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P. De Giorgi | IL MEDITERRANEO E LA GRANDE ARMONIA

1. Una nuova urgente navigazione del Mediterraneo: Parmenide, Eraclito e la grande armonia da recuperare

La storia delle idee e dei comportamenti umani è segnata da innumerevoli fraintendimenti e banalizzazioni del concetto di armonia e dei suoi aspetti fondanti, unitari e ritmici. Ne consegue un’intollerabile violazione del delicato equilibrio ambientale e sociale nel quale agli uomini è dato di vivere. Si tratta di terribili e persino incredibili carenze del pensiero umano, che hanno portato al risultato autolesionistico di un grave, esiziale e irreversibile inquinamento della terra e del mare. Abbiamo bisogno urgente, pertanto, di una rappresentazione perspicua, di una concezione autentica dell’armonia in sé o armonia degli opposti, per capire come stanno le cose. Non possiamo ignorare che l’armonia in sé è la ubiquitaria compresenza delle due forze analogiche dell’universo, opposte complementari, che formano l’unità. È più che mai necessario superare le inquietanti interpretazioni dell’armonia in sé come qualcosa di mellifluo, sottinteso, banale, vale a dire come frutto di false conoscenze cagionate da un irrazionale nichilismo, vera e propria degenerazione della civiltà occidentale. Allo scopo e per porre rimedio al disastro, che si prospetta sempre più rovinoso sulla scena presente e futura dell’umanità, propongo qui una breve ma intensa “navigazione” tra alcune concezioni abbandonate, negate o non esplorate dell’armonia e, soprattutto, tra i suoi significati autentici.

L’uomo ha pensato per secoli e secoli, con immensa leggerezza, che le cose possano esistere isolate, separate dalle altre e dall’intero, vale a dire dall’Essere. La nostra navigazione comincia col rendersi conto della sconcertante spoliazione e diminuzione delle cose in quanto tali a oggetti isolati e della riduzione dell’armonia in sé, o armonia degli opposti, ad una forza unilaterale, positiva o negativa, separata dalla forza che le è complementare. Nel mondo contemporaneo i legami che stringono ogni cosa alla totalità vengono visti sempre meno. Sono tante le rovinose lacerazioni dell’equilibrio esistenziale della persona, cagionate da una visione del mondo ristretta, spesso confinata al materialismo semplicistico. E numerose fedi, teorie

scientifiche, filosofie e consuetudini quotidiane quasi sempre finiscono con lo scorgere surrettiziamente solo uno dei due corni del dilemma. La verità viene nascosta. E anche l’uomo in quanto tale viene ridotto dal nichilismo imperante ad un frammento temporale, con un inizio e una fine, amputandolo della relazione logica e incontrovertibile con il passato e con il futuro. Il punto di crisi sta nella conoscenza inautentica del mondo. Siamo di fronte a colossali errori della conoscenza, da identificare e da combattere con una presa di coscienza di amplissimo spessore, che lasci emergere il sole della verità. È possibile farlo. Navigando, infatti, già scorgiamo la vera natura delle isole. In superficie tutti noi siamo, secondo un noto assioma di William James, come isole distinte circondate dal mare che, però, in profondità sono unite dal sottosuolo della terra. La relazione tra le cose è, dunque, l’essenziale.

Il pensiero magnogreco dell’Italia meridionale offre una via di salvezza, valida e praticabile anche oggi. Il grande filosofo di estrazione pitagorica Parmenide, nato intorno al 515 a.C. ad Elea colonia greca del mar Tirreno, mostra con chiarezza esemplare il sentiero del giorno: “l’Essere è, e il non essere non è”: sostenere il contrario è un’insanabile contraddizione. Con l’affermazione che l’Essere è e non può non essere (e mèn ópos éstin te kaì ouk ésti me eínai; ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι), anzi che “è necessario” che non sia, nel poema Perί Phýseos (fr. DK B2, vv. 3- 5), il magnogreco Parmenide rivaluta la semplicità e il non nascondimento della verità1. Emanuele Severino, uno dei più autorevoli filosofi al mondo, nel significativo e rivoluzionario volume Essenza del nichilismo e nel saggio in esso contenuto Ritornare a Parmenide, mostra la stringente necessità logica di ritornare al maestro magnogreco di Elea per superare l’idea che possa esistere il nulla2. Una volta acquisito il principio di Parmenide, che è incontrovertibile, dobbiamo navigare al largo osservando meglio le cose intorno a noi e la totalità alla quale appartengono. Ogni cosa risponde alla legge immutabile dell’armonia in sé. Ogni cosa è, in altre parole, duale e oppositopolare, ha un versante opposto e complementare. Dall’armonia in sé il non-essere o nulla e tutte le forme di nichilismo sono radicalmente escluse. Ora, dobbiamo rilevare che la struttura armonica dell’Essere è anche la struttura della coscienza trascendentale. L’Essere equivale alla coscienza trascendentale, ossia alla totalità, a ciò che raccoglie in unità ogni cosa al mondo. Il trascendentale autentico, afferma Severino, “non è ciò che sta al di là”, non indica un altrove trascendente, ma è “ciò che raccoglie in unità il molteplice, e che è un raccogliere totale che non lascia fuori di sé alcunché3”. Dalla coscienza in quanto tale, infatti, non possiamo uscire, come scopre Schopenauer:

– […] niente è piú certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con

le cose distinte da lui: bensí tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza4-.

Per la sua natura esclusivamente coscienziale, il mondo intero è rappresentazione. Tutte le scelte che determinano inquinamenti, malesseri, miserie, malattie e morte sono per forza di cose rappresentazione. Anche i rimedi, però, sono necessariamente rappresentazione. Per questo, allora, la conoscenza autentica dell’armonia in sé offre in ogni tempo la possibilità gnoseologica di identificare e combattere gli errori. È nella coscienza che risiedono la verità e la salvezza. Ed è in realtà nella coscienza, che avviene anche questa nostra navigazione.

L’orfismo e il pensiero arcaico preplatonico detto sophía considerano la totalità come un’“armonia nascosta”, che corrisponde alla realtà ultima, ossia alla struttura dell’Essere. Sono innumerevoli i motivi per i quali l’“armonia nascosta” va riportata alla luce oggi al più presto, in questi tempi di gravissimo squilibrio ecologico e armonico. La realtà ultima come “armonia nascosta” corrisponde puntualmente alle affermazioni sugli opposti di un altro dei grandi filosofi arcaici, il sapiente Eraclito nato ad Efeso, grande porto del Mediterraneo, in un periodo che va dal 535 al 544 a.C. Eraclito nei suoi celebri frammenti scrive: “Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame […]” (Sulla Natura, fr. A 91 in SG III, pp. 88-89 = fr. 67 DK). L’unità divina e di ogni cosa, per Eraclito, è un’“armonia nascosta” (fr. 54 DK), all’interno della quale il tempo, nonostante sia immodificabile e infinito (aiόn), trascorre alternando tra loro le determinazioni opposte della realtà come giovane-vecchio, sonno-veglia, nascita-morte e via dicendo (frr. 2, 54 e 67 DK). Il principio supremo e divino, comune a tutto e a tutti, che per Eraclito governa l’intera realtà (fr. 1 DK) e la compone unitariamente nei due versanti opposti e complementari dell’armonia è il logos. Dunque, nel pensiero arcaico della sophía, del quale Eraclito è uno dei maggiori esponenti, il logos è armonia degli opposti. Il pensiero contemporaneo deve, oggi più che mai, tenere presente che è originariamente oppositopolare proprio il logos, vale a dire il principio che in ogni tempo mette insieme le cose secondo necessità, e che unifica le differenze. Il logos, che è anche “parola”, “discorso”, “ragione”, connota ogni cosa e con- sente di giungere in vita, unico strumento a poterlo fare, alla conoscenza autentica. La civiltà occidentale lo ha ridotto e travisato. Dobbiamo recuperarlo. Anche oggi l’armonia in sé, che corrisponde al logos correttamente inteso, esprime la compresenza degli opposti e, quindi, il ritmo eterno della vibrazione primordiale e della conoscenza autentica. Ora, dal momento che il non essere o nulla è un assurdo, come acquisito da Parmenide, l’uomo non può essere un frammento temporale. Il ritmo eterno della vibrazione

primordiale è anche ciò che consente la conoscenza della salvezza, o meglio la conoscenza autentica come salvezza.

