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Melissano | Caso(mai) fuori casa

Ho appena visto un film che mi ha appassionato e sconvolto. Di un regista norvegese, Joachim Trier, racconta la storia di una figlia alle prese con l’allontanamento da casa. Il film si chiama Thelma, come la protagonista.
Che succede quando una figlia va via di casa, cosa pensa o prova, qual è il legame con i genitori rimasti in un villaggio lontano, dopo averle impartito solo regole e principi religiosi. Il film sviluppa una trama complessa, con molti colpi di scena, ma alla radice resta il concetto di libertà e affrancamento di un figlio dal sistema di trame e leggi familiari. Questo è il primo passo da compiere per svegliarsi dall’incantesimo familiare. Questo ce lo ricorda anche la bella addormentata nel bosco, c’è una famiglia che non può avere figli, e con l’arrivo di Aurora tutte le attenzioni ricadono su di lei, compresa la feroce volontà di decidere per lei, di darla in sposa a Filippo, di aspettare che tessa un figlio, ripiegata nel lavoro di donna e dama, fino a pungersi con il fuso, sanguinando la propria maturità, che per Aurora corrisponderà ad un sonno profondissimo. Chi risveglia una figlia dall’incantesimo di Malefica, e soprattutto chi è Malefica? Sono il padre e la madre, la corte e le fate, tutti gli abitanti del regno, che dormono fino al suo risveglio. Il risveglio lo compie l’amore. Nella fiaba Disney coincide con i progetti familiari, ma versioni più antiche dello stesso racconto parlano di un amore altro, di una scelta che recide gli ordini familiari. Solo allora può accadere il risveglio. Come per Thelma, la protagonista del film norvegese, che nel delirio di una possibile malattia mentale, trova il coraggio di uccidere e curare, e infine vivere il proprio amore come essenza di indipendenza, audacia, libertà. La strada che porta fuori di casa è la più insidiosa. Ma anche la più necessaria, <<per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie>> è scritto in Genesi e Marco.

La sfida richiesta al figlio è quella di accompagnare i passi del padre, come ci racconta Cormac McCarthy nel celebre romanzo La strada. Il figlio osserva i comportamenti del padre, lo segue, si lascia guidare, aiutare, infine una bronchite uccide il padre. Il figlio rimasto solo in un mondo ostile e post-apocalittico, ha registrato gli insegnamenti paterni ed è pronto a vivere nell’indipendenza, che coincide con una rinnovata speranza nell’umanità. Non c’è speranza senza rinnovamento, il soffio vitale, dai polmoni del padre, soffia in direzione del figlio e lo lascia proseguire sulla sua personale strada. Non è vero che il figlio può scegliere illimitatamente. La sua strada non corrisponde mai solo al desiderio, che altrimenti diverrebbe capriccio.

Si tratta di una sintesi fra legge e desiderio, come ci spiega Lacan. Solo nei confini del limite si può tracciare la molteplicità delle esperienze. Il limite più grande per tutte le culture resta l’incesto. Il padre testimonia quell’impossibilità, quel freno ad avere tutto, a disporre di tutto. Edipo si acceca a causa della sua smania di potere. Voleva tutto, anche il proibito, e l’inconscio glielo ha garantito. Tiresia, anche lui cieco, ma nella sottrazione. Perché aveva rinunciato al mondo esteriore per osservare solo i mondi che ci abitano dentro. Glielo aveva vaticinato. Edipo è il potere che superando sè stesso si ritrova nell’eterno ritorno del vincolo familiare. Svincolarsi vuol dire slegarsi. Edipo era stato abbandonato dal padre coi piedi legati, quell’assenza lo ha portato a spezzare i lacci della legge fino al parossismo del desiderio. Voglio tutto. Non mi ferma più nessuno. Molti figli interpretano la vita come assenza di legge. Nanni Moretti lo racconta per immagini in Ecce Bombo. Eccolo Bombo, l’uomo contemporaneo. Il padre si rifiuta di vedere con la famiglia la televisione, oggetto feticcio dell’illimitata fruizione, panopticon sul mondo. Ed ecco che il figlio, Moretti, schiaffeggia il padre. Il nuovo ordine capovolge i ruoli, la strada è perduta, sospesa. Gli educatori sono altri. Il figlio non aspetta di uscire di casa per realizzare il proprio desiderio. I legami sono recisi, il figlio-Dio può volere tutto, può fare tutto. E così facendo cade nella più profonda indolenza. “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente”. La socialità diventa mera apparenza. Figli come monadi autoreferenziali. La spinta vitale resta l’acquisto, il consumo, la visibilità, la notabilità, però diversa dal passato. Il notabile che la storia ci ha raccontato era un cavaliere disposto a rischiare la vita pur di essere notato. Recisi i legami familiari il figlio si assumeva il rischio di morire oppure conquistarsi notabilità rispetto al Principe, divenendo quindi un nobile. Il desiderio alimentava la sfida, la paura veniva annichilita dall’ardore del riscatto e della partita. Difficile trovare un paragone con i figli di questa nuova umanità. Il desiderio che apre la strada al sogno è chiuso in qualche box della Nike. Chiedendo e ottenendo, il figlio resta prigioniero di un involucro diafano che gli atrofizza le energie migliori. Eppure una direzione dovrà prenderla, e chi sarà ad indicargli la strada? Verrà eterodiretto dai media, dai social e da una cultura che sradica ogni legame offrendo illusoriamente una libertà assoluta, che nei fatti si realizza come libertà dall’Assoluto, quindi come insegna Max Stirner, nel suo L’unico e le sue proprietà, il concetto moderno di libertà nasconde la sua vera natura, ovvero il privare di qualcosa, il liberarsi da essa. Privati dell’Unico paradigma possibile, la vita diventa un centro da cui si possono diramare infiniti raggi, in uno spazio non più delimitato da un contorno nitido, bensì libero di espandersi verso un vuoto assoluto, oppure verso un vuoto di Assoluto.

 


Photo by Thom Milkovic

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