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Interview | Montanari – Patregnani

L’appuntamento con la nostra doppia intervista si rivolge a due donne singolari e intraprendenti: Gabriella Montanari, fondatrice della casa editrice “Vague Edizioni” e Cristina Patregnani, ideatrice e realizzatrice della rivista cartacea “Rivista”. Le loro realtà professionali superano i confini geografici italiani e si contraddistinguono per un lavoro che si affaccia su esperienze linguistiche internazionali. Dalla vocazione di Vague a pubblicare autori francofoni passando per la produzione “multilingue” di Rivista, chiediamo a Montanari e Patregnani di raccontarci il motivo del loro eclettismo culturale.



 

Vague è una realtà editoriale che attira l’attenzione. È, come da voi stessi definita nel sito, “un viaggio itinerante attraverso le tante, diverse, ricche culture e letterature internazionali accomunate dall’uso della lingua francese”. Quando è nata questa peculiare idea di pubblicare libri di autori francofoni che provengono da oltralpe, ma anche da oltremare e da oltreoceano? E perché?

G. M. Vague Edizioni è arrivata successivamente a WhiteFly Press, che è stata la prima Casa Editrice che ho creato nel 2013 e che rivolgeva i suoi interessi alla letteratura anglosassone. Poi, essendosi intensificati i miei rapporti con la Francia, avendo io vissuto per molti anni a Parigi, mi è venuto naturale rivolgermi alla dimensione linguistica e letteraria francese e più in generale francofona, che è geograficamente vasta, coprendo vari Paesi, dall’Africa al Canada. Vague quindi è nata anzitutto da una personale predisposizione linguistica. Ciò ci ha permesso di gestire in autonomia le scelte e di essere direttamente coinvolti nelle vicende editoriali.

 

Quando è nata Rivista e qual è la ragione del suo nome?

C.P. RIVISTA è nata nell’inverno del 2019 – 2020, dopo che mi sono affacciata sul mondo delle webzine e delle zine cartacee europee e statunitensi. È dallo sguardo su queste realtà, estremamente libere e creative, che nasce il progetto. Ho deciso di chiamarla così perché, a mio parere, non esisteva ancora un esperimento del genere in Italia (almeno non di mia conoscenza). E quindi perché non partire dall’inizio, dal nome più semplice possibile? Inoltre non volevo che la scelta di un nome troppo particolare rischiasse di tarpare la lai al progetto, connotandolo in un senso piuttosto che in altro. Mi sembrò che il nome RIVISTA, nella sua “neutralità”, rispettasse la volontà di creare una pubblicazione estremamente fluida e di poterla mantenere tale nel tempo.

 

Esistono i mestieri e poi esistono le vocazioni. Nei casi più fortunati, le due cose coincidono. Come interpretate il senso del vostro pubblicare libri: c’è dell’altro, oltre a una opportunità unicamente professionale?

G. M. Certamente. Credo sia qualcosa che accomuna le piccole case editrici, soprattutto quelle specializzate, che escono dal mainstream e cercano di assecondare, incentivandoli, i gusti personali e quelli dei propri lettori che nel tempo, grazie ad una affezionata frequentazione, sanno cosa aspettarsi. Noi lavoriamo pochissimo con gli scrittori italiani (essendoci per loro già validissimi spazi di diffusione), perché ci preme delineare chiaramente le caratteristiche degli autori che ci piacciono e che provengono da aree linguistiche differenti. Abbiamo a cuore anche la cura del libro: il libro, inteso anche come oggetto, va infatti curato, ragion per cui spesso affianchiamo allo scrittore un artista o un fotografo che personalizzi le copertine attraverso immagini create ad hoc. In Vague, poi, abbiamo aperto una piccola Collana per l’infanzia e adolescenza in cui autori francofoni sono affiancati da illustratori italiani attenti alla sensibilità del bambino e alla sua possibilità di interagire con i testi.

 

Esistono i mestieri e poi le vocazioni, quale delle due opportunità rappresenta per te Rivista?

C. P. Di getto potrei rispondere vocazione; è innanzitutto la mia passione a guidarmi in questa impresa. D’altro canto, senza una buona impostazione tecnica il progetto non avrebbe senso; direi quindi che si tratta di un mestiere piegato a una vocazione, un’artigianalità messa al servizio di qualcosa che per me non ha e non deve avere limiti: la parola.

