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Leone | Le regole del gioco

Forse il successo più grande e più duraturo di un’opera letteraria o artistica in genere è quello di esistere secondo la propria legge, possedere cioè un’originalità ed un marchio inconfondibili capaci di sorprendere l’autore non meno del lettore o dell’ascoltatore o dell’osservatore. Ma in quali circostanze un’opera raggiunge il suo scopo, il suo compimento, quello che possiamo chiamaresuccesso”? Quando una creazione può dirsi realmente riuscita? Quando un’opera nasce davvero? Per rispondere a queste domande possono venirci in aiuto le osservazioni di due autori capisaldi della cosiddetta letteratura mitteleuropea, Elias Canetti e Robert Musil. Nei suoi diari Musil scrive: “Un’opera è riuscita quando dopo un po’ di tempo ti viene incontro come un estraneo. Non sisarebbe capaci di farla così una seconda volta”. E Canetti, in uno dei suoi celebri libri di aforismi, dice: “Lo scrittore incontra i suoi personaggi solo dopo averli creati”.

L’opera letteraria non è, come a qualcuno viene fatto credere specialmente in questi tempi, l’espressione della propria personalità, né una confessione individuale o l’esaltazione di sentimenti, emozioni o semplici opinioni, né un semplice gioco linguistico, né il rendiconto pubblico della propria storia o la cronaca dei fatti (spesso ipermanipolati) del giorno. O comunque non è essenzialmente questo. Si situa invece in una zona di sorpresa (o, se vogliamo, di spavento), in cui  avviene il riconoscimento, o l’individuazione, di un altro che è in noi, un altro che conteniamo e che a sua volta ci contiene. Questo altro che è in noi, se individuato, se percepito e vistoprofondamente, se riconosciuto (evento piuttosto raro per non dire rarissimo) inventa e configura l’opera, la concepisce, la forma, la costruisce, sotto il controllo dell’unico strumento indubbiamente nostro e in nostro costante e pieno potere, una certo lavoro razionale, una certa cultura, una certa conoscenza tecnica determinata anche dall’esperienza.

 

L’opera che raggiunge il “suo” successo la scrive in realtà un altro e con ciò si potrebbe arrivare a dire che l’opera si scrive da sola, a mano a mano e pezzo dopo pezzo sotto i nostri occhi stupiti. Un altro essere detta le regole del gioco e lo conduce.

 

 

E’questa l’autonomia dell’opera rispetto alle intenzioni (a volte sbagliate o confusionarie) dell’autore, è questo l’estraneo che ti viene incontro di cui parla Musil o il personaggio che si conosce solo dopo averlo immaginato e solo dopo averlo creato di cui parla Canetti.

Quando, invece, l’opera rischia il fallimento? Si direbbe che l’opera fallisca quando nell’autore è presente un eccesso di intenzioni predefinite, un eccesso di forza, un “ingolfamento” della volontà, un volere assolutamente dirigere qualcosa in modo unilaterale e un perseguire un progetto della mente che potrebbe anche essere completamente inadatto.  Si direbbe che l’opera resti bloccata quando l’autore pretende di prendere il controllo in modo totalizzante, in modo eccessivamente rigido, senza lasciare spazio a parti inattese o misteriose, le quali non sono certo da ricercare in qualche strana estasi mistica o in qualche altro luogo simile, essendo semplicemente onnipresenti, anche se spesso nascoste.

L’Altro che inaspettatamente lavora all’opera e un certo giorno come per miracolo la compie sembrerebbe esistere davvero, ci sono elementi abbastanza inconfutabili per crederci. Sembra che viva nella dimensione dell’ascolto più che del dire, nel piccolo più che nel grande, nella debolezza più che nella forza. Ma chi sia o che cosa sia esattamente questo “altro”, nessuno lo ha ancora scoperto.


Painting: “Saint Jerome” | Valentin de Boulogne | c. 1618-20


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