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Interview | Mariana Martini

Con oltre 10 anni di esperienza in architettura d’interni, Mariana Martini è sempre stata affascinata dalla capacità degli spazi di essere modificati e progettati. Laureata in Architettura in Brasile, durante gli anni universitari inizia a lavorare con un team di grandi architetti e nel 2012 apre il proprio studio nella sua città di origine, Rio de Janeiro. Formatasi presso Thun & Partners, e vincitrice di 4 Awards di Architettura; Mariana è oggi riconosciuta Ambassador di Archiproducts e di Young Women Network, la prima associazione in Italia dedicata all’empowerment delle giovani donne. L’abbiamo raggiunta per una breve pausa caffè durante la sua intensa routine lavorativa.

La casa è uno spazio magico e trasversale, il luogo delle gioie e delle speranze ma anche dei segreti e delle ombre. Sembra un luogo vivo che protegge e ricrea, lo spazio che accoglie le disfatte personali e i propri drammi. Come si riesce a rendere omogeneo e reale un luogo così complesso e sfaccettato?

Trovo interessante tu abbia detto “segreti e ombre” perché quando penso in una casa, non mi viene mai in mente il dark side, anzi, io pubblicizzo i miei progetti di interni e li concepisco come un rifugio, sia dal mondo esterno che da sè stessi. Forse nasce dal mio ottimismo Brasiliano e dal mio modo sorridente di pensare alla vita. Credo che un ambiente abbia il potere di cambiare le nostre energie, e il nostro primo obiettivo è creare case che portino benessere.

 

La casa, è un luogo concreto, solido, eppure sembra avere un lato fragile, non solo per il rischio a cui si espone nel tempo ma anche per la sua capacità di accogliere e condizionare la vita stessa che la abita e che la rende viva. Sembra talvolta un ordine che tenta un disordine per sorprendere. O qualcosa che gioca sui sinonimi fingendo di prenderli per sensi diversi…

Si, come detto prima sono d’accordo che la casa condizioni la nostra vita, ed è per questo che dobbiamo curarla, amarla e farla diventare un nido di pace, tranquillità, creatività, di rilassamento e di rinnovo.

Il tuo percorso professionale vede la compresenza di due luoghi diversi che sei riuscita a rendere complementari. Quali caratteristiche umane servono per unire e armonizzare le diversità?

Prima di tutto la sensibilità per capire il meglio di due mondi e le principali caratteristiche che rendono questi posti magici così da poter unirli. Capire il perché di ogni scelta e poi tradurre sentimenti e sensazioni in materiali, finiture, tessuti, luci, in modo che la casa possa parlare per sé stessa.

Unire mondi diversi, culture diverse sembra una spinta asservita alla curiosità…

È una delle mie parti preferite, la diversità culturale! Sono una persona che osserva molto quindi ogni viaggio è un’opportunità di imparare e di conoscere persone che mi aggiungono conoscenze. Sono Brasiliana nata e cresciuta a Rio de Janeiro, ma ho vissuto in California, NYC, Milano e viaggiato molto. Sono appassionata dalle persone quindi ho coltivato molti amici in questi anni. Nel mio matrimonio, c’erano 115 persone di 20 paesi diversi nel mondo proprio perché la diversità mi incuriosisce. L’Italia poi è un paese più tradizionale ma credo che questa mia voglia di scoprire e di sperimentare risvegli qualcosa nei miei clienti. Poi la mia internazionalità mi ha anche permesso di avere molti clienti stranieri che vivono in Italia perché sanno che io riesco a comprendere le loro esigenze, e la loro necessità di novità. Inoltre la mia associata è Ungherese quindi direi che abbiamo degli sguardi molto diversi che sono favorevoli alla nostra creatività e capacità di comprensione.

 

Oggi sembrano affermate, seppure trasformate e adattate alla produzione, le sperimentazioni del collettivo Memphis  il quale, tra le altre cose, mescolava materiali differenti per creare emozioni. Far dialogare bellezza e funzione significa trovare l’equilibrio tra il mondo esterno e l’essere pienamente se stessi con tutte le proprie delicatezze e particolarità?

Assolutamente si, sempre parlando del mondo residenziale, la casa è funzione. La casa ci protegge, ci accoglie, ci permette di poter mangiare, lavarci, riposarci. La bellezza molte volte è già presente nell’architettura esistente ma poi dobbiamo portare la nostra impronta unica nello spazio in cui abitiamo. La mia funzione in questi casi è leggere le persone, cercare di capirle perché molte volte loro stessi non sanno cosa manca nello spazio per potersi sentire a loro agio, quindi divento una guida nel loro percorso di scoperte.

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Il poeta Yves Bonnefoy sosteneva che le parole hanno un suono segreto il quale svela la loro vera vocazione e il loro reale significato. È così anche per l’oggetto nel design?

