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Goffredo | Canto all’impermanenza

CANTO ALL’IMPERMANENZA

**

La mia strada è sola.

Sola è la mia strada.

Sola è la strada. Sola

non vi è altra strada.

**

Che ho da dirti.

Quasi niente.

Che avevo da dirti.

Mi sono distratto.

**

Qui non c’è nessuno.

Urlo ma non c’è eco.

Nessuno c’è e prego.

Fuori e qui, dove siete?

 

**

Il viso di questa età

è quello di un mugnaio

con una maglietta bianca

e un pantaloncino corto.

Alle quindici mi sciacquo

la faccia. Non voglio

dormire. Ho caldo.

La tua e-mail non arriva.

Soffoco. Gli occhi sono

piccoli come i tuoi capezzoli

al mattino. È come

un’ombra senza ricordo.

Le carte sbiadite.

Una cinghia contro

il portone che batte.  

**

Qualcuno bussa alla porta?

Nessuno bussa alla porta.

Qualcuno ha voglia di bussare

alla porta? Nessuno ha voglia

di bussare alla porta.

Allora nessuno busserà?

Nessuno nessuno arriverà.

 

**

Se scendo le scale mi accorgo

che scendo le scale. E non so

perché dovrei accorgermene.

Non c’è una ringhiera in questo

scendere le scale. Forse,

la vertigine di pensare

di farlo. E farlo, perché

è imprudente farlo.

Giacché è pur sempre vero:

“scendere le scale”. È vero.

Un po’ è l’abisso scendere

le scale. Forse, a ogni piolo

non esserci in fondo

la rosa di Santa Rita. O.

Non esserci forse nessuna rosa

e neppure il gradino.

 

**

Non basta il mio amore per spiegarti.

Non bastano tutti questi anni.

Se l’hai visto tu ne abbiamo le prove:

io sono proprio un impostore.

**

Il sole freddo se ne va.  

Un intimo pensiero mi culla.

Si ama e più si ama.

E’ non è nessuna cosa.

Rara pianta e intera.

Solo lo sguardo. Solo

lo sguardo. Euridice.

Da che parte ne usciremo:

temo neppure nell’aldilà.

**

Guardo il giardino.

Sprofondo nel dileggio.

Dammi la mano

O ’Attār.

Arcangelo

degli uccelli innamorato.

Tienimi fra le cose

e le ossa vuote.

**

Cosa posso dirti ancora:

che muoio se sono solo?

Il mondo passa dalle tue labbra.

Ma che vuol dire?

Temo non capirai

se neppure io capisco.

Perché in fondo è amore che ti chiedo.

Sembrarti come siamo.

Allora di che parlo?

Forse una tempesta di notte

il vento freddo e forte

io che esco fuori a cercare.

A cercare non so cosa.

**

Le bare messe in fila

come barattoli vuoti.

La vita che pesa sugli occhi

dovunque l’ombra lacera

delle voci, gli uccelli

più leggeri dell’ombra

come un male impreciso

e feroce.

Un secchio

rovesciato che non lascia

scampo, al bivio gli imperi

che distruggono le bambole

dietro un funerale.

L’ora di un futuro passato

che sfocia fra i cerri e i frassini.

Io-Dio e tutta questa morte

violenta che dice addio.

Te me dentro.

Rilucenza

senza riva, senza Iddio.

**

E così il mondo? E’ così che deve

soccombere: senza speranza?

Allora che rimane? Domani l’ultima

scena: l’impiccato a una croce

che ci crede. Un sottilissimo Dio che

precipita. Non so più che pensare.

Non ho altre prove. Manca il fiato

per spiegare. Per questo non so più

dirlo. Solo a crederlo è possibile.

**

Che sono innamorato

questo so, tutto il giorno

di un albero, di un prato

di un legno secco

di un paio d’occhi.

Sono come sono: il peggiore

degli impostori.

Che guaio svegliarsi

un mattino felice

a partire dalle tue labbra fiorite.

Che succede e non succede.

Che ne so.

È questo il punto dell’impostore:

irrimediabile amore.

**

Nessuna cosa è, ogni cosa è.

  È. e.

Ogni cosa verso l’erranza

riconsidera che tutto vive e si illumina

per essere lasciato polvere nella terra.

Che possiamo vedere?

Gli Dei facciano chiarezza.

Che i poeti scompaiano definitivamente.

Pura deità della natura.

È. O. e.

La poesia solo la Poesia del mondo

può sapere.

      Che può sapere?


Verses & Visuals by Giuseppe Goffredo

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