Elea ed Efeso sono porti del mare Mediterraneo. Non a caso, un valido aiuto per cogliere lo stato reale delle cose in ogni tempo ci viene dal mare come tema significativo della riflessione armonica. Col suo movimento bipolare incessante di flusso e riflusso, l’immensa distesa azzurra del mare è già armonia in sé, ed è di per se stessa in grado di offrire prospettive di pensiero di alto livello. Il mare è un simbolo della duale e insieme unitaria vibrazione primordiale o armonia in sé, che Goethe chiama “grande armonia5”. La tradizione greca e magnogreca ritiene che corrisponda all’Oltretomba. Utile rammentare, in proposito, che secondo Plutarco (Iside e Osiride, 34-35) gli Argivi suonando le trombe evocano dalle acque Dioniso, che per l’appunto è signore della natura umida e dio della musica, e che meglio di ogni altro dio incarna l’armonia degli opposti o grande armonia. Il mare chiuso del Mediterraneo, fortemente caratterizzato dalle culture della Grecia e della Magna Grecia, dalle quali prende origine la civiltà occidentale, è il grande scenario storico e filosofico dello sviluppo sia del mythos che del logos. E quindi della riflessione sulla grande armonia, per l’appunto sia dal punto di vista del mythos che da quello del logos.

2. Il ritmo armonico del mare: il Mediterraneo come teatro della conoscenza. Il pensiero armonico e la Physis come totalità e via di salvezza

È nel mare Mediterraneo, che matura il pensiero occidentale dell’essenziale ritmo bipolare dell’armonia degli opposti, che le mie ricerche hanno cominciato a portare alla luce nel volume La pizzica, la taranta e il vino6. In quest’ultimo volume, per distinguere il concetto di armonia dalle troppe riduzioni a qualcosa di mellifluo, obsoleto, banale o scontato, ho chiamato pensiero armonico la compresenza delle due forze opposte complementari e analogiche che formano l’unità, di cui discettiamo. Al giorno d’oggi, è in primo luogo a cagione della perdita rovinosa dell’equilibrio armonico, che si verificano inquinamenti dei mari di incalcolabile portata, dei quali il bacino chiuso del Mediterraneo subisce gravissime conseguenze. La perdita dell’equilibrio armonico del pianeta è anche una vertiginosa diminuzione della qualità umane: assistiamo a migrazioni di popoli e profughi che affrontano il Mediterraneo con imbarcazioni fatiscenti, andando incontro più volte al naufragio. Trafficanti senza scrupoli lucrano sulla povertà del terzo mondo e sullo squallore morale delle presunte nazioni civilizzate, che non rendono autonomi i popoli nelle loro dimore originarie. Eppure il mare

Mediterraneo da tempo immemorabile è un continuo andirivieni, tra albe e tramonti, di partenze e approdi di imbarcazioni tra le sponde opposte e tra la terra ferma e le innumerevoli isole. Per la sua conformazione geografica il Mediterraneo è scambio, coabitazione di opposti, relazione, differenza e, non di rado, conflitto.

Il mare in quanto tale ha leggi armoniche ed equilibri ben definiti, che l’uomo non può alterare senza recare grave nocumento a se stesso. Inquinare significa per l’appunto contravvenire alla legge dell’equilibrio duale e armonico di ogni elemento dell’habitat umano. Dobbiamo, oggi, saper governare e intendere a tutto campo questa reciprocità, che è scambio utile ma anche conflitto, pόlemos. Ciò che conta è accettare e gestire la compresenza delle differenze che investe ogni cosa, una volta appurato che i punti di vista diametralmente opposti, come insegnano Eraclito e Albert Camus, premio Nobel 1957, sono obbligati a coabitare. Unitario e insieme molteplice, il mare Mediterraneo brulica di vita, e il suo movimento è oscillazione, ritmo bipolare e ininterrotto di flusso e riflusso, tempesta e quiete, innalzamento e abbassamento della marea. Questo ritmo fondante e originario dell’Essere è simboleggiato dall’aiόresis, il classico dondolamento rituale di Dioniso. Da esso le donne ateniesi del VI-V sec. a.C., cullando il liknon o cesta rituale, fanno rinascere Dioniso7. E, sempre ad Atene, durante le feste Aióra e Anthestéria l’oscillazione rituale dell’aiόresis evoca il transito continuo tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, del quale ultimo Dioniso è dio. Molte tradizioni e lo stesso Eraclito, infatti, lo fanno coincidere con Hades (Eraclito, fr. 15 DK), sposo periodico di Persefone. Come simbolo, l’aiόresis tra vita e morte, dal momento che il nulla non esiste, evoca direttamente quel ritmo continuo che nell’atto stesso del suo reduplicarsi esprime l’eternità dell’esistenza. Alla morte, concepita come transito, non può che seguire di nuovo la vita. Ritmo armonico è anche quello del respiro, del cuore, dei movimenti essenziali del corpo umano e dell’amplesso della coppia che genera. I riti dionisiaci imitano simbolicamente, con la musica e con la danza, i movimenti oscillatori dell’amplesso, del mare, delle navi, delle relazioni tra la morte e la vita, della culla e via dicendo. Riti simili caratterizzano la tradizionale e popolare musica terapeutica detta pizzica pizzica che cura il “veleno psichico” del morso della taranta e governa le fasi del tarantismo e i suoi archetipi.

Sulla rotta della nostra navigazione mediterranea incontriamo ora Afrodite. Com’è risaputo, il mito vuole che il mare sia il luogo di nascita della grande madre Afrodite, archetipo della fecondità e della Physis che si rinnova. Afrodite è la dea della bellezza immaginata dal mito come umore fertile, grazia, attrazione, senso e affermazione della vita. Eschilo, ricorda Roberto Calasso, nella tragedia Danaidi (fr. 44, in Tragicorum

Graecorum Fragmenta, vol. 3, ed. S. Radt) le fa dire le parole:
– Dalle umide nozze / si compie tutto ciò che esiste. Di questo sono io la causa”, vero e proprio pro-

clama della primarietà dell’eros afroditico8-.

Le nozze sono “umide”: il mare è vulva, conchiglia armonica bipolare, liquido amniotico dal quale assieme al seme di Urano, il mito vuole che prenda origine Afrodite e si diriga all’isola di Cipro. Il mare dal quale nasce Afrodite, nel mondo romano Venere, figura centrale della “Grecia psichica”, è l’Oltretomba, è il lato opposto dal quale nasce la vita. Afrodite si rivela nella vulva bipolare della conchiglia, si pensi all’opera iconica del Rinascimento Nascita di Venere che Sandro Botticelli dipinge sul finire del Quattrocento. Ogni conchiglia, si osservi bene, per l’arcaica mentalità ellenica e mediterranea è un simbolo armonico, duale e complementare, che esprime direttamente il principio divino rappresentato da Afrodite e la fertilità connessa. Con queste valenze simboliche, la conchiglia viene utilizzata come decorazione in particolare nel barocco, o come strumento musicale, sempre per evocare la totalità armonica e il mare che la simboleggia.

Afrodite è essa stessa vulva, generatrice, totalità armonica, e per questo è la dea dell’amore, dell’erotismo e della fecondità. In quanto totalità armonica è ambivalente, al punto che ad Amatunte di Cipro e nella regione dell’Asia Minore prospiciente l’isola, la Panfilia, esiste anche un “Afrodito” barbuto e itifallico (Giovanni Lido, De mensibus, 4, 64). Secondo il noto mitologo Károly Kerényi, Afrodito coglie nella figura unica dell’andrόgyno (ἀνδρόγυνος) l’unione della femminilità con la virilità tipica anche di Ermafrodito, personaggio duale formato dall’intima congiunzione della ninfa Salmakis con il figlio di Hermes e di Afrodite, a volte identificato con Eros9. Anche la figura effeminata di Dioniso, che per Euripide è l’erede a pieno titolo della grande madre Cibele o Rea (Baccanti, vv. 120-134), ha il significato armonico di andrόgyno, o “due nell’uno”. Secondo Robert Graves, “Dee barbute come Afrodite cipria e dèi effeminati come Dioniso corrispondono” a “stati sociali di transizione” tra il matriarcato e il patriarcato10. Similmente al mare che l’ha generata, la splendida Afrodite è ambivalente anche in quanto emblema della bellezza. Gianni Carchia, prendendo a modello la vicenda di Elena di Troia, simbolo della bellezza afroditica anche nell’orfismo, scrive che nella figura “seduttrice di Afrodite si annida anche il momento dell’inganno11”. La lotta tipica dell’ambivalenza, però, può essere vinta, perché in fin dei conti Afrodite è oro, splendore, luce sull’acqua che ritrova la giusta direzione:

– Afrodite è, infatti, la dea della navigazione tranquilla, del porto sicuro, del mare lucente nel quale si

riflette un’altra delle sue caratteristiche più tipiche, la luce del “sorriso12”.