Si, gli oggetti hanno il potere di portare emozioni insieme all’arte, ai mobili ma anche per esempio in una cucina che ti può fare ricordare una nonna, oppure in un rivestimento tipo il cotto per il balcone che ricorda le vacanze da piccoli. Non solo memorie ma sentimenti, tipo un divano che ti avvolge e ti fa sentire sicuro e amato. C’è potere in tutto, ed ecco perché ogni scelta non può essere scontata.

 

Credi che architettura e design abbiano qualche parentela con la letteratura? Con il suo modo di essere più luoghi e più situazioni diverse? Una metafora e una lingua che ricrea oltre il proprio dire e mostrare?

Tutto è arte, tutto è storia.

Ogni forma d’arte ha un bagaglio figurativo imponente. Come ci si confronta con tutto questo? Come si riesce a creare una propria traccia, un proprio innegabile segno distintivo senza annegare nell’inevitabile “questo è già stato fatto”, “questo è già stato visto”?

Non inseguire la moda, non cercare riferimenti esistenti ma capire cosa c’è già dentro ognuno di noi che può essere “unico”. Siamo unici, se abbiamo una impronta 100% distinta dagli altri allora sicuramente potremo fare qualcosa che ci contraddistingue. È una scoperta profonda e personale che solo noi stessi possiamo fare. Io insegno ad altri professionisti a trovare il loro stile in un corso di “Branding per gli Architetti” e quello che dico è che non ci vogliono siti di ispirazioni e riferimenti…ma ci vuole analisi, riflessioni, scritte, parole chiave, una immersione profonda nel nostro vero Io per capire chi siamo davvero, i nostri gusti e così non ripetere quello che esiste già, ma far vedere qualcosa che ha senso per noi e che può piacere a qualcun’altro di conseguenza.

 

Il tuo concept “Urban tropical” è l’idea di essere in un “qui” e in un “altrove”. Sembra voler coniugare due nature, due mood che spesso sono inconciliabili…

Si, due mondi contrastanti. È questa parte della bellezza, il contrasto. Facciamo delle case con base minimal, non per moda ma perché credo in una casa che respiri anche visivamente solo con l’essenziale. Il decor, gli oggetti affettivi, ma tutto in modo molto organizzato. La casa per me deve essere organizzata come la vita, ma questo è un mio concetto, fa parte delle mie riflessioni personali, e i miei clienti arrivano da me perché si ritrovano in questo concetto. Poi, anche Milano ha il suo lato razionale.. di chi lavora tutta la giornata e vive poco la casa. E’ una città cosmopolita, un’ po’ grigia ogni tanto quindi a questo Urban serve un lato caldo, il lato Tropical. È un mix che porta accoglienza a tutto ciò che è freddo attraverso la scelta dei tessuti, materiali, oggetti, lampadari, che possono cambiare l’atmosfera. È come lavorare a Milano ma svegliarsi a Bali, è fare la doccia come se fossi alle Hawaii, è avere il benessere delle vacanze anche se sei a casa. Una cosa ordinaria che osa essere straordinaria.

Gregoretti, durante un’intervista, disse in merito al MAXXI di Zaha Hadid: “il suo fine è la trovata, la calligrafia, senza rapporto con la funzione. Queste sono architetture popolari, d’altronde se non lo fossero non potrebbero esistere. Contengono un messaggio pubblicitario. Anche nel Seicento le facciate barocche delle chiese lo contenevano, ma si riferiva a un universo spirituale. Qui è la moda a dettare le prescrizioni.” Credi anche tu che il presente sia governato dalla moda, ossia, come scrisse Barthes: “un sistema culturale che sembra sfuggire al determinismo della storia.”?

Come detto prima, purtroppo c’è ancora chi crea in base alla moda. Io ho studiato molto a proposito del confronto moda vs verità da mio marito Gustavo Martini, designer e artista. Un uomo dall’estetica estremamente pulita che si riflette coerentemente nel suo stile di abbigliamento, nell’arredo della casa e persino nel suo modo di mangiare (non mio per fortuna…) Gustavo non apprezza l’utilizzo eccessivo dei colori né l’eccesso di informazioni. Il decor quasi diventa superfluo. Per anni ci siamo chiesti i motivi delle sue scelte finchè un’amica psicologa ci fece notare che il motivo risiedeva probabilmente nella dislessia di Gustavo che lo portava a semplificare il più possiible tutto ciò che riteneva essenziale. Le righe e disegni di base semplici lo aiutavano a capire con più semplicità il mondo. In più, avendo anche l’ADHD, il suo modo di creare era anche un’opportunità di concentrarsi. La sua estetica cosi personale potrebbe soffrire nel periodo attuale, dove la moda corrente prevede l’utilizzo di velluti e ottone in stile Milanese, oppure candy colors e neon, ma credo ci sarà sempre un pubblico che l’apprezza in modo atemporale. Credo che l’unica strada percorribile sia lavorare sempre e soltanto su noi stessi e sulla nostra storia.


 

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