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Leone | Katherine Mansfield

L’immagine di Katherine Mansfield, considerata unanimemente tra le maggiori autrici della letteratura inglese del Novecento, è quella dell’esule, della raminga, della bohemienne che si sposta senza tregua da un paese all’altro, da una città all’altra, da un indirizzo all’altro, da una modalità di esistenza all’altra.

La Mansfield nacque nel 1888 a Wellington, in Nuova Zelanda, da una famiglia di immigrati inglesi. Ma lasciò il paese natale a diciotto anni per non farvi mai più ritorno. Trasferitasi a Londra e terminati lì gli studi, iniziò un periodo di spostamenti anche rocamboleschi in tutta Europa (Francia, Germania, Italia) dovuti soprattutto a motivi di salute (era malata di tisi), ma anche alleristrettezze economiche e ad una vocazione invincibile per l’avventura e per l’esplorazione. Dopo una raccolta di racconti ancora piuttosto immatura (In una pensione tedesca, 1911), ancora influenzata pesantemente dal suo più grande modello, Anton Cechov, il vero talento e la vera misura della Mansfield esplosero negli anni seguenti alla prima guerra mondiale, in celebri racconti più o meno lunghi, i più riusciti dei quali sono probabilmente La festa in Giardino, Soffia il Vento e Preludio. E’ in questi racconti che troviamo la maggiore Mansfield, qui scorgiamo la splendida essenza della sua arte, fondata sull’ellissi e la reticenza, l’impersonalità e il distacco. I tre racconti citati si svolgono tutti in Nuova Zelanda, e più precisamente nella sua capitale, Wellington. Ma, a ben guardare, non si tratta di una “vera” Nuova Zelanda. In queste pagine non abbiamo di fronte una effettiva rievocazione, non si tratta di una semplice memoria o riproduzione degli eventi, dei personaggi e dei luoghi del paese natale, che tra l’altro non viene mai nominato direttamente. Si tratta piuttosto di un sogno, una scena, un teatro ricreato nel presente dall’immaginazione e dalla scrittura, un tempo inventato e un luogo inventato, allestito nella mente e dalla mente. Né l’elemento autobiografico (l’infanzia, l’adolescenza, la famiglia, i contrasti tra le classi sociali) appare autobiografico nel senso più scontato e ristretto del termine: ha invece il carattere di una reinvenzione, una rilettura, un rivedere, un ricreare, una revisione della propria esperienza e del proprio dato reale condotta alla luce dell’immaginazione, sotto la lente precisa e spietata del linguaggio e della sua musicalità. Alla Mansfield non interessa la semplice riproduzione della propria vicenda privata e particolare, è piuttosto alla ricerca di uno stile illuminante, di una forma pura, di una dimensione impersonale, quasi magica e senza tempo, in cui la vita parli per così dire da sola, rappresenti sé stessa spontaneamente e liberamente, senza interventi e forzature, né giudizi o spiegazioni, da parte dell’io dell’autore.

James Hillman, il celebre psicologo e filosofo americano, ha parlato in uno dei suoi scritti di “vera biografia”, la nostra “vera biografia”. L’importante teoria di Hillman, espressa in libri come Il Codice dell’anima, è molto nota: il dato essenziale dell’esistenza umana è la vocazione (naturalmente non solo quella artistica) determinata da un daimon, una ghianda che costituisce l’elemento portante e fondamentale di un individuo, idea ripresa dalla cultura greca ed espressa tra gli altri da Platone nel suo Mito di Er. L’addio dato in precocissima età dalla Mansfield alla Nuova Zelanda sembra acquistare, alla luce di questa idea di Hillman, un preciso significato. Questo addio dato al “paese reale”, questo trauma del distacco, questa specie di rottura con la geografia della propria nascita ha corrisposto in Katherine Mansfield ad un addio dato alla propria contingenza oggettiva, statistica, banale e sostanzialmente casuale (nonché causale) e per così dire predeterminata. La sua “biografia letterale” attraverso la sua opera e attraverso la sua scrittura è diventata quindi una “biografia letteraria”. La sua biografia letterale, cioè quella biografia fondata e determinata dal dato oggettivo, realistico, personale e privato, è diventata attraverso la scrittura una biografia ricreata, ricomposta e riorganizzata, quella che Hillman chiama appunto la “vera biografia”, che ha la sua stella fissa nel daimon, termine che si potrebbe far coincidere convocazione.

Dunque che cosa rappresentano in ultima analisi per la Mansfield l’addio precoce dato alla Nuova Zelanda, i continui viaggi, i trasferimenti, i traslochi, le avventure, le esplorazioni? La Letteratura.

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