 

Alla luce della realtà in cui viviamo, fatta di repentini mutamenti sociali che spesso non si adattano alle vite intime di ognuno, che significato attribuite alla relazione con gli autori che pubblicate? 

G.M. I nostri rapporti con gli autori nascono e si sviluppano da conoscenze personali ma non condizionate da semplicistici rapporti preferenziali. Pubblichiamo ciò che ci piace veramente e ciò che va incontro alla nostra idea di letteratura. Il vero lavoro inizia dopo che è stato pubblicato il libro. Le presentazioni dal vivo, malgrado il rallentamento determinato dal periodo pandemico, sono l’anima delle nostre relazioni e del nostro modo di diffondere la pratica della lettura. Ad esempio, stiamo già riprendendo le attività insieme alla nostra autrice Juliette Nothomb, sorella di Amélie, specializzata nella letteratura per ragazzi. Saremo con lei soprattutto a Napoli e toccheremo con delle molteplici tappe tutti quei luoghi italiani aperti e ricettivi rispetto alla lingua francese.

 

Rivista si occupa di letteratura ad ampio spettro, toccando le sponde della traduzione. Anzi, è particolarmente incline a pubblicare autori non italiani, che provengono da aree anche lontane del mondo. Appare una sua marca identitaria. É cosi?

C.P. RIVISTA è nata come “magazine” di poesia bilingue, italiano – inglese. La mia volontà principale era creare un ponte tra la proliferazione di produzioni spontanee, a livello di scrittura, tra l’Italia e il resto del mondo, usando l’inglese come lingua “franca”, che rendesse possibile una lettura da parte di chiunque, almeno potenzialmente, fuori dalla nostra penisola. Quando mi sono arrivati i primi testi, inviati volontariamente dagli autori, ho capito subito che sarebbe stato un errore privare la rivista delle versioni in lingua originale (che non fosse inglese o italiano) degli stessi. La poetessa siriana Dua al- Bostani al-Fattohi mi ha illuminata in tal senso, inviandomi una poesia in inglese da tradurre in italiano per il primo numero di RIVISTA, allegando l’originale in arabo. É stato lì che mi sono chiesta: perché privare il lettore della possibilità di confronto con il testo originale? Ecco che il progetto, da bilingue è diventato, di fatto, multilingue.

 

Vague edizioni è annoverabile tra le case editrici cosiddette “indipendenti”. Quali sono i rischi e i vantaggi di questa specificità e cosa vi differenzia dalla grande editoria? 

G.M. I rischi sono a livello finanziario, di investimento. Tuttavia, a volte riusciamo ad avere dei contributi, soprattutto sul versante francofono, e allora abbiamo la possibilità di coprire le spese di traduzione e di acquisizione dei diritti esteri. Va da sé che spesso i tempi sono lenti e bisogna adeguarsi a dei ritmi che non dipendono da noi né sono immediati.
Il fatto di avere una nicchia piccola di lettori lo considero un vantaggio, oltre alla potenza del passaparola che premia sempre essendo un efficace mezzo di promozione, al contrario delle recensioni che a volte sono veicolate da altri interessi.

 

Sei fondatrice e realizzatrice della rivista; pur avvalendoti di bravi collaboratori, la fai da sola, nel senso artigianale del termine. Quali sono le difficoltà e i vantaggi?

C. P. Il vantaggio principale è la libertà, essenziale per me, visto che si tratta di un progetto che parte da un impulso passionale, di fare ciò che voglio. Lo dico senza mezzi termini: mi piace l’idea di non avere limiti nella mia espressione personale in fatto di estetica, selezione dei testi, scelte di traduzione. Non mi arrogo nessun diritto sui testi, che vengono inviati spontaneamente dagli autori e traduttori, e che possono da loro venire riutilizzati e riproposti in altri contesti. Quello che ho creato è uno spazio fisico di condivisione, nulla di più. In questo senso il lavoro che svolgo insieme ai vari autori, che sono tutti dei collaboratori, è molto stimolante e costruttivo. La principale difficoltà è legata a fattori di tempo ed economici.

 

Quanto utilizzate gli attuali canali di comunicazione e che tipo di uso ne fate?

