Saracino | Brevi annotazioni per una biografia
Vi sarà accaduto di sostare in un giardino e casualmente essere investiti dall’odore marcescente della terra appena affiorata dall’umido dell’acqua piovana, in un giorno di inizio estate; di passare affianco a una rosa, la più simbolica, aperta dalla fatalità che l’ha prescelta come creatura da schiudere nel minimalismo esatto della bellezza domestica di un roseto. Vi sarà allora accaduto di elaborare, nel patrimonio di questo istante decorato, un pensiero più acuto, sottile fino alla magrezza dell’intelletto, dove meglio si accinge a esplodere la carica sensuale dei nostri istinti. Lì, in quell’acidula sostanza della nostra fierezza, interpretabile come liberazione o corruzione, qualcos’altro si è mosso: non la lettura della realtà che ci circonda, coi suoi codici “inquadernati” e i suoi comandamenti, ma la rara dualità d’un sentimento che ama comparire all’unisono con l’imbarazzo e lo spaesamento: l’accoglienza per la vita, da una parte; il suo tragico desiderio d’annientamento, dall’altra. E in questa poesia posta a devoluta introduzione, Ángel Gonzáles, poeta spagnolo che attraversa il tempo come una stella bianca nell’armamentario delle avversità storiche del Novecento, chiarisce il senso a supporto del mio intervento.
Intanto, l’idea del contrario: avverso a una direzione è quanto a quella stessa direzione anela. Il profumo della rosa, contrariamente alla sua essenza di vanità e giovinezza, ha il sintomo della finitudine, dentro le recrudescenze del suo odore che qui sa di venefico. Ecco il tranello, il ponte che l’eroe delle fiabe definirebbe vacillante: quel che ha sembianza e sostanza di incanto può scatenare, per esasperazione, una reazione di distruzione. Esisto, poi muoio.
Nessuna costruzione in ciò che sta nel mezzo di due forze opponibili, ma l’urto, la scomposizione, il frammento che costruisce l’architettura del male: tutto ora accade in un ordine preciso.
E il male escogita le sue figure talvolta ordinandone la disposizione, quasi fossero regole d’un gioco d’identità. Degli scorpioni, dei colombi, dei venti: è loro la mansione di traghettare il morbo verso l’azione. Vi è sempre un messaggero nella follia del gesto compiuto in direzione avversa. E il messaggero, figura quasi ubiqua e pertanto moltiplicabile, portatrice di una notizia spesso definitiva, ha in sé qualcosa di cupo, perché non è reversibile la diffusione della sua parola, né rimandabile né mutabile.
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Questa la faccia più tragica di un mondo senza parole: il repentino alterarsi del tempo, accentratore di illusioni, specchio maligno dove le idee diventano distopiche formule di un sogno al contrario.
HOY
Hoy todo me conduce a su contrario:
el olor de la rosa me entierra en sus raíces, el despertar me arroja a un sueño diferente, existo, luego muero.
Todo sucede ahora en un orden estricto:
los alacranes comen en mis manos,
las palomas me muerden las entrañas,
los vientos más helados me encienden las mejillas.
Hoy es así mi vida.
Me alimento del hambre. Odio a quien amo.
Cuando me duermo, un sol recién nacido
me mancha de amarillo los párpados por dentro.
Bajo la luz, cogidos de la mano,
tú y yo retrocedemos desandando los días hasta que al fin logramos perdernos en la nada.
(Angel Gonzalez – 1925-2008)
OGGI
Oggi tutto mi conduce al suo contrario:
il profumo della rosa mi seppellisce nelle sue radici, il risveglio mi spinge a un sonno diverso,
esisto, poi muoio.
Tutto ora accade in un ordine preciso:
gli scorpioni mangiano nelle mie mani,
i colombi mi mordono le interiora,
i venti più gelidi m’infiammano le guance.
Oggi la mia vita è così. Mi alimento di fame. Odio chi amo.
Quando dormo, un sole appena nato
mi tinge di giallo le palpebre da dentro.
Sotto la sua luce, mano nella mano,
tu e io retrocediamo ripercorrendo i giorni
fino a quando alla fine riusciamo a perderci nel nulla.
(da Brevi Annotazioni per una biografia. A.Gonzales)
Photo by Tom Barrett