che le dinamiche editoriali e commerciali pieghino i loro desideri a esigenze piuttosto basse. E non mi riferisco al sottosuolo, come sarebbe giusto, ma al “rasoterra”. Forse si è smesso di rischiare, di concepire il fallimento come una possibilità, come scrive Parazzoli nel suo bellissimo saggio “Apologia del rischio”. Detto questo, se penso a grandi autori e autrici come Camus, Brecht, Testori, Goliarda Sapienza, Virginia Woolf… tanto per citarne alcuni, trovo che la componente immaginativa e ideale sia centrale, il nucleo originario della scrittura stessa.

E a proposito di sogni…Se ti dico sonno, tu a cosa pensi?

Ai miei micro-sonni sul treno quando lascio la Valle,
ai pugnetti chiusi dei bambini quando sono immersi nei sogni,
al mio gatto, acciambellato sulla tastiera mentre tento di scrivere,
al mio vicino che casca dal sonno come Bukowski,
ai Notturni che mio figlio sta imparando a suonare,
alle notti turbolente, insonni e d’attesa,
ai fantasmi che alimentano l’immaginazione,
al “Sonno della ragione che genera mostri”,
allo sbadiglio triste dei politici,
al bisogno di dimenticare,
ai richiami degli animali notturni,
alla dolce paura di dormire nel bosco,
al sonno di Alfonsina Storni, e dei popoli, sul fondo del mare.

Sogni e sonno (questa è la mia impressione) caratterizzano in un modo particolare la co-protagonista del tuo romanzo (Il paradosso dell’ossigeno). Sto dicendo una sciocchezza?

Aphra, la madre, è di certo mossa dalle idealità: dalla favola viaggiante del teatro dell’infanzia, dall’idea di portare l’arte nelle periferie urbane, dal sogno di riconoscersi in un progetto culturale e civile. Obiettivi che, nell’Italia degli anni ‘60-70 del secolo scorso, sembravano raggiungibili. Del resto, la sua prima compagnia si chiama “Topi sulla luna”. In tarda età, quelle utopie non vengono meno, neanche quando la donna si trova costretta a chiedere l’aiuto di una figlia estranea e maldisposta nei suoi confronti. Il sonno, in alcuni momenti, le viene in soccorso, come torpore che la protegge dai pensieri aggressivi, e come oblio, possibilità di dimenticare, anche solo per pochi attimi, le crudeltà della vita.

Ecco…questa risposta mi fa pensare che il tuo romanzo abbia più strati di lettura. Perdona invece questa domanda che può suonare un poco provocatoria: il fatto di essere donna ti condiziona/ti ha condizionata negli ambienti artistici che frequenti?

Sicuramente. In ogni ambiente lavorativo, mi sono dovuta scontrare con paradigmi culturali duri a morire. E spesso, ad applicarli in modo miope erano le donne stesse, replicando dinamiche di potere che, a mio avviso, rappresentano il vero problema della nostra società. Detto questo, devo ammettere che ho trovato al contempo, nel mondo degli artisti, degli scrittori e dei giornalisti, menti straordinariamente libere e aperte, con le quali poter indagare i chiaroscuri dell’umano senza cliché.

Da una parte i tuoi progetti artistici, dall’altra la vita quotidiana e i mille impegni. Hai degli spazi tutti tuoi, da dedicare solo a te stessa? Cosa ti piace fare?

Mi piace camminare sui sentieri poco battuti o lungolago in solitudine, smarrirmi tra il pubblico nei concerti e durante gli spettacoli, uscire di casa senza avere una meta. A volte, salgo sulla bici e inizio a pedalare, per poi accorgermi di essere arrivata troppo lontano.
Sul più bello, è sempre ora di fare i conti con l’orologio.

Ti andrebbe di raccontarci un momento/fatto della tua vita che ha condizionato in maniera decisiva le tue scelte?
Posso citare il primo di una serie: mi trovavo a Lisbona per studio, ero convinta che fosse la città ideale in cui vivere, più o meno come Giulia nel “Paradosso dell’ossigeno”, ma, a un certo punto, mentre progettavo i mesi successivi, ho sentito il bisogno di tornare. Da quel momento, la mia vita è stata tutta un susseguirsi di “ritorni”.

Togliere è più difficile che aggiungere, ci siamo dette. Potresti spiegare meglio questo concetto che a me sta molto a cuore?
Togliere, in realtà, è la pratica che mi soddisfa di più, nei termini del “levare il superfluo”, l’inutile, nell’arte e nella vita. Scoprire che una pagina può racchiudere una verità se si lavora soprattutto sugli spazi bianchi, sui silenzi. Nella vita quotidiana, combatto ogni giorno con l’accumulo, con l’acquisto compulsivo, con la comunicazione bulimica, e alla fine, sto davvero bene quando posso passare del tempo con una persona cara guardandola negli occhi.

Grazie Lucia! Chiudiamo con questa domanda, se ti va: hai un progetto in testa, un sogno che speri di realizzare prossimamente? Puoi accennare qualcosa?

Sto per trasferirmi nuovamente e, questa volta, spero di riuscire a organizzare nella nuova casa una “stanza tutta per me”, con i miei libri attorno. Ormai ho cinque o sei librerie disperse e frammentate in mille scatoloni. Vorrei davvero trovare il tempo di raccogliere i libri che ho letto, amato, quelli su cui ho studiato e lavorato per gli spettacoli, le recensioni e gli eventi, in un unico spazio. Sarebbe un bel modo per cominciare una nuova vita.


www.luciavalcepina.it

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