Trovare la direzione significa prendere coscienza del fatto essenziale che la dinamica degli opposti, dal momento che il nulla non può esistere, produce sempre di nuovo la vita. In ogni caso, come accade per il mare, nel quale per navigare occorre attenzione, perizia e intelligenza, anche la dualità della bellezza va gestita con analoghe qualità. Il mythos insegna, tramite la conoscenza dell’intero armonico, a reggere il timone della nave.

Allo stesso modo, nel caso del grande archetipo della Grecia psichica Dioniso, il mythos insegna a gestire l’ambivalenza nella relazione con la totalità. Anche la nostra navigazione trae vantaggio da queste conoscenze e incontra Dioniso su una barca, che al centro reca un’enorme vite come albero maestro. È la nota iconografia della coppa attica di Exekias, dove la vite è l’albero della vita che, con la sua forma ad Y, esprime la grande armonia del due nell’uno. Dioniso indica un percorso di conoscenza. Impariamo che sempre è necessario il rinnovo della scelta dell’uomo del lato positivo, il suo consenso alla conoscenza, la sua guida pensante per mantenere la rotta della nave antica, e quindi per ottenere frutti gnoseologici reali. In quanto espressione della totalità e del dondolio armonico incessante, senza nulla togliere a Poseidone, anche Dioniso, come sostiene Walter Pater, è un dio del mare13. Per sfuggire a Licurgo e al suo esercito balza nel mare, che è il simbolo dell’Oltretomba, e dal mare stesso viene invocato. Nel culto e nei riti, va ribadito, l’acqua, anche quella dei laghi, delle paludi o dei pozzi, è simbolo multiforme dell’Oltretomba, del quale Dioniso è dio, come Hades. L’acqua è anche uno specchio, nel quale prima di altre superfici riflettenti solide, la realtà viene rovesciata e appare la sua immagine opposta e complementare. Per questo, è l’elemento dal quale Dioniso, che tra i simboli principali annovera lo specchio, riappare e nel quale scompare. Come evidenziano l’Eliade e Calasso, il dio si tuffa scomparendo nel lago di Lerna o nel mare per riemergere in altri periodi, e ad Atene nelle feste Anthestéria viene venerato nel santuario Limnaion “alle paludi”, riappare e istituisce il rito dell’aiόresis14. La riapparizione ateniese, secondo Natale Spineto, avviene su una barca con le ruote durante le Anthestéria15, o durante le Grandi Dionisie secondo Kerényi16, il quale nota anche analogie con gli dèi egizi trasportati tradizionalmente su imbarcazioni. La barca

su ruote è il noto carrus navalis, citato in alcuni vasi, altro tipico simbolo del dio e allusione alla sua figura tradizionale di straniero (xenos) che arriva da lontano o, più esattamente, dall’Oltretomba marino. Il significato del carrus navalis è cerimoniale e il dio, portato in processione, troneggia su di esso, come nelle immagini della coppa attica di Exekias del 550-530 a.C.

Nel pensiero mitico mediterraneo emerge quasi sempre un’impressionante coerenza dei simboli, degli archetipi e dei significati. L’andamento ondeggiante dell’ebbrezza alcolica è considerato una forma di aiόresis o armonia primordiale simile a quella del mare, come in alcune raffigurazioni di Dioniso ebbro. E il mare viene eletto ad Atene, secondo Kerényi, come luogo dell’epifania della potenza crescente di Dioniso17. Henri Jeanmaire cita i bagni rituali degli iniziati di Eleusi, che gridano “in mare i misti”, e delle donne di Tanagra prima delle celebrazioni18. Jeanmaire, nelle stesse righe, riporta per Tanagra anche una significativa leggenda tramandata da Pausania: durante il bagno rituale le donne vengono assalite dal mostro marino Tritone, ma Dioniso combatte contro di esso, con un intervento che è anche terapeutico, e le libera. Mare, pozzi e laghi sono una dimora dei morti non trascendente, ma contigua a quella dei vivi. E quindi l’emersione del dio da quelle acque è un simbolo palese e terapeutico della sua rinascita. Anche tarantate e tarantati rinascono simbolicamente dalle acque nelle quali si immergono, o rotolano, nel corso della forma rituale chiamata “tarantismo umido”. E utilizzano il mare vero e proprio in funzione di terapia. La musica è sempre presente in questi riti, perché la vibrazione che la costituisce è aiόresis, il significativo movimento oppositopolare del cesto rituale o liknon dal quale ad Atene le sacerdotesse fanno rinascere Dioniso. È il movimento di base della pizzica pizzica, la musica terapeutica del tarantismo, che è per l’appunto un rito di rinascita. Secondo Jeanmaire i riti di iniziazione dionisiaci (teletái) non sono concepibili senza strumenti sonori19. La coerenza della visione del mondo del mito dionisiaco pone il mare, la nave, la culla, l’ebbrezza, la danza e la musica come análogon della struttura armonica dell’universo.

La nostra navigazione non può fare a meno di riflettere su tutto questo e, in particolare, sui movimenti del mare. Dal punto di vista fisico, il mare, col suo incessante moto ondoso e necessariamente bipolare, incarna in se stesso il ritmo armonico dell’Essere. In quiete o in tempesta, il mare è sempre oscillazione tra due estremi, dondolio aioretico. In relazione diretta e in analogia con i movimenti delle masse d’aria del vento, si manifesta essenzialmente come flusso e riflusso. In tutti i movimenti del mare, nessuno escluso, in altre parole, sono evidenti le forze oppositopolari del flusso e riflusso come grande armonia. Dall’alternanza continua di flusso e riflusso derivano le due direzioni opposte e complementari avanti e indietro, sopra e sotto, destra e sinistra, che sono le coppie ritmiche dei movimenti obbligati o stati dell’Essere. Si tratta sempre di un’alternanza ritmica sequenziale che si manifesta all’interno di altre sequenze bipolari incessanti come alba e tramonto, o come luce e buio. Ciascun’onda è un intero armonico microcosmico che, assieme alle altre, determina relazioni reciproche interconnesse. Sono relazioni d’onda come quelle del suono, basate sul modello analogico della vibrazione universale. Siamo sempre in presenza di espressioni ritmiche dei due princìpi dell’intero armonico della Physis. Le

navi, le barche e ogni altra cosa che galleggi, nella tempesta o nella bonaccia, non possono fare a meno di seguire costantemente questo ritmo sequenziale. E, quindi, sono animate, esse stesse, dal vivente ritmo bipolare dell’armonia, da una culla eterna e necessaria. Il mare appare espressione evidente della vibrazione universale o del due nell’uno, della necessità che l’armonia in sé o grande armonia sia unità e insieme molteplicità, altra faccia della medaglia. Il mutamento in quanto tale non è diverso dal mare, segue le stesse leggi e lo stesso ritmo. Anche il mutamento, o variazione, svela la sua autentica natura di ritmo eterno del visibile e dell’invisibile, dell’apparizione e della scomparsa. In questo ritmo, si osservi bene, tutto è continuità, e non può esistere un cominciare ad essere e uno smettere di essere. Anche l’uomo, pertanto, è assurdo che sfugga a questa legge e che si trovi ad essere solo un frammento, perduto nel tempo.

