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Anghilieri | Tricolore

Brianzoli che “hanno fatto” l’Italia, portando in alto il valore della pace. Brianzoli che hanno rischiato la propria vita, negli anni terribili della Resistenza, dando prova di un carisma eccezionale. Brianzoli orgogliosi di essere italiani e capaci di compiere imprese sportive che hanno dato lustro e gloria al nostro Paese.
Ernesto Teodoro Moneta, il beato don Mario Ciceri e Edoardo Mangiarotti: tre nomi che rappresentano uno spaccato della vita brianzola degli ultimi due secoli, ma soprattutto simboleggiano la fiera appartenenza alla propria terra e ai principi di democrazia, libertà e solidarietà che rendono grande l’Italia nel mondo.
Ernesto Teodoro Moneta, le cui spoglie riposano ancora oggi in terra brianzola in quel di Missaglia, è stato l’unico italiano a vincere il premio Nobel per la pace. Fervente patriota, giornalista e anche sindaco, esponente di una famiglia aristocratica milanese benestante, nasce il 20 settembre del 1833. A scrivere di lui, tra i pochi in Italia, gli scrittori Domenico Flavio Ronzoni e Silvano Riva in un testo Ernesto Teodoro Moneta. Un milanese per la pace, pubblicato nel 1997 da Bellavite editore (la storia dell’illustre personaggio è stata recentemente ripresa dalla pagina web “Viaggiare in Brianza”). Ernesto trascorre le estati della giovinezza a Missaglia, nella villa di campagna di famiglia in località Agazzino.
Sin da adolescente, è interessato alla lotta per l’indipendenza contro gli austriaci: non ancora 15enne, partecipa con il padre e i fratelli alle Cinque Giornate di Milano. Durante la quarta giornata, vede morire accanto a lui tre soldati austriaci. Dopo aver tentato la strada accademica, decide di partecipare alle lotte risorgimentali. Quindi studia alla Scuola militare di Ivrea, prima di arruolarsi come volontario tra i Cacciatori delle Alpi.
Nel 1860 è ufficiale di stato maggiore e aiutante di campo del generale Giuseppe Sirtori nell’impresa dei Mille di Garibaldi.
In seguito alla sconfitta di Custoza però, abbandona la carriera militare e ritorna alla vita civile, dedicandosi al giornalismo: nel 1869 viene nominato direttore de “Il Secolo”, quotidiano milanese fondato tre anni prima. Nel frattempo si sposa e, risiedendo a Contra, diviene sindaco della località brianzola, dove tra l’altro nascono i due figli. L’impegno per la pace cresce in questi anni post risorgimentali: Moneta arriva nel 1887 a fondare l’Unione Lombarda per la Pace e l’Arbitrato Internazionale, che poi verrà rinominata Società Internazionale per la Pace.
Nel 1890 lancia “L’Amico della Pace”, almanacco annuale a contenuto popolare ispirato ai valori di libertà e democrazia, nel 1890 si impegna nella fondazione della rassegna di arte, scienze e politica “La vita internazionale”, che diventa l’organo ufficiale dell’Unione Lombarda per la Pace e l’Arbitrato Internazionale.
Si impegna negli anni successivi in molte vicende internazionali, promuovendo con coraggio e determinazione il valore della pace nel mondo, tanto da arrivare nel 1906 a progettare e far costruire alla Fiera di Milano un Padiglione per la pace nel XV° Congresso Internazionale sulla Pace che lui stesso è chiamato a presiedere.
L’anno successivo, riceve il Nobel per la Pace, insieme al giurista francese Louis Renault e, nel suo celebre intervento, tenta di coniugare pacifismo e patriottismo, riuscendo ad ottenere un largo seguito. Ernesto Teodoro Moneta trascorre gli ultimi anni della propria vita a Missaglia, dove muore il 10 febbraio del 1918, a 84 anni.
Un uomo di pace, di sensibilità estrema, dedito alla cura dei più deboli e degli indifesi, è anche il beato don Mario Ciceri che il 30 Aprile 2022, insieme ad Armida Barelli, viene beatificato nel corso di una cerimonia religiosa molto partecipata nel Duomo di Milano. Il sacerdote ambrosiano è nativo di Veduggio, dove vede la luce l’8 settembre 1900, in una modesta cascina, da genitori umili, ma onesti e ospitali. Poco prima dell’avvio della Grande guerra, entra in seminario a Seveso. Prosegue il suo cammino di formazione insieme ad altri personaggi illustri come don Carlo Gnocchi e don Luigi Monza. Viene ordinato nel 1924 dal cardinal Eugenio Tosi ed è nominato vicario parrocchiale di Brentana di Sulbiate. Vive tutto il suo