Palazzo | Forse rinascere
Era fine luglio 2014. Le vie di Delhi un labirinto largo e lungo, di luci e ombre. Ammiravo attonita il paesaggio urbano e suburbano, uomini e cani, donne, bambini, vecchi, un cumulo di umanità dimenticata, vicino alla stazione e poco prima invece i monumenti e i colori, i lunghi viali, la vegetazione lussureggiante, i grattacieli. A Delhi si perdono oltre cento bambini al giorno per strada, ci venne detto.
Nella luce accecante ad Oriente c’è posto per tutti, ricchi e poveri, per chi vive ai margini della vita sociale di una metropoli dal passato complesso, e per chi vive ai vertici, ha studiato, lavora, indossa sontuosi abiti e gioielli. È l’antica divisione in caste che declina le storie di solitudine e desolazione di migliaia di persone dentro una civiltà sempre più all’avanguardia tecnico scientifica, umanamente contaminata dalla tirannia del dio denaro.
Mi sono sempre chiesta cosa spinge la gente alla rassegnazione o alla ribellione, chi decide i destini dei primi e degli ultimi. Mi sono sempre chiesta se la pratica della misericordia e del perdono non è solo flatus vocis di una civiltà la cui maggioranza, ad Occidente, si dice di radice cristiana, mentre ad Oriente, è per lo più induista e islamica. Conta poco il sondaggio. M’interessa di più l’interrogazione sempre senza risposta sulla misericordia (avere il cuore di Dio, compassionevole, benigno, soccorritore, benedicente) e sul perdono (il non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando all’idea di vendicarsi o di punire il colpevole).
Come tenere insieme il bisogno di certezza del diritto con il desiderio di pace e di progresso sociale? Non ho risposte ma semplici domande, riguardanti la vita qui ed ora, non il destino dell’anima immortale che potrà o no ottenere il perdono di Dio e la beatitudine eterna, secondo la fede cristiana.
A guardar bene la storia individuale e collettiva di ognuno di noi, mi sembra di poter dire che la parola perdono abbia a che fare con l’esperienza di tutti, di morte e di rinascita. Chi di noi non ha subito una piccola o grande ingiustizia o non l’ha agita, inflitta, con o senza premeditazione, anche inconsciamente, cercando la propria libertà? Chi di noi non ha dovuto perdonare, rinascere dal male subito, dalla privazione di qualche bene che credeva legittimamente di attendere e di poter ottenere? Chi di noi ha scelto di rimanere o no vincolato al male, certamente ha fatto esperienza di quel faticoso processo che si chiama discernimento spirituale. Non è necessario confessare una fede, una confessione religiosa per questo. Tutti a un certo punto dobbiamo riconoscere momenti particolarmente felici o infelici in cui abbiamo avuto una certa presenza di spirito e affrontato le scelte necessarie, essendo disposti a pagare il giusto prezzo per la nostra coscienza. Eppure, il perdono non è un esercizio solo per virtuosi, a mio parere. È una esperienza degna dei più radicali pragmatici, soprattutto per chi sappia riconoscere l’ottenebramento della propria coscienza, etica o morale, dinanzi ai dubbi che l’esistenza pone continuamente e con cui ci si confronta in modo perfettibile e talvolta fallace, fuori dai dogmatismi.
Credo di aver chiesto perdono in cuor mio diverse volte ma con le parole mi è stato sempre più difficile ammettere di aver sbagliato a mia volta o per prima. Per quell’orgoglio connaturato alla natura che, pare, sia il primo ed unico peccato, unico limite connaturato.
Dunque, sarei tentata di porre la questione del perdono non in via teorica ma pratica come una via di salvezza dell’umano dalla disumanizzazione tanto diffusa, anche all’interno delle nostre pratiche civili di convivenza. Proprio all’interno di quelle vie della socialità che sono la coppia, la famiglia, la scuola e qualunque società o forma di socializzazione ad esse collegata.