Fondamentale per il pensiero armonico, il mare è quindi stimolo primario per la conoscenza. Per tutta l’antichità il Mare Mediterraneo è una rapida via di comunicazione, e stabilisce, tra persone e tra popoli, una quantità enorme di relazioni e contatti improntati alla reciprocità. Le isole, le penisole e le coste dell’Egeo e dello Ionio prima, poi quelle dell’Adriatico, del Tirreno e di tutta l’Italia centromeridionale e insulare sono per lungo tempo le protagoniste di una straordinaria avventura gnoseologica. E non di rado teatro di scontri e di conflitti. Il Mediterraneo esprime relazioni e scontri tra un individuo e l’altro, tra una cultura, un’idea, una lingua e un’altra, un gruppo etnico e un altro, la molteplicità e l’unità. Sono conflitti tra gli estremi, quelli stessi che Eraclito non manca di rilevare, ma più spesso sono scambi, commerci e acquisizioni d’ogni forma, che portano ad una koiné, una cultura comune in alcuni periodi molto marcata e profondamente influenzata dal pensiero greco. Il mare esprime anche la reciprocità pacifica della navigazione tranquilla, l’equilibrio tra gli opposti. Dal pensiero armonico del Mediterraneo trae origine una millenaria riflessione sulla conoscenza, che registra una fase importante già a Creta durante la cosiddetta talassocrazia, che è essenzialmente un dominio sul mare di natura culturale e commerciale. Ne parla Tucidide (Guerra del Peloponneso, I, 4) menzionando il mitico re Minosse,

– […] il più antico di quanti conosciamo per tradizione ad avere una flotta e dominare per la maggior estensione il mare ora greco, a signoreggiare sulle isole Cicladi e colonizzarne le terre […] -.

Creta è una civiltà di altissimo livello, architettonicamente molto avanzata, priva di mura e di guerra distruttiva, che prospera sin dal XXVII secolo a.C. e che lo scopritore Arthur Evans chiama minoica, dai caratteri sereni, luminosi, pacifici e in equilibrio armonico con la Natura. Questi caratteri, che trovano il loro punto focale nel mare e nella sua

capacità di relazione, comunicazione, scambio, com’è noto, transitano nel bellicoso mondo miceneo alterandosi. È Creta, la grande civiltà del mare, l’origine non solo della civiltà greca, ma di tutto l’Occidente.

La riflessione sulla conoscenza è ciò che determina, in una fase successiva, la grandezza del pensiero greco e magnogreco, una dimensione che si protrae, con la “Grecia psichica” immaginale e polimitica, fino ai nostri giorni. Ai popoli del Mediterraneo, nell’inconscio o nella “penombra” della coscienza, il mare appare come uno dei principali simboli della totalità. Si manifesta come apertura, comunicazione, dualità, relazione e libertà, ma anche come conflitto, differenza, uragano, naufragio, opposizione. Il beccheggio incessante delle barche e delle navi evoca per imitazione analogica gli stati armonici dell’Essere. Questo dondolio oppositopolare è anch’esso un simbolo dionisiaco della dualità dinamica universale, una forma di aiόresis, rito peraltro già presente a Creta e raffigurato nei sigilli minoici. Non è un caso, pertanto, che tarantate e tarantati, assieme alla musica e alla danza, utilizzino l’acqua, simbolo dell’Oltretomba dal quale torna la vita, come uno degli elementi del rito terapeutico. A Taranto e a Brindisi tarantate e tarantati nel Seicento vengono confortati dal mare e si fanno curare dal beccheggio di una barca, o ancora danzano e si rotolano in una tinozza o in una conca d’acqua20. Della cura o catarsi tramite il dondolio o aiόresis di una barca o nave, parla anche Platone nel Timeo (89a). I tarantati desiderano udire canti che parlano di mare ed il nome stesso del mare, scrive Epifanio Ferdinando21. Il noto erudito Athanasius Kircher, interessato al magnetismo della “musica che guarisce”, pubblica nel volume Magnes sive de arte magnetica libri tres, alcuni versi che evocano esplicitamente per i tarantati la necessità terapeutica del mare: “Allu mari mi portati se volete che mi sanati22!”. Non è diverso per i “misti” di Eleusi, che fanno bagni rituali. L’unità oppositopolare del mare si riflette anche sui rimedi, si pensi all’occhio apotropaico dipinto sulla prua delle navi greche. Utilizzato come protezione contro le forze negative, l’occhio apotropaico evoca la totalità armonica come salvezza e come conoscenza, e gli dèi opposti e complementari Dioniso e Apollo. Anche i gemelli divini Dioscuri sono simboli armonici che proteggono la navigazione. Gran parte dei simboli armonici, in ogni caso, scade a mera superstizione nei periodi in cui la comprensione del significato si adombra.

La coppia divina Apollo e Dioniso è un’altra piena ed importante espressione della grande armonia, della quale si accorge per primo Nietzsche ne La nascita della tragedia, che si concretizza a Delfi23. Secondo Kerényi, Delfi è un nome plurale connesso con il termine delfýs, che vuol dire “utero” ed evoca ugualmente la rinascita24. La preminenza

della coppia divina, istituzionalizzata nel santuario di Delfi, che svetta sulla religiosità di tutta la Grecia, mostra come i Greci abbiano raggiunto un’alta forma di conoscenza. A Delfi appare come i due numi, che si alternano alla guida del santuario e si danno il cambio nelle diverse stagioni dell’anno, incarnino l’essenza ritmica della totalità. Dioniso e Apollo si danno la mano nelle immagini di un bellissimo ed eloquente cratere a calice attico, nell’atto esemplare di alternarsi in sequenza alla guida di Delfi per il cambio stagionale. Per il Beazley il vaso è stato eseguito nel periodo 450-400 a.C. dal Pittore di Kadmos (Museo Hermitage di San Pietroburgo). In queste immagini e in questo pensiero, la dualità sequenziale è considerata complementare e unitaria. Il týmpanon rituale suonato da una Menade dionisiaca, con un ramo d’ulivo dipinto sulla membrana in segno di pace e accordo, simboleggia ancora una volta l’armonia degli opposti. Tutte le divinità greche hanno molti caratteri duali e complementari, ma in Dioniso e Apollo, sia presi individualmente sia come endiadi, questa compresenza è radicale e fondante.

Sin dalla preistoria il Mediterraneo è una trafficata via di comunicazione, e influenza direttamente le civiltà, le culture e le visioni del mondo che si formano sulle sue sponde. La gente che vive su questo grande specchio d’acqua, in contatto con il movimento perenne, scopre la relazione incessante tra terra e mare, non va dimenticato. E tra terra e terra tramite il mare. Anche Franco Cassano, ne Il pensiero meridiano, offre uno squarcio di luce sulla mentalità bipolare mediterranea che soggiace a tutto questo25. Essa è il frutto di incontri e di scontri avvenuti continuamente in quel luogo di frontiera sempre aperto che è il Mediterraneo, che mette in comunicazione tre continenti diversi26. La struttura fisica frattale di tantissime isole e penisole della Grecia, secondo Gilles Deleuze e Félix Guattari27, determina la necessità dell’incontro delle differenze e insieme la loro unità. I Greci, gli Italici e i popoli del Mediterraneo vivono tra isole, penisole e coste frastagliate, protagonisti di uno scambio continuo e a volte immediato tra luoghi, etnìe, lingue e mondi. I santuari, aggiungiamo, sono i luoghi non solo della devozione religiosa, ma anche degli scambi commerciali. In antico, quasi sempre ogni credo, perché lo scambio possa avvenire, rende omaggio e rispetta l’altro credo: è la grande risorsa del pluralismo del mito. La polimiticità antica del Mediterraneo è un esempio per il mondo contemporaneo. Le odierne guerre di religione mostrano la miseria di popoli che hanno perduto anche questo principio, un tempo pressoché inviolabile. Il dialogo a tutti i livelli, al contrario, è una conseguenza logica dell’ambiente mediterraneo, che esalta la struttura duale dell’Essere. Questo non esclude migrazioni e conflitti, che purtroppo dilagano dolorosamente anche oggi. Eppure, il passato insegna molte cose e lascia intravedere la via della salvezza della conoscenza autentica. Il Mediterraneo

mostra la prossimità ontologica di esseri umani tra loro sempre diversi e in pari tempo uguali, nella quale si sviluppa dal pensiero greco la civiltà occidentale.

