Interview | Alberto Pellegatta
Quando noi individui ci interroghiamo sul tema del cambiamento tendiamo a soffermarci con delizioso quanto biologico egoismo sui mutamenti della nostra vita: cambio di città, di lavoro, cambio di partner o di routine quotidiana. Siamo piccoli serpenti tecnici concentrati sulla nostra muta. Il cambiamento però è anche un lento adattarsi del mondo e della società alle generazioni che si susseguono, un difficile adattamento in quanto da una parte si tende all’autoconservazione e dall’altra al rinnovamento. Parliamo di cambiamenti grandi e piccoli, veri o presunti, con Alberto Pellegatta, classe 1978, uno dei più talentuosi poeti delle nuove leve, con un’impronta stilistica assolutamente originale e personale. Tra le altre cose, ha pubblicato nel 2017 la raccolta poetica “Ipotesi di felicità” nella collana dello Specchio Mondadori e più di recente ha fondato una casa editrice, Taut Editori, che col suo nome “rievoca uno degli architetti più visionari e meno conosciuti della storia”.
Cominciamo con il genere di cambiamento più scontato, quello geografico; Alberto, tu vivi diviso tra Milano e Barcellona. Per quale motivo hai preso questa decisione? Inizialmente hai trovato difficile adattarti a due stili di vita diversi, e ciò ha in qualche modo influito sulla tua scrittura?
Sono arrivato in Spagna a 19 anni, come molti, con una borsa di studio universitaria. La decisione di trasferirmi qui è dovuta al clima decisamente più accogliente e laico, nonché a un mondo del lavoro meno predatorio. Per fare un esempio pratico, io e il mio compagno notiamo maggiore rispetto verso le minoranze, in Italia invece i casi di omofobia ormai non si contano neanche più e la politica ha deciso di fare dei diritti civili uno spettacolo per le rispettive arene. Stiamo retrocedendo, ostaggi della chiesa cattolica. La mancata approvazione del ddl Zan dimostra tutta l’ignoranza che ancora stringe il paese: molti italiani non vogliono dare agli altri i diritti di cui godono. Posizioni retrograde che verranno spazzate via ma che, nel frattempo, riescono a ritardare il progresso collettivo e costringono migliaia di persone a soffrire pesanti discriminazioni. Vivere in un esilio spontaneo influisce sulla scrittura, come influisce il fatto di non sentirsi comodi nel proprio paese, di sentirsi ai margini. Ormai la mia lingua è nomade e forse per questo è solo mia. La quotidianità spagnola, insieme alla poesia e alla pittura, è entrata fino al midollo della mia scrittura. Amo il loro grottesco, la maniera che hanno di trattare senza mediazioni persino con la morte. Le loro coplas. Non hanno paura dei sentimenti ma sanno riconoscere un primato civile alla ragione. C’è attenzione verso l’altro, gli occhi non sono rovesciati all’interno, si preferisce indagare la complessità del reale piuttosto che la noia diaristica dell’intimità. Da noi si sprofonda nelle sabbie mobili della provincia, con testi che non si allontanano mai troppo dal divano o dal davanzale. La lingua spagnola significa anche America, è una delle tre lingue più parlate al mondo, offre accesso a una letteratura sconfinata e meravigliosa, che va da Cervantes ai grandi poeti latinoamericani del Novecento. Una ricchezza straordinaria che si traduce in una visione universale e molteplice. Vivere simultaneamente in due lingue diverse ha enormemente arricchito anche il mio immaginario, ben oltre la pura grammatica e la stilistica.
Tu rappresenti una figura di intellettuale “moderno”. La tua “autorevolezza” si manifesta attraverso i testi, la tua arte, il tuo lavoro critico di editore, non è un dato di fatto scolpito sulla pietra ma un impegno creativo quotidiano e in continuo divenire. Recentemente hai fondato la casa editrice Taut, concentrandoti maggiormente sulla qualità piuttosto che sulla quantità di libri pubblicati. Come vedi l’editoria del futuro, in ambito poetico? Ritieni che selezionare i testi con più cura possa portare ad una deriva snobistica e chiusa della poesia o al contrario possa arginare un eccessivo mainstream?
Sono convinto che la selezione spietata possa fare solo bene, speriamo con Taut di spingere al rialzo anche altri editori. È per l’eccessivo allargamento delle maglie critiche che siamo arrivati a considerare poeti gente che solo qualche decennio fa non sarebbe stata presa sul serio neanche alle feste di paese. Il futuro dell’editoria di poesia (e in generale di quella letteraria) dovrà essere legato alla qualità per essere sostenibile. Esiste una differenza cruciale tra l’editoria letteraria e quella industriale: la prima non antepone il bilancio al progetto culturale. Se non ci si distingue attraverso la qualità delle proposte viene meno il senso della piccola editoria, se tanto è una copia voglio-ma-non-posso dell’altra.