Chiede perdono anche un re potente, si narra nel Salmo 50, un certo Davide, dopo che il profeta Natan lo aveva chiamato a rendere conto del suo adulterio con Betsabea e dell’omicidio del marito di lei (2 Sam.11-12). Pieno di angoscia Davide si rivolge a Dio e implora misericordia, perché teme di rimanere schiacciato dall’immane peso della sua colpa. La richiesta di perdono è preceduta dal pentimento, cioè dalla presa d’atto e dalla consapevolezza di aver commesso il male. Solo così Davide può invocare la misericordia di Dio cioè la capacità di Dio di fare l’impossibile per offrire il perdono e permettere la riconciliazione con la propria coscienza.
La letteratura sacra offre molti spunti di riflessione sulla precarietà della condizione umana e sulla invocazione di aiuto. Ma se si vuole rimanere all’umano, con riferimento specifico ai Salmi, si può notare una evidenza particolare riservata ai sentimenti umani. Il riconoscimento del proprio stato di fallacità, di egoismo, di peccato segna l’inizio della conversione interiore. L’interiorità, dunque, è il luogo privilegiato e decisivo per camminare verso la verità, per intravedere e comprendere il senso delle azioni compiute. L’esperienza di ognuno, poi, conferma che c’è un nesso inscindibile tra la conversione del cuore e la riconciliazione sociale e politica. Nulla di pietistico o di fideistico. Tutto di pratico e di concreto. Non ci può essere una riconciliazione sociale e politica tra individui, popoli o nazioni senza una conversione del cuore, senza un cammino di purificazione che parta dalla conoscenza di sé. Davide l’ha veramente raggiunta perché, a leggere il Salmo 50 (Miserére mei, Deus) si avverte, non si tratta di un dispiacere momentaneo od opportunistico. Si tratta di uno shock derivante dalla effettiva conoscenza di sé stessi, della consapevolezza della propria grave responsabilità.
La conclusione a cui si potrebbe giungere, dunque, è che per esserci perdono deve esserci il previo riconoscimento di una situazione. Solo allora si potrà sostenere la richiesta di perdono, come un imperativo categorico della coscienza e un desiderio di riconciliazione con sé stessi e con il mondo.
Si può perdonare qualsiasi azione? E fino a qual punto? La misura del perdono può essere totale? Sono domande legittime quanto legittimo è ribadire che non si tratta di fissare delle leggi teoriche ma di praticare vie di riconciliazione del proprium dell’umano. Più forte è la spinta a superare il male, tanto più forte è la richiesta di perdono. Forse si rinasce dal perdono…
Testo del salmo 51 (50)
Pietà di me, o Dio,
secondo la tua misericordia;
nel tuo grande amore
cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.
Riconosco la mia colpa,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;
perciò sei giusto quando parli,
retto nel tuo giudizio.
Ecco, nella colpa sono stato generato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
Ma tu vuoi la sincerità del cuore
e nell’intimo m’insegni la sapienza.
Purificami con issopo e sarò mondato;
lavami e sarò più bianco della neve.
Fammi sentire gioia e letizia,
esulteranno le ossa che hai spezzato.
Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.
Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza,
la mia lingua esalterà la tua giustizia.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode;
poiché non gradisci il sacrificio
e, se offro olocausti, non li accetti.
Uno spirito contrito
è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato,
tu, o Dio, non disprezzi.
Nel tuo amore
fa’ grazia a Sion,
rialza le mura
di Gerusalemme.
Allora gradirai i sacrifici prescritti,
l’olocausto e l’intera oblazione,
allora immoleranno vittime
sopra il tuo altare.
Chissà se chi passa da Delhi rinasce dal perdono. Perdonare sé stessi per la cecità che impedisce di vedere la bellezza disarmante del firmamento sulla testa di ognuno, la bellezza di un pianeta che ci crolla addosso e chiede aiuto, mentre ancora gira intorno al sole con noi dentro. L’alfabeto delle emozioni si costruisce nelle relazioni e il perdono è il suo collante perché produca fiducia, affidamento, possibilità di mettersi continuamente in gioco. Ma è necessario riscoprire la coscienza di sé, della dignità delle relazioni umane, con le mani, con gli sguardi, con i silenzi, con le scelte individuali e collettive, con le scelte politiche delle istituzioni.
Photo by Aaron Burden