Le relazioni duali, opposte e complementari del logos del Mediterraneo sono la base incontrovertibile anche della democrazia: l’unità e la molteplicità, l’individuo e il gruppo, il soggetto e l’altro soggetto per sopravvivere devono instaurare un rapporto sia di differenza che di reciprocità dialogica, quello stesso della verità dell’Essere. L’utilizzo continuo del dialogo nell’agorá sviluppa la filosofia, che in senso specifico nasce come pubblica discussione sul senso e sulle radici della vita nelle piazze greche e magnogreche, alla ricerca della verità certa e innegabile, diversa da quella sempre dubitabile del mito. Col tempo, però, la struttura della ragione si modifica, sostiene Giorgio Colli, assume le fattezze della dialettica, dell’agonismo, della letteratura tout court già con Platone, e più tardi diventa trattato di concetti astratti, retorici, morali o politici che non sono più disvelamento, alétheia, verità28. Ecco allora il bisogno di tornare oggi alla sapienza greca e magnogreca arcaica, la sophίa del mare Mediterraneo, logos comune a tutto e a tutti rigorosamente improntato alla necessità. Abbiamo bisogno di questo logos arcaico, di questo “pensiero della necessità”, che altro non è che pensiero armonico. Non possiamo fare a meno della sophίa, che Colli chiama un virgulto “più vitale della filosofia stessa29”, perché è in grado di svelare la struttura oppositopolare dell’Essere. Qualche anno dopo l’uscita del saggio di Cassano, un gruppo di autori riconosce nella pizzica pizzica una forma di pensiero meridiano30.

3. Dal pensiero meridiano al pensiero armonico: la tragedia greca e l’armamentario teorico del Mediterraneo

Il pensiero meridiano e mediterraneo viene inizialmente intuito da Nietzsche. Affascinato dalla sapienza della Grecia preplatonica e della Magna Grecia, il filosofo tedesco ritiene che essa sia la via per giungere al problema radicale della conoscenza. Nella luce meridiana del Mediterraneo, vale a dire nella luce dell’Occidente visto dalla Grecia, che è quella del tramonto cui deve seguire una nuova alba, brilla l’unica possibilità di salvezza, offerta dal gioco sequenziale e ciclico degli opposti. La rivalutazione dell’endiadi di opposti complementari Dioniso e Apollo della Nascita della tragedia, quindi, appartiene già alla luce meridiana. Il gioco sequenziale e ciclico degli opposti viene ripreso in senso salvifico nel Così parlò Zarathustra. Il grande meriggio è, infatti, l’ora in cui si prepara il tramonto e l’uomo si accorge che qualsiasi dio concepito

come principio trascendente ormai “è morto”. L’opera Così parlò Zarathustra, ancora basata sul “divenire” e mirata, com’è risaputo, alla trasformazione dell’uomo in “superuomo” o “oltreuomo, contiene ugualmente la consapevolezza del ritmo degli opposti in base al quale il nuovo mattino torna necessariamente31. Il grande meriggio è, inoltre, l’ora in cui si prepara il tramonto e l’uomo si accorge che qualsiasi dio concepito come principio trascendente ormai “è morto”. Diversamente ma in continuità con la Nascita della tragedia, Nietzsche afferma che in quest’ora “morti sono tutti gli dèi” e, proprio per questo, il superuomo vive”: dal grande meriggio, infatti, deve necessariamente scaturire un “nuovo mattino32”. Già la Nascita della tragedia, prima della svolta teorica dello Zarathustra, adotta la prospettiva dionisiaca della conoscenza radicale della totalità che, secondo il filosofo, porta al superamento della causa della sofferenza, il principium individuationis33. Per Nietzsche infatti la tragedia, prima di diventare narrazione di storie drammatiche di diverso genere, mostra il suo volto originario di rito misterico di rappresentazione, tra canti, musiche e danze, dapprima della morte e dei dolori e poi della rinascita e della gloria di Dioniso34. Il dio, anche se appare in una molteplicità di figure, è l’unico eroe della tragedia delle origini: morendo e rinascendo ripetutamente simboleggia la gioia totale e infinita dell’esistenza.

Anche la tragedia greca è un’espressione della grande armonia o vibrazione primordiale del mare Mediterraneo. Nel complesso dell’intera estensione della tragedia, il ciclo ritmico oppositopolare del piacere e della sofferenza, nonostante l’enorme contrasto, manifesta un pieno “dir di sì” alla vita così come è. Per questo, secondo Emanuele Severino, il coro tragico dell’Inno a Zeus dell’Agamennone di Eschilo esprime il pensiero filosofico della totalità, vale a dire, dobbiamo aggiungere, dell’intero armonico. In altri termini, la sofferenza tragica, simile a quella del dio, è una concessione della benevolenza di Zeus, è una parte integrante della totalità ed è una via conoscitiva dell’intero. L’arte dionisiaca, afferma Nietzsche, “vuole convincerci dell’eterna gioia dell’esistenza”, che è “incommensurabile”, ma dobbiamo cercarla dietro le apparenze del dolore35. Così “noi” esseri umani della Grecia arcaica, partecipi in forma di satiri della grande arte mitica della tragedia, dopo aver superato il dolore e le sovrabbondanti forme molteplici create dalla volontà, dopo essere stati “costretti a guardare in faccia gli orrori dell’esistenza individuale”, ci identifichiamo con l’“essere primigenio”:

– […] per brevi attimi siamo veramente l’essere primigenio stesso e ne sentiamo l’indomabile brama di esistere e piacere di esistere; la lotta, il tormento, l’annientamento delle apparenze ci sembrano ora necessari, […]; noi veniamo trapassati dal furioso pungolo di questi tormenti nello stesso attimo in cui siamo per così dire divenuti una cosa sola con l’incommensurabile gioia originaria del concessa della

benevolenza di Zeus l’esistenza, e in cui presentiamo, in estasi dionisiaca, l’indistruttibilità ed eternità di questo piacere. Malgrado il timore e la compassione, noi viviamo in un mondo felice, non come individui, in quanto siamo quell’unico vivente, con la cui gioia generativa siamo fusi36 -.

Nietzsche vede con acume l’indistruttibilità ed eternità della vita incarnata da Dioniso, ripresa e dimostrata magistralmente da Kerényi con il concetto di zoé come, per l’appunto, vita indistruttibile. La “tensione dello spirito della musica” tipico della tragedia, secondo il filosofo tedesco, muove “verso la rivelazione visiva e mitica”, poi si interrompe bruscamente e scompare dalla superficie dell’arte ellenica37. Sopravvive nei Misteri, però, e in altre metamorfosi o degenerazioni, attraendo a sé “le nature più serie”, destinata a riemergere “un giorno di nuovo come arte dalle sue profondità mistiche38”. Va sottolineato che la coscienza dell’indistruttibilità della vita, secondo Nietzsche, viene “presentita” durante l’estasi del dio e preceduta emblematicamente dal “pungolo” dei tormenti. Quest’ultimo, dobbiamo rilevare, è il kentron dionisiaco iniziatico, ed è analogo al morso ugualmente iniziatico della taranta. Come Parmenide, Nietzsche valorizza l’Essere, ma, ancora influenzato dal nichilismo, parla di una “fusione” degli esseri umani individuali con quell’unico vivente che a suo dire è l’“essere primigenio”, negando l’esistenza della molteplicità. In realtà, come più volte rilevato, una fusione totale è impossibile e contraddittoria, perché annullerebbe ogni cosa. Al contrario Dioniso in Nietzsche, come scrive Abbagnano, è

– […] l’affermazione religiosa della vita totale, non rinnegata né frantumata. È l’esaltazione entusia- stica del mondo com’è, senza diminuzione, senza eccezione e senza scelta39 -.

In questa chiave gnoseologica di accettazione della vita per ciò che essa è veramente, nella sua totalità ambivalente, Nietzsche perviene alla necessità di un urgente ritorno ai cieli del Sud, alla luce “meridiana” del Mediterraneo e auspica una rinascita della civiltà tragica e preplatonica. Quello di Nietzsche non è solo un Sud interiore, un Südmotiv ma, va ripetuto con forza, il mondo nuovo di una società europea “più greca” e più autentica nel senso arcaico della sophía:

– […] riscoprire in sé il Sud e tendere sopra di sé un chiaro, splendido, misterioso cielo del Sud; riconquistare la salute meridionale e la riposta potenza dell’anima; diventare gradualmente più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più Greci – giacché la grecità fu la prima grande unificazione e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l’inizio dell’anima europea, la scoperta del nostro “mondo nuovo”: – per chi vive sotto tali imperativi, chissà cosa potrà mai capitargli un giorno? Forse appunto un nuovo giorno40 -.