Parlando di cambiamenti con te, non posso fare a meno di analizzare anche in maniera più ampia le evoluzioni – o presunte tali – della nostra società. Ad esempio, per quanto riguarda i diritti civili. La pubblicità, la televisione, i social, Youtube ammiccano costantemente alla teoria gender fluid, la politica assicura nuove leggi (talvolta finite male) sui diritti civili e la parità di genere, la società sembra accettare tutto, ma è veramente – finalmente – così? Stiamo toccando col dito l’utopia, oppure si tratta di cambiamenti ancora limitati e schiavi del marketing?
La nostra società accetta chiunque generi mercato o spenda denaro. Anche a Londra, a suo tempo, il pink pound è stato lo strumento attraverso cui legittimare tutta una comunità. Il fatto poi che l’omosessuale venga accettato come consumatore o creativo ma non come individuo ci riporta al discorso sui diritti, che in Italia sono solo collettivi (famiglia, associazione, corporazione ecc.) e in ogni caso non sembrano interessare a nessuno, quasi fossero qualcosa di astratto che non sottintende pestaggi e violenze domestiche, angherie e inaccettabili umiliazioni. Esiste un problema culturale, la mentalità patriarcale, mafiosa, bigotta e fascista, vuole perpetuare l’ignoranza. Sedici anni fa ho seguito per una rivista svizzera il percorso che portò all’approvazione del matrimonio gay in Spagna – c’era ancora Zapatero. Intervistavo politici e attivisti che avevano come referenti militanti italiani come Mieli e Del Boca. Cosa è andato storto? Forse anche molti gay sono stati distratti dal culto del consumismo e dell’ignoranza, e qualcuno è arrivato persino a votare Giorgia Meloni. Certo che se anche assessori e ministri di sinistra, invece che difendere arte e letteratura di ricerca, rincorrono la banalità degli istallatori alla Cattelan e le canzoni trap, se lasciano che le baronie universitarie facciano scappare anche gli ultimi studenti rimasti per perpetuare un sistema clientelare, non stupisce che i delusi passino al lato oscuro. Al socialismo realmente esistente (per dirla con l’Enzensberger di Mediocrità e follia) molti preferiscono le demagogie irrealizzabili del populismo o le sirene del neoliberismo.
Nei tuoi testi poetici ricorre costantemente l’immagine non tanto dell’animale umanizzato ma più dell’ “uomo animalizzato”. È un processo creativo che affonda le radici nei classici greci e latini, dove uomini, dei e semidei erano soggetti a metamorfosi. Non sono solo natura e animali ad inserirsi in un contesto urbano o a restare nel loro ambiente, ma è l’uomo a trasformare se stesso e a rendersi animale, anche non volutamente. Gli animali devono affrontare diversi cambiamenti nel corso della loro esistenza, anche le piante. Quali sono le differenze secondo te tra la maniera in cui l’uomo affronta il cambiamento e quella in cui lo affronta una pianta o un animale? Abbiamo qualcosa da imparare noi umani, o proprio niente?
Nonostante sia la pianta ad avere le radici, sembrerebbe che sia molto più lento l’uomo ad affrontare i cambiamenti. Per spiegarne la ragione ci vengono in aiuto le neuroscienze: l’animale non cerca di comprendere il proprio agire ma si lascia guidare da un “cervello automatico”, chiamiamolo istinto, per semplificare – quella parte del cervello che ci fa respirare, camminare e pulsare senza l’intervento della coscienza. Siamo i mammiferi con lo svezzamento più lento, questo pare che ci permetta, d’altronde, di sviluppare un pensiero riflessivo.
Abbiamo tutto da imparare dalla natura, consiglio la lettura di Stefano Mancuso, che spiega bene, con dati alla mano, in cosa consista la vita vegetale. Scopriremo di essere noi asserviti alle piante e non viceversa – pensiamo al pomodoro o al tabacco, che ci impiegano, come fanno i fiori con gli insetti, per espandersi e contrastare altre colture. Quando sapremo rispettare l’ambiente e dire basta all’enorme dolore che stiamo arrecando in vari e spietati modi al mondo animale (allevamenti intensivi, sperimentazioni superflue, inquinamento ecc.), forse anche l’uomo avrà qualche possibilità in più di non scomparire nell’estinzione che si prepara con il cambio climatico. Neanche dopo un’esperienza pandemica abbiamo capito che allevare in questa maniera gli animali è un boomerang, che mangiare zucchero aumenta i rischi di altre patologie ecc… La vita dell’uomo senza animali e piante è impossibile. La vita del pianeta e degli altri esseri continuerà anche senza di noi. Tutta la nostra presunta intelligenza non ha preso atto di simili evidenze.
Uno degli esseri viventi che affronta cambiamenti più traumatici e radicali, ma anche un rinnovamento, nella propria vita è la farfalla. In quale fase della sua trasformazione ritieni di essere, come uomo e come poeta? Bruco, bozzolo o farfalla?
L’uomo procede al contrario, nasce farfalla e torna a essere bruco. Nell’infanzia siamo liberi da sovrastrutture, capaci persino di volare, mentre invecchiando assomigliamo sempre più ai bruchi, la loro voracità ricorda la nostra frenesia consumistica. Il poeta cerca invece di rimanere alato.
Intervista di Federica Gullotta
Photo by Roman Mager