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Russo | Tutto questo tempo speso

 

Gli uomini, anche se devono morire,
non sono nati per morire, ma per incominciare
– Hannah Arendt

Tutto questo tempo speso a lavorare, dunque, a tracciare segni alla lavagna e renderli decifrabili, scovando metafore dalla memoria rubate ai lupi, ad ascoltare desideri disattesi, sogni di gloria interrotti come amplessi appena assaporati, e poi arriva un mercoledì-giovedì-venerdì, e al sabato è tutto da rifare. Tutto quello che ho pensato, agito, raccontato, non serve più a nulla. Eppure è stato. Chi scendesse negli inferi della città anche in piena pandemia, farebbe ancora a spallate con pinguini incravattati colti in flagranza dall’effetto serra, mentre anche d’inverno goccioline di sudore colano sui touch screen. Non tutto, in effetti, è cambiato, non tutto è perduto del male e del bene.

E tutto questo tempo speso a organizzare traslochi e disposizioni di mobili, a pensare che era proprio bella via Kramer, borghese e popolare insieme, a cercare case nuove e più comode, adatte ad esigenze e tasche nuove, in ambienti che ci riportino vicini a dove siamo nati e siamo stati bambini: quella stessa via, il divano dello stesso colore, oppure lontano mille miglia l’orto da concimare con le bucce di frutta e la cenere, l’altalena del mandorlo, il sole basso sui campi. E ce ne rendiamo conto solo dopo, magari, che un’intenzione del cuore si nascondeva in quel fantasticare, in quel progettare il cambiamento.

E poi tutto questo tempo veloce, speso nel traffico o in corsia di sorpasso, verso mete di lavoro e amori, amici e solitudini, cercando musiche nuove col bluetooth, a cosa vale, chiedo, a inseguire o scappare, è una corsa o una fuga.
Cambiano anche le stagioni da quando ne ho memoria, per poi tornare uguali, ma non proprio uguali, penso, con arcobaleni e lucciole che mancano all’appello, lampi che interrogati non rispondono. Mia figlia a sei anni non ha ancora mai visto un arcobaleno, pur avendone disegnati diversi milioni, vorrebbe vederlo adesso, e ne soffre molto. Io le dico che ha ancora tutta una vita per cercare e osservare il cielo dopo la pioggia. Crescerà nel desiderio, e questa è cosa buona, certo. Le nascondo la mia esperienza di bambino, di lucciole sui ciclamini selvatici ai bordi del muro a secco, lungo il viale sterrato. Perché qui, ora, mancano le lucciole, ma anche i ciclamini selvatici, il muro a secco, il viale sterrato. E lei non è me. Quando morirò mi reincarnerò in una particella di luce, forse, per poter avvolgere una casa, una pianta di glicine arrampicata, essere travolto da una goccia di pioggia improvvisa, e regalarle un arcobaleno.
Perché i bambini hanno poco passato, immaginano poco il futuro, e vivono solo il presente. Non conoscono, quindi, cambiamento, e allora forse cambiare è un inseguimento all’indietro, un desiderio di ritorno nel ventre, nello spazio e nel tempo in cui siamo nati, in cui siamo stati. Questo continuo incominciare di cui siamo fatti sarà forse la ricerca di un ordine nel caos, un tornare indietro per rinascere, per scampare alla morte.

 


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