La luce meridiana è quella della Magna Grecia che, vista dalla Grecia, appare come

l’occidentale luce del meriggio. Presuppone, va ribadito, dal lato opposto la rinascita quotidiana del sole, un nuovo giorno. Dobbiamo, allora, integrare il concetto nietzschiano, raggiungere una maggiore definizione di questo insieme bipolare, e chiamarlo pensiero armonico. La metafora vivente del mare come unità degli opposti esprime, infatti, un pensiero armonico: lo sguardo del popolo marinaio dei Greci, come quello dei Cretesi e degli Egizi, riesce ad abbracciare la totalità e a scorgere il ritmo sequenziale delle sue manifestazioni. Non è allora sufficiente il nome pensiero meridiano, perché siamo in presenza anche di un pensiero aurorale. Si tratta, pertanto, sempre di un insieme bipolare e quindi di un pensiero armonico, o se si vuole del pensiero della grande armonia. Lo sguardo di Dioniso, infatti, frutto maturo di questo modo di osservare il mondo, è saggezza tragica, è sophía che mette assieme passione e rinascita. È uno sguardo gettato sulla totalità che si manifesta in modo sequenziale e ritmico secondo la legge armonica di flusso e riflusso, consonanza e dissonanza, alba e tramonto, piacere e sofferenza, morte e vita. È, in altre parole, scomparsa e riapparizione di ciò che non può essere altro che eterno. È, senza ombra di dubbio, pensiero armonico: nello sguardo di Dioniso appare l’apparire e lo scomparire come intero armonico della coscienza trascendentale. Il logos comparativo, a sua volta, confrontando tra loro i miti di tutto il mondo, riesamina con lo strumento della necessità lo sguardo totale di Dioniso e scorge la grande armonia della vita. Mythos e logos, per quanto differenti e contrastanti, appaiono per quello che sono, una grande armonia, vale a dire opposti che hanno bisogno l’uno dell’altro. Senza logos, infatti, il mythos rimane pura enunciazione. E, senza mythos, il logos rimane privo di incarnazione, di esempi storici e concreti.

4. Il termine armonia viene dal mare

Anche la parola armonia, in accordo con quanto si viene dicendo, viene dal mare Mediterraneo. La utilizza, per la prima volta, Omero nell’Odissea proprio in relazione alla navigazione. Nel canto V dell’Odissea la ninfa Calipso, innamorata di Ulisse ma ormai rassegnata alla sua partenza, aiuta l’eroe a lasciare l’isola mediterranea di Ogigia, dove in preda al simbolico sentimento del nostos (νόστος), attende da sette anni di poter tornare a Itaca. Calipso dà ad Ulisse dei consigli utili per costruire un’imbarcazione e per “connettere” le assi di legno in modo tale da affrontare una navigazione pericolosa (Odissea, V, vv. 162-163). Omero usa parole che derivano da ἁρμονία e da ἁρμόζω (Odissea, V, v. 247), per indicare la “connessione” tra le due parti opposte e complementari della nave, la mortasa e il tenone, come mostra Carlo Serra nel saggio

Intendere l’unità degli opposti: la dimensione musicale nel concetto eracliteo di armonia41. Ora Ogigia, rileva Robert Graves, secondo Eschilo e il bizantino Eustazio è l’antico nome dell’Egitto e, con buone probabilità, corrisponde all’importante isola di Faro, alla foce del Nilo, che più tardi viene a formare il grande porto di Alessandria42. Secondo Graves, non è un caso che i Pelasgi, popoli preellenici e abili navigatori43, siano giunti a Faro ai tempi del mitico re Proteo. La parola mediterranea armonia e il suo significato, in sostanza, hanno a che fare anche con i navigatori Pelasgi che costruiscono navi potenti, con gli Egizi che costruiscono navi sacre e con il ritmo regolare della piena fecondatrice del fiume Nilo, oltre che con il flusso e riflusso del mare a lungo meditato dai Greci. Eraclito, come abbiamo visto e come sostiene il Serra, ci porta in una dimensione musicale sequenziale di ritmo e di armonia basati sulla compresenza degli opposti. La navigazione mediterranea è fondata sulla congiunzione delle assi opposte che consentono il galleggiamento, il ritmo e la resistenza della nave. La parola armonia esprime la connessione ad incastro di “mortasa” e “tenone”, i due elementi tipici delle imbarcazioni di legno di ogni tempo che assemblano le diverse parti della nave. La “mortasa”, femmina, o incavo del pezzo, alloggia il “tenone”, ossia il maschio, o risalto del pezzo, che viene inserito in essa. Con la perfetta congiunzione della “mortasa” e del “tenone”, si ottengono compattezza ed elasticità, consentendo alla nave di essere cullata dalle onde senza affondare e di essere governata. La Physis, il mare e il ritmo portano al pensiero maturo della grande armonia. La compresenza degli opposti e il logos, il legame necessario e olistico che unisce il tutto, sono la grande armonia. Le imbarcazioni egizie che solcano il Nilo, si osservi bene, simboli del ritmo divino universale e della connessione tra terra e cielo, conoscono già la tecnica armonica dell’incastro tra la mortasa e il tenone. Ne esiste una prova: la ben conosciuta e ammirata “barca solare di Cheope”, scoperta nei pressi della Grande Piramide dell’omonimo faraone (IV dinastia, ca. 2551-2528 a.C.), prevede sia legature con fibre vegetali che l’utilizzo dell’incastro di mortasa e tenone, come si può rilevare nel museo che la ospita a Giza. La grande armonia è la via oppositopolare della struttura del Grande Tutto, per dirla alla maniera egizia, che l’uomo intuisce di dover percorrere per giungere alla conoscenza. Senza armonia non c’è galleggiamento, non c’è salvezza e non c’è conoscenza. Per questo nei riti la musica e il ritmo utilizzano l’intero armonico con valore salvifico.

Nella seconda metà del Novecento alcune di queste fondamentali intuizioni vengono riprese da Camus, che considera il pensiero meridiano nella sua articolazione bipolare, e quindi come un pensiero della relazione e del dialogo. Ma tra gli opposti c’è anche grande tensione. Il pensiero meridiano è un pensiero contrastato e difficile, nota

Cassano, perché la realtà umana è piena di “ragioni differenti” e duplici, di dissoí lógoi, di aporie44. Per dissoí lógoi qui vengono intesi i punti di vista diametralmente opposti, duplici, che non possono essere ridotti a uno solo, e che quindi, come insegna Eraclito, sono obbligati a coabitare. Gli uomini devono rispettare questa coabitazione se vogliono evitare guerre devastanti. Il pensiero armonico connette tutte le differenze proprio tramite il logos unitario e comune a ogni cosa, che per Eraclito governa tutto attraverso una concatenazione dettata dalla necessità (fr. 2 DK, cfr. A 13 in SG III). La cultura del Mediterraneo, dobbiamo rilevare, con la sua esuberante mitologia, si accorge della presenza al fondo del reale della legge dell’armonia di opposti i quali, tra loro, possono amarsi oppure confliggere. Occorre conoscerli e tenerli sempre presente come unità e insieme dualità. Il pensiero di Pitagora e quello di Parmenide, assieme ad Eraclito, completano la sophía arcaica, e ci offrono un ponte straordinario con la speculazione del logos contemporaneo: gli opposti devono essere accettati come tali, perché corrispondono alla struttura armonica dell’Essere e, quindi, anche alla struttura della “mente originaria”, con la quale l’Essere stesso coincide. Non vedere tutto questo significa cadere nell’errore e nell’impaziente sofferenza. Camus ne L’uomo in rivolta racconta la ribellione e la protesta degli esseri umani, cagionata dalle enormi sofferenze patite e dalle ingiustizie subìte per il semplice fatto di esistere. Esperto di filosofia, Camus concepisce il pensiero meridiano come un pensiero di opposti, un’altalena perenne di diritto e rovescio, luce e ombra. Con gli opposti l’uomo deve convivere ingaggiando una lotta quotidiana per armonizzarli e per superarli, dal momento che, ecco il punto, non esiste la possibilità di uscire dalla “contraddizione45”. È qui che interviene il grande valore greco della misura.

