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Anghilieri | Il pane del per-dono

“Io sono l’omicida di suo fratello. Sa Iddio se io vorrei restituirglielo a costo del mio sangue; ma non potendo che farle inefficaci e tarde scuse, la supplico di accettarle per Dio”. Con queste parole viene rievocata nel quarto capitolo de I promessi sposi, la richiesta di perdono di fra Cristoforo (al secolo Lodovico, figlio di un ricco mercante) ai famigliari dell’aristocratico da lui stesso ferito a morte durante un duello. Il religioso, quando era ancora un giovane generoso, ma irruente, si era macchiato del delitto del nobile, in quanto l’uomo aveva a sua volta ucciso il suo fedele servo Cristoforo (da cui poi, una volta presi gli ordini, prenderà il nome). Ciò aveva suscitato in Lodovico un odio profondo nei confronti dell’assassino, uno sdegno così esasperato da arrivare a compiere a sua volta il gesto crudele, prima di rifugiarsi in un convento di Cappuccini nella sua città. Le due tragiche morti, però, portano a conclusione un processo di conversione già avviato da tempo in lui e conducono il giovane Lodovico al cambiamento di vita al quale aveva già altre volte pensato. Divenuto frate, comincia a svolgere la sua missione caritatevole in quel di Pescarenico, nella Brianza lecchese, dove si dipanerà la vicenda di Renzo e Lucia, i promessi sposi che – come scrive la mirabile penna di Alessandro Manzoni – l’umile frate cercherà di soccorrere e sostenere in ogni modo.
La scena del perdono, di cui fra Cristoforo è protagonista, tocca il cuore di ciascuno di noi. Il giovane Lodovico non fa nulla per apparire meno colpevole, e non è nemmeno cosciente della coraggiosa bellezza del gesto che compie; quel che predomina in lui è la dolorosa consapevolezza dell’errore, che tuttavia non lo schiaccia, perché il miracolo della conversione ha illuminato ogni suo gesto di un nuovo significato: la sua vita sarà d’ora in poi un tentativo di riparazione di quel fatto. In un mondo che non conosce la vera pietà, Manzoni sembra voler ripetere che l’uomo può essere più grande del male che ha compiuto, che l’errore non è quello che lo definisce, perché è chiamato ad una dignità incalcolabile di riscatto e redenzione!
E per l’appunto appare sconvolgente che il giovane religioso riesca a trasformare completamente il comportamento di quell’accorrere di familiari del nobile deceduto; parenti, che si erano “radunati in pompa magna per scrivere una bella pagina di vendetta nella storia della famiglia”.  Con l’atteggiamento e con la sola espressione del volto da cui traspare il reale pentimento per ciò di cui è stato responsabile, lascia senza parole la folla inferocita che cambia atteggiamento: “Il volto ed il contegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti, che non s’era fatto frate, né veniva a quell’umiliazione per timore umano: e questo cominciò a conciliarglieli tutti”.
Infatti, il folto pubblico di orgogliosi nobili (anche se la storia non dice che a loro dolesse molto dell’ucciso, “e nemmeno una lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado”) è disposto al perdono commosso, davanti all’umile e profonda compunzione del male a cui la remissione degli uomini non poteva riparare. Evidentemente la disponibilità al perdono non era un fatto così estraneo alla cultura del tempo, tanto che possiamo avvertire una sorta di sospiro di sollievo tra quel parentado in apparenza radunato per una soddisfazione del proprio orgoglio di casta: “La compagnia si trattenne ancor qualche tempo, con una bonarietà e una cordialità insolita (…) e taluno, che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte Muzio suo padre aveva saputo, in quella famosa congiuntura, far stare a dovere il marchese Stanislao, ch’era quel rodomonte che ognun sa, parlò invece delle penitenze e della pazienza mirabile d’un fra Simone, morto molt’anni prima”.

Manzoni vuole evidenziare, dunque, che l’orgoglio e la superbia sono sì tentazioni cui è facilissimo cedere, ma la serenità e la concordia, conseguenze di una giustizia vera, sono molto più interessanti e gratificanti, solo se si ha la libertà di seguire il proprio cuore assetato di pace vera.

Se pensiamo al senso etimologico della parola “perdono”, poi, ci rendiamo conto di poter comprendere ancora meglio questa bella pagina di conversione e di ritrovata fiducia tra chi è coinvolto nella vicenda. La radice della parola latina “per-donare” rinvia ad un dono in eccesso, un di più che alla fine si risolve ad essere… niente. Infatti, il perdono non dona nulla, o meglio dona senza dare niente, perché restituisce qualcosa che non appartiene a colui che perdona: rende cioè la libertà di agire a colui che ha sbagliato ed è reo di qualche colpa. Assistiamo dunque al contrasto tra la logica della pena e della riparazione, propria della giustizia, e la gratuità, tipica della misericordia e dell’amore.
Per-donare è dunque un gesto straordinario, profondamente umano, necessario per uscire dalla spirale di rancori e risentimenti. Chi perdona non libera solo colui che ha sbagliato, ma toglie sé stesso dal risentimento, dalla rabbia, dall’odio e quindi da ogni possibile reazione violenta.
A rendere tangibile il gesto del perdono c’è un segno ne I promessi sposi: un pezzo di pane che Fra Cristoforo riceve, prima di mettersi in viaggio, dai parenti di colui che ha ucciso. “Padre, gradisca qualche cosa; mi dia questa prova d’amicizia. E si mise per servirlo”. Un dono inaspettato per il religioso che, “[…] ritirandosi con una certa resistenza cordiale” appare in questa pagina profondamente commosso. “Disse: queste cose non fanno più per me; ma non sarà mai ch’io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d’aver goduto la sua carità, d’aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono”. I parenti del nobile, a loro volta sbalorditi da tale atteggiamento caritatevole, non possono far altro che assecondare le sue intenzioni. “Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si facesse; e venne subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto d’argento, e lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella sporta”.
Per ricordare l’importanza e il valore del perdono, il frate donerà l’ultimo pezzo di quel pane, prima di morire, a Renzo e Lucia, che si sono ritrovati in un Lazzaretto, alla fine delle loro traversie, dopo il perdono del loro persecutore don Rodrigo. “[…] qui dentro c’è il resto di quel pane…il primo che ho chiesto per carità; quel pane, di cui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli”. E lascerà ai promessi sposi un testamento spirituale: “Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori; dite loro che perdonino sempre, sempre! Tutto, tutto! E che preghino anche loro per il povero frate”.
Ricevere il pane è segno quindi di “nuova vita” per Fra Cristoforo. Quel pane che si fa a sua volta dono per la coppia che si sta per unire in matrimonio. Quel pane, che concede a qualunque persona di buona volontà, di fare da ponte a una riconciliazione.


 Photo by Kelly Sikkema

 

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