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Leone | Kleist

Non basta leggere queste pagine di Andrea Leone con gli occhi. Bisogna affinare tutte le sensibilità, anche quelle più rarefatte, per rendersi conto che questo è un romanzo tridimensionale. Dietro il racconto febbrile con cui Kleist si congeda dagli uomini, si formano intorno a noi gli spazi austeri e in penombra di un palazzo neoclassico tedesco, si percepisce l’odore della polvere da sparo mescolata al profumo dei fiori serotini, si ascolta un violinista impegnato a ripetere un difficile passaggio di una sonata. Manifesto filosofico