5. La rivalutazione della Natura e il rifiuto dello storicismo. Le tradizioni meridiane e il pensiero armonico

L’apporto illuminato del pensiero di Camus, sul modello della sophίa, è il netto rifiuto di tutte le religioni della storia e di tutte le filosofie della storia, ossia di tutte quelle concezioni come giudaismo, cristianesimo, islamismo, idealismo o marxismo, secondo le quali la storia stessa deve sfociare in un mondo altro, trascendente o alternativo, nel quale le contraddizioni vengono risolte e il dolore può cessare46. È un rigetto totale che coinvolge tutte le posizioni storicistiche, tra le quali si colloca, com’è noto, anche Ernesto De Martino, autore de La terra del rimorso, la celebrata indagine sul tarantismo, che si avvale di un’équipe di studiosi, tra i quali il padre dell’etnomusicologia italiana

Diego Carpitella47. È radicata anche nella netta demarcazione ideologica sagacemente chiarita da Camus, l’incomprensione di De Martino del tarantismo, riduttivamente ed erroneamente concepito come lo sfogo freudiano di un eros precluso a donne inibite e oppresse oppure come il rimedio illusorio all’imposizione di un vissuto non scelto. Secondo Camus, che muore nel 1960, le filosofie della storia, come quella di Hegel, sono filosofie di un modo di vivere cittadino, borghese, che amputano il mondo di una parte decisiva della sua verità, e cioè della Natura, del mare, del cielo, del sole. Profeta inascoltato, non accetta il divenire né il dominio della tecnica, e già nel 1951 con straordinaria preveggenza scrive:

– Man mano che le opere umane hanno finito col ricoprire a poco a poco gli spazi immensi nei quali il mondo sonnecchiava […], popolando i deserti, lottizzando le spiagge, rischiando persino il cielo con grandi tratti aerei […] il sentimento della storia ha a poco a poco sopraffatto nel cuore degli uomini il sentimento della natura48-.

La storia vuole cancellare la Natura, una concezione e una prassi che oggi svelano la loro tremenda irrazionalità. Il nichilismo annovera anche queste storture tra le sue responsabilità. Il collegamento di questo insieme coerente di riflessioni con la cultura di Dioniso è più che mai necessario. È il dio che scompare e riappare sistematicamente in Grecia, in Magna Grecia e altrove, e più volte ritorna nel corso dei secoli per ricordare all’uomo la sua appartenenza alla Physis, alla Natura come totalità e come armonia. Camus, va rilevato, ricorre al pensiero del Mediterraneo dopo gli esiti fallimentari dell’idealismo tedesco e del suo rovescio, che coincide con il materialismo storico. Nell’idealismo e nel marxismo la storia si consegna alla potenza e tradisce l’uomo e la sua dignità. Con toni accesi e malinconici il grande scrittore leva alto il suo grido:

– Il pensiero storico doveva liberare l’uomo dalla soggezione divina; ma questa liberazione esige da lui la più assoluta sottomissione al divenire. Si accorre allora alla sede di un partito come ci si gettava ai piedi dell’altare. Per questo l’epoca della maggior rivolta non offre alla nostra scelta nient’altro che conformismi. La vera passione del ventesimo secolo è la servitù49-.

L’idealismo tedesco e il marxismo non sono estranei al totalitarismo, commenta Cassano, perché aboliscono ogni limite alla volontà di potenza50. Così come fa la prospettiva ideologica del nichilismo, nel quale idealismo tedesco e marxismo sono immersi. Al contrario il Mediterraneo, che dispone di un “armamentario teorico” ineguagliabile, ricchissimo di simboli e di immagini depositati nell’immaginario collettivo, è l’unico “pensiero in rivolta” contro le tenebre, che sono anche quelle della tarda modernità51. Recuperare l’armamentario teorico mediterraneo, operazione ben

lontana dalla routine e di significato attualissimo, fa emergere con forza il pensiero armonico, cuore del mythos e insieme del logos. Si pensi ai già visti splendori del “cielo del Sud”, alla “salute meridionale” e alla “riposta potenza dell’anima” di Nietzsche, come pure agli archetipi della “Grecia psichica” di Hillman. Una parte considerevole di quell’armamentario ricchissimo dell’immaginario collettivo è presente nella tradizione della pizzica pizzica, della tarantella e del tarantismo di Puglia, Campania, Molise, Spagna, Sicilia, Calabria, Sardegna, Grecia e non poche altre località del Mediterraneo.

Su un altro versante, nonostante sia portatore di un ateismo amaro e insoddisfatto, Camus mette in stato d’accusa la secolarizzazione così come è avvenuta. L’abbandono del sacro e il rifiuto della morale, afferma, hanno determinato guasti incalcolabili. Il sacro, in una sorta di filosofia della luce, è per Camus il sole, che è al centro della sua opera letteraria e sostituisce persino Dio. Con un chiaro riferimento al paganesimo dell’Apollo greco e del Sol invictus romano, afferma: “Al centro della mia opera c’è un sole invincibile52”. Ma il sole, dobbiamo convenire, è proprio ciò che rinasce, o “risorge” ogni giorno dalla notte e coincide con la riaffermazione quotidiana e bipolare della vita. L’invincibilità del sole corrisponde alla sua capacità quotidiana di rinascita e al ritmo al quale obbedisce: è l’eterna grande armonia della totalità. Non a caso, per la religione egizia, per i Pitagorici, per Orfeo e per tante altre tradizioni il sole è il ritorno eterno e ritmico della vita. E la sua luce è il mezzo che consente la conoscenza. Il pensiero meridiano, anche per la ricchezza di questo straordinario bacino d’acqua e di cultura, è in realtà una meditazione sulla grande armonia della Physis. Dobbiamo quindi chiamare pensiero armonico ogni assunzione degli opposti complementari come valori strutturali. La grande armonia anima l’inconscio collettivo delle più significative tradizioni popolari di Terra d’Otranto, Puglia e intero Mediterraneo. Illuminanti, in questo, la musica e la danza nazionale della pizzica pizzica, il cui ritmo ostinato e la cui melodia prendono a modello il ritmo eterno e la grande armonia della struttura autoctona dell’Essere, o meglio ne sono l’análogon. Non è diverso per il tarantismo che, servendosi di questa stessa musica e danza come materia prima del rito, e applicando il pensiero armonico ad ogni fase di un rito che dura giorni interi, riesce ad operare interventi terapeutici reali.

La nostra navigazione è giunta ad una rappresentazione perspicua, la stessa propugnata dal filosofo Ludwig Wittgenstein nel dattiloscritto Note sul “Ramo d’oro” di Frazer, nel quale esorta gli studiosi a non cadere negli errori del celebre antropologo James Frazer, che esprime giudizi di valore utilizzando i concetti borghesi della sua epoca, e spinge a fare antropologia servendosi di una prospettiva rispettosa e priva di presunzione nei

confronti delle popolazioni osservate: anche il linguaggio colto, infatti, è pieno di miti e di approssimazioni53. La grande armonia è una rappresentazione perspicua, chiara e congrua della realtà osservata in grado di scorgere “le connessioni” degli assunti, dei simboli, dei gesti, della musica e del linguaggio delle tradizioni popolari analizzate, comprendendone gli anelli intermedi54. Struttura fondamentale della realtà e della conoscenza, l’armonia in sé o grande armonia è una verità inoppugnabile, svelataci dalla riflessione sullo stupefacente grande specchio del mare Mediterraneo, alla quale sarà indispensabile improntare ogni ricerca futura che voglia essere perspicua. La rotta della conoscenza della grande armonia giunge ad un porto sicuro, lascia intravedere l’avvento del sol invictus della verità e prefigura il mutamento reale che necessariamente porterà a tutte le nostre vite.

Lecce, 19.1.19

1 PARMENIDE, Sulla Natura, in H. DIELS – W. KRANZ, I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1963, 2 voll. (l’edizione di riferimento, che contiene anche la successiva revisione di W. Kranz e che nel presente volume viene abbreviata con DK, come di consueto, è H. DIELS – W. KRANZ, Die Fragmente der Vorsokra- ticher, 3 voll., Weidmann, Berlin 1951-1952; I ed. H. Diels, Die Fragmente der Vorsokraticher, Weidmann, Berlin 1903), fr. DK B2, vv. 3-5; PARMENIDE, Testimonianze e frammenti, intr., trad. e comm. a cura di M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1958; PARMENIDE, Poema sulla natura, trad. it. di G. Reale, Bompiani, Milano 2001; PARMENIDE DI ELEA, Poema sulla natura, intr., testo, trad. e note di G. Cerri, Fabbri Editori, Milano 2004; cfr. anche DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, a cura di M. Gigante, 2 voll., Laterza, Roma-Bari 1983.
2 E. SEVERINO, Ritornare a Parmenide, in ID., Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 2010 (ID., Ritornare a Parmenide, in “Rivista di filosofia neo-scolastica”, II, 1964), pp. 21-22.
10, pp. 14 segg. e 185 segg.). a lo specchiotetouartiere,

  1. 3  E. SEVERINO, Educare al pensiero, a cura di S. Bignotti, Ed. La Scuola, Brescia 2012, p. 59.
  2. 4  A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e come rappresentazione, trad. it. di P. Savj Lopez e G. De Lorenzo, introd.

di C. Vasoli, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 602-603.
5 Cfr. G. DEL RE, La danza del cosmo: complessità e armonia dell’universo, Utet, Torino 2006 (cfr. Goethes Werke, IV Abt., vol. VI), p. 5

  1. 6  P. DE GIORGI, La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico, Congedo, Galatina 2010, pp. 14 segg. e 185 segg.).
  2. 7  N. SPINETO, Dionysos a teatro: il contesto festivo del dramma greco, L’Erma di Bretschneider, Roma 2005, XII, pp. 92-

93.