ministero in quella parrocchia, spendendosi totalmente per l’oratorio, la promozione dell’Azione cattolica e la carità, soprattutto nella cura dei malati. Dopo l’armistizio del 1943 non ha paura di mettere a rischio la sua stessa vita, raccogliendo tutto un popolo ai margini, stremato dal conflitto: soldati, sbandati, renitenti alla leva militare in opposizione al regime, partigiani, fuggiaschi italiani e stranieri. Muore il 4 Aprile a seguito di un incidente, avvenuto il 9 Febbraio, mentre sta rientrando in canonica in bicicletta, di ritorno da una visita agli ammalati. Per la fine della guerra offre la sua vita dal letto dell’ospedale. Il suo ministero è stato interiormente trasfigurato dalle urgenze del popolo di Dio. La causa di beatificazione si apre nel 2003 e prosegue nella fase diocesana sino al 2004, riconoscendo che tra l’Ottobre 1975 e il Febbraio 1976 la piccola Raffaella Di Grigoli, veduggese affetta da dolicosigma (anomalia del colon caratterizzata da un abnorme allungamento) e sottoposta a diversi interventi chirurgici, dopo avere ricevuto i sacramenti degli infermi guarisce. Viene accertato il nesso causale tra l’intercessione di don Ciceri, invocata dalla zia materna, e la guarigione. Il primo Dicembre 2016, con il decreto sull’eroicità delle virtù, viene dichiarato Venerabile e il 23 Novembre 2020 papa Francesco promulga il decreto relativo al miracolo, aprendo la via alla beatificazione, dopo la quale a Veduggio, il 14 Maggio 2022, è stata ufficializzata la creazione della nuova Comunità pastorale con Renate dedicata proprio a don Mario.
Se Moneta si distingue nella storia e nella politica, ricevendo addirittura il Premio Nobel, e don Mario Ciceri diviene beato, dimostrando un carisma eccezionale, non è da meno lo schermidore Edoardo Mangiarotti. Nato il 7 Aprile 1919 a Renate, figlio di Giuseppe Mangiarotti, già schermidore di prestigio internazionale che aveva indossato la divisa azzurra alle Olimpiadi di Londra nel 1908, Edoardo partecipa a cinque edizioni dei Giochi olimpici fra il 1936 e il 1960. Colleziona complessivamente 6 medaglie d’oro, 5 d’argento e 2 di bronzo, a quei tempi record del maggior numero di medaglie olimpiche per un singolo atleta. A tutt’oggi Edoardo Mangiarotti è l’atleta più medagliato della storia dell’Italia ai Giochi olimpici. Per quanto concerne i campionati del mondo sono 26 le medaglie conquistate, delle quali la metà d’oro. Si ritira dalla scena agonistica dopo le Olimpiadi del 1960 come uno dei più grandi schermidori di spada di tutti i tempi. Collabora quindi in qualità di inviato-giornalista per la Gazzetta dello Sport dal 1949 al 1972, occupandosi della rubrica sulla scherma. Nel 1966 pubblica un libro intitolato La vera scherma, scritto a quattro mani con Aldo Cerchiari. Nel 1981 viene insignito dal Comitato Olimpico Internazionale dell’ordine olimpico di bronzo per l’anno 1977 e nel 1998 gli è conferita la massima onorificenza italiana dall’allora Presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro che lo nomina Cavaliere di Gran Croce. Dal 1980 al 1984 ricopre la carica di segretario generale della Federazione internazionale scherma, della quale presiede la commissione di disciplina. Muore nella sua casa nel centro di Milano il 25 maggio 2012 all’età di 93 anni e riposa al Cimitero monumentale di Milano. Un campione nello sport, ma anche nella vita. Una delle frasi che amava ripetere è ricca di significato: “Quando sei lì che hai compiuto un’impresa, che hai sofferto per arrivare a dei risultati, e che poi vedi la bandiera che va su, senti tutto, senti che sei italiano”. Una figura indimenticabile nel panorama sportivo italiano e internazionale, esempio di dedizione e passione per i valori dello sport. Nel 2012 l’Amministrazione comunale di Renate gli conferisce la croce d’oro, massima onorificenza cittadina, mentre nel 2019 a ricordo dei cento anni dalla nascita del grande campione, viene posta una targa in una zona centrale del paese.
Tre figure, quelle di Moneta, Ciceri e Mangiarotti che, a buon diritto, possono essere considerate simbolo di un’Italia generosa, solidale e legata alle proprie radici. Tre brianzoli che hanno fatto la storia. La storia della Brianza e dell’Italia intera.

Photo by Jametlene Reskp

 

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