G. M. Ne facciamo un buon uso e non un abuso. Per il tipo di messaggi che vogliamo veicolare Instagram e Facebook ci aiutano, ma vi pubblichiamo pochi e mirati post per assicurare la nostra presenza senza sfinire o stancare. Del resto, esasperare con un accumulo di informazioni può diventare rapidamente controproducente.

C.P. Rispetto alla realtà attuale che mi circonda, molto poco. Mi avvalgo essenzialmente di un profilo Instagram e di una newsletter. Forse è penalizzante da un punto di vista di diffusione del progetto, ma ritengo molto più penalizzante per il mio lavoro il rumore mediatico e lo stress che l’utilizzo dei social network portano nella mia vita personale. Al momento, gioco su questa delicata omeostasi che si è creata tra RIVISTA e i suoi lettori, fatta di meno post e parole ammiccanti di contorno, e più contenuti. Sperando che duri il più possibile.

 

La compagna di intervista a cui vi ho abbinati è Cristina Patregnani, che cura materialmente e pubblica autonomamente una rivista cartacea di letteratura e traduzione. Cosa pensate di questa sua impresa, che possiamo definire in solitaria? Credete nel potere diffusivo delle riviste cartacee?

G. M. Io sono fautrice del cartaceo, perché l’oggetto libro, di per sé, ha delle ripercussioni benefiche sul lettore. Le riviste cartacee sono state storicamente, poi, le antesignane della diffusione della cultura e credo si debba riservare loro un posto di prestigio, durevole nel tempo. Perciò a Cristina Patregnani e al suo coraggio va tutta la mia ammirazione. Intuisco delle affinità per il suo lavoro di traduzione e per la selezione di autori ricercati, non conformi a un gusto superficiale e omologato. Spero continui a mettere in pratica questa sorta di esercizio di bellezza e resistenza e spero avremo modo di trovare, prima o poi, un punto di contatto.

 

Di fronte al diffondersi del digitale, perché si dovrebbe scegliere oggi di leggere una rivista cartacea?

C. P. Per lo stesso motivo per cui si continuano a pubblicare (e a comprare, e a leggere) libri, e in generale prodotti, cartacei; credo che, almeno in parte, siano gli stessi lettori a chiederlo. Personalmente non amo il digitale, perché ho delle difficoltà enormi a leggere su supporti che non siano quelli “tradizionali” di carta. Perdo facilmente la concentrazione e i miei occhi si stancano in fretta. Anche nel lavoro di scrittura e traduzione, carta e penna rimangono per me strumento primario. Su questo mi sono confrontata con diverse persone, anche in fase di elaborazione del progetto, e devo dire che ho raccolto molte opinioni favorevoli a una rivista che non fosse digitale, o per lo meno, non solo.

 

La compagna di intervista a cui ti ho abbinata è Gabriella Montanari di Vague Edizioni. Conosci questa realtà editoriale che pure si caratterizza per un percorso originale?

C.P. Sono onorata di essere stata intervistata in parallelo con Gabriella Montanari. Conosco Vague grazie a te; mi sembra un progetto che merita di crescere, davvero interessante e coraggioso, con uno stile assolutamente unico e delle scelte editoriali autentiche.

 

Come è cambiato negli ultimi anni il rapporto con la lettura? Chi è, oggi, il vero lettore? 

G.M. C’è una definizione che non amo, quella del lettore cosiddetto “forte”. Ha qualcosa di quantitativo che non mi piace. Vedo una sovrabbondanza di lettori compulsivi, che esibiscono i titoli come se li collezionassero. C’è una tendenza del lettore “esibito”, insomma, che mal sopporto. Se seguiamo le statistiche, si arriva certamente ad individuare un blocco di lettori molto attivi: le donne. In particolare, quelle di età compresa tra i trenta e i cinquantacinque anni.
In generale osservo che ci sono differenze di lettori, c’è quello di narrativa e quello di poesia. Il primo abbraccia vari generi ed ha una disposizione più aperta verso il nuovo; il lettore di poesia, invece, è soprattutto colui che scrive versi. E quest’ultimo caso apre ad una serie di riflessioni, anche complesse, su come dovrebbe essere proposto e diffuso il linguaggio poetico nella nostra società affinché non resti circoscritto ai soli frequentatori del genere.

 

 


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