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Peli | Fermate la produzione!

Le nostre braccia sono diventate più lunghe, intendo le braccia di tutti noi, e siamo diventati più pelosi, i canini si sono sviluppati. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che mi sono guardato allo specchio? Allora avevo una casa, portavo gli occhiali, non mi ero ancora esercitato a guardare lontano senza occhiali, con duro sforzo, a imitazione dei falchi. E dopo tutto lo sforzo la mia vista è guarita, e dopo altri anni di sforzi la mia vista si è acuita grandemente. Quanto tempo è passato? Pochi mesi, pochi secoli? La nostra evoluzione è veloce come il ghepardo. Sono arrivati da lontano i grandi felini, e anche loro imparano dalle volpi. La terra diventa sempre più calda e le montagne si stanno tuffando nel lago di Garda e nel Lago d’Iseo. Il lago d’Idro è ridotto a una fonte benefica, la cui capacità curativa è risaputa ormai in tutta Italia, e anche la gente del mare, in tempo di pace, viene qui, per studiarne tutte le proprietà. La chiamano pipì del drago, perché in tutte le acque dolci montane vive un drago. Esce questo getto continuo, uno spruzzo di acqua magica, e questo spruzzo continuo è quello che resta del Lago d’Idro. Anche nella montagna vivono i draghi, sì, all’interno della cava montagna: vivono tutti gli animali diversi da noi, che rispondono a leggi che noi non potremo mai capire. Ma a volte mi soffermo a pensare, con spavento, a quanto rapidi siano stati questi cambiamenti epocali. Anna mi guarda e sorride, mi dice che da quando è disconnessa ama la vita.


Quando Anna dorme non mi sento sicuro. Lei mi lascia alla veglia, indaffarato, e sorridendo si addormenta sulla sedia a rotelle di faggio che le ho fabbricato. Sorride e dice “Ora mi fermo qui” e placida si addormenta. Ma mentre Anna dorme succede sempre qualcosa. La nostra casa sull’albero ha una balconata da cui si vede tutta la città, nelle giornate limpide si vedono tutti e due i laghi, le Alpi e la Pianura Padana a Sud. Quando Anna dorme, di solito, sta arrivando la sera, ma il sole non è ancora tramontato. Mi volto a est, il cielo si oscura a chiazze, blu, blu scuro, verde scuro e nero, profondo nero. Volano certi grandi uccelli. Poi mi volto a ponente e il cielo è rosa, poi rosso, poi viola, resta viola per molto tempo, non saprei dire con precisione quanto. Sono inquieto, perché sento l’albero muoversi, sento i suoi rami allungarsi e mi pare che il pavimento della nostra casa si allarghi, che la casa diventi più grande. Sono inquieto perché quando, dopo aver guardato a ponente, torno a scrutare il cielo a est, nel cielo si susseguono velocemente vari colori, in sequenza: bianco e azzurro: pare mattina. Poi giallo: pare di guardare fisso il sole, e che tutto il cielo sia sole. Poi verde, come se il cielo fosse una foglia: è così, il cielo ha venature e, se guardo bene, vedo la linfa che scorre, e se mi concentro ne sento il rumore, un sibilo sordo, come un frinire alienante; poi questi colori si mescolano e resto frastornato. Mi stanca, questo osservare, più di tutti i lavori spaccaschiena a cui mi sono dedicato durante la giornata. E quando riapro gli occhi, tutto il cielo è viola scuro, come gli occhi di un drago. Poi sento la voce suadente della mia amata e grassa, grassissima Anna. Allora le rispondo “Ciao”, e si fa giorno in un lampo.


Compare in cielo una striscia scura. Si avvicina, forse è una immensa bocca chiusa. No, si avvicina ancora. È un ponticello di legno. Ma non parte da nulla e non porta a nulla. Devo scendere dall’albero. Lo faccio. Non so quanto tempo ci ho messo, Forse un attimo. Non ricordo la sensazione delle mani sulla corteccia. Non ricordo il conficcarsi audace delle mie grandi unghie nella polpa della corteccia, non ho sentito soffrire l’albero. Succede tutto troppo velocemente. Sono sceso dall’albero ma non è semplicemente successo. È stato solo un pensiero. Volevo scendere per vedere meglio quell’enorme ponticello in cielo. Perché è qualcosa che, semplicemente, non dovrebbe essere lì. Ma non è stata una buona idea. Il cielo, da giù è un tetto di foglie, anche se non ricordavo nulla del genere. Alzo gli occhi, scruto, scruto ma è un tetto di foglie, alberi sinuosi, e tutto il vociare degli uomini e delle scimmie che inseguono continuamente invisibili prede. Anna striscia sul pavimento della casa sull’albero, la sua testa sbuca come quella di una grassa scimmia, mi sorride! E io ricambio il sorriso da giù. Mi siedo sulle possenti radici, guardo dove vanno a finire. Da quanto tempo non mi sentivo così felice?


Me la carico sulle spalle. Non ho mai portato un peso del genere, più pesante di ogni fardello interiore, del senso di colpa e della paura. Mi porto un peso che spacca la schiena, ma lei comincia a parlare con quella voce di furetto, comincia a parlare con una voce che non è umana. Dice “dove mi porti?” piange e poi ride, piange e poi ride e io decido che nessun linguaggio può intercorrere tra di noi per darci vicendevole conforto, nessun linguaggio fra di noi avrebbe potuto spiegare le nostre azioni. Le cose vanno fatte, punto e basta. Lei salvatasi da sola, lei tenace e lungimirante, non ha perso sangue inutilmente, ha fatto entrare da sola, prima di svenire, la foresta in casa, arrendendosi alla forza della natura, questa natura che per anni ha assimilato veleni e si è modificata come un dio modifica il destino per raggiungere il suo scopo. Sono certo che sia Anna, ma non capisco se lei mi riconosce. È lei, la casa era la sua. Ma dopo tutto questo tempo vissuto con i lupi faccio fatica a riconoscere le persone, i miei pensieri procedono diversamente da prima, ricordo soprattutto gli odori. Ma l’odore di Anna, quell’odore, di quando avevamo in testa solo l’amore, non c’è più. Anna ha questo odore sgradevole ora, un odore dolciastro, che persiste nell’aria; eppure qualcosa mi dice che la devo salvare perché è lei. Devo salvarla innanzitutto dai miei compagni, perché, loro, il Fulvo e tutti gli altri, quando staccano le cannule e gli elmetti non vanno tanto per il sottile, la loro azione, il gesto, sono distruttivi. Quindi a lei ci penso io. Me la carico sulle spalle. “Grazie, chi sei? Dove mi porti? Grazie….” Dice, e non sa se ridere o piangere. Devo salvarla da questa situazione, lei capirà. Esiste ancora una vita reale che vale la pena di essere vissuta.

 



Brani tratti da “Fermate la produzione!” di Giovanni Peli.

Photo by Kalen Emsley

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