  1. 8  R. CALASSO, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 1995 (I ed. 1988), p. 85.
  2. 9  K. KERÉNYI, Gli dèi della Grecia, trad. it. di V. Tedeschi, Il Saggiatore, Milano 1994 (ID., Die Mythologie der Griechen,

Rehin-Verlah, Zurigo 1951), p. 147.
10 R. GRAVES, I miti greci, trad. it. di E. Morpungo, pres. di U. Albini, IX ed., Longanesi, Milano 1993 (ID., The Greek Myths, Penguin Books, Baltimore 1955), p. 63.

  1. 11  G. CARCHIA, L’estetica antica, Laterza, Roma-Bari 2000 (I ed. 1999), pp. 16-17.
  2. 12  Ivi, p. 8.
  3. 13  W . P A TER, Studio di Dioniso, in ID., Studi greci, a cura di P . Colaiacomo, trad. it. di V . C. Caratozzolo, Editori Riuniti,

Roma 1994 (I ed., ID., A Study of Dionysus: the Spiritual Form of Fire and Dew, in “Fortnightly Review”, n. 20, pp. 752- 772), pp. 16 segg.
14 M. ELIADE, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. II, tr. it. di M. A. Massimello e G. Schiavoni, Sansoni, Firenze 1979, pp. 389-393; R. CALASSO, Le nozze di Cadmo e Armonia, cit. p. 242.

  1. 15  N. SPINETO, Dionysos a teatro, cit, pp. 92-93.
  2. 16  K. KERÉNYI, Dioniso: archetipo della vita indistruttibile, a cura di M. Kerényi, trad. it. di Lia Del Corno, III ed.,

Adelphi, Milano 1988, pp. 164-167.

  1. 17  Ivi, p. 166.
  2. 18  H. JEANMAIRE, Dioniso: religione e cultura in Grecia, H. JEANMAIRE, Dioniso: religione e cultura in Grecia, trad. it.

di G. Glaesser, appendice di F. Jesi, Einaudi, Torino 1972 (ID., Dionysos, Payot, Paris 1951), pp. 60-61.

  1. 19  Ivi, p. 387.
  2. 20  P. BOCCONE, Museo di fisica, cit., p. 103; E. DE MARTINO, La terra del rimorso: contributo a una storia religiosa del

Sud, present. di C. Gallini, Il Saggiatore, Milano 2015 (I ed., 1961), pp. 165-166.
21 E. FERDINANDO, De morsu tarantulae: Historia LXXXI in Centum historiae seu observationes et casus medici omnes fere medicinae partes cunctosque corporis umani morbos continentes, Venetiis 1621. Per la Historia LXXXI cfr. la trad. in ital. di Silvana Arcuti in S. ARCUTI, Epifanio Ferdinando e Il morso della tarantola, Pensa, Lecce 2002, p. 259.
22 A. KIRCHER, Magnes sive de arte magnetica libri tres, Roma 1641, p. 763; E. DE MARTINO, La terra del rimorso, cit., p. 166.
23 F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia (dallo spirito della musica), nota intr. di G. Colli, trad. it. di S. Giametta, XIX ed., Adelphi, Milano 1977 (I ed.: Die Geburt der Trogödie aus dem Geiste del Musik, Fritzsch, Leipzig 1872).

  1. 24  K. KERÉNYI, Gli dèi della Grecia, cit., p. 118.
  2. 25  F. CASSANO, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 2003.
  3. 26  Ivi, pp. 22-23.
  4. 27  G. DELEUZE – F. GUATTARI, Geofilosofia: il progetto nomade e la geografia dei saperi, Mimesis, Milano 1993, pp. 9-

33.

  1. 28  G. COLLI, La nascita della filosofia, XXXIV ed., Adelphi, Milano 2013 (I ed. 1975), pp. 109 segg.
  2. 29  Ivi, p. 116.
  3. 30  AA. VV., Il ritmo meridiano: la pizzica e le identità danzanti del Salento, a cura di V. Santoro e S. Torsello, Aramirè,

Lecce 2002.
31 F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra: un libro per tutti e per nessuno, trad. it. di M. Montinari, nota intr. di G. Colli, Adelphi, Milano 2017.

  1. 32  Ivi, pp. 87-88 e 382.
  2. 33  F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia, cit., pp. 21 segg.
  3. 34  Ivi, pp. 72-73.
  4. 35  Ivi, pp. 111-112.
  5. 36  Ibidem.
  6. 37  Ivi, p. 112.
  7. 38  Ibidem.
  8. 39  N. ABBAGNANO, Storia della filosofia. Il pensiero moderno: dal romanticismo a Nietzsche, vol. 4, Gruppo ed.

L’Espresso, Roma 2006, p. 645.
40 F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1884-1885, Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, trad. it. di S. Giametta, vol. VII, tomo III, Adelphi, Milano 1975 (41 [7], Sils-Maria, agosto-settembre 1885), pp. 329-330; C. LAPADULA – A. FERMANI, Le vibrazioni di Dioniso: le inebrianti armonie pugliesi tra taranta e vino, in “Sommeliers Marche Magazine”, a. XIV, n. 40, p. 28.
41 C. SERRA, Intendere l’unità degli opposti: la dimensione musicale nel concetto eracliteo di armonia, Cuem, Milano 2003, pp. 24-26.
42 R. GRAVES, La Dea Bianca: grammatica storica del mito poetico, trad. it. di A. Pelissero, Adelphi, Milano 2009 (ID., The White Goddess: a Historical Grammar of Poetic Myth, Faber & Faber, London 1948), p. 321.

  1. 43  Ivi, p. 72.
  2. 44  F. CASSANO, Il pensiero meridiano, cit., p. 27.
  3. 45  A. CAMUS, L’uomo in rivolta, pref. di C. Rosso, trad. it. di L. Magrini, Bompiani, Milano 2005 (I ed. ID., L’homme

révolté, Gallimard, Paris 1951), pp. 316-317.

  1. 46  Ivi p. 82.
  2. 47  E. DE MARTINO, La terra del rimorso: contributo a una storia religiosa del Sud, present. di C. Gallini, Il Saggiatore,

Milano 2015 (I ed, 1961).
48 A. CAMUS, L’uomo in rivolta, cit., p. 83; A. CAMUS, Taccuini, intr. di S. Perrella, pref. di R. Grenier, trad. it. di E. Capriolo, 3 voll., Bompiani, Milano 1992, vol. II, p. 166.

  1. 49  A. CAMUS, L’uomo in rivolta, cit., p. 255.
  2. 50  F. CASSANO, Il pensiero meridiano, cit., p. 83.
  3. 51  M. ALCARO, Il Mediterraneo di Albert Camus, in L’ora locale: lettere dal Sud, n. 27, dicembre 2001-febbraio 2002, ed.

elettronica www.csdim.unical.it/ospiti/Oralocale/index.html.

  1. 52  A. CAMUS, Essais, Gallimard, Paris 1967; F. CASSANO, Il pensiero meridiano, cit., p. 79.
  2. 53  L. WITTGENSTEIN, Note sul “Ramo d’oro” di Frazer, trad. it. di S. De Waal, intr. di R. Rhees, con un saggio di J.

Bouveresse, Adelphi, Milano 2013 (ID., Bemerkungen über Frazers “The Golden Bough”, Wittgenstein Nachlass Ver- walter 1967), pp. 29-31.
54 Ivi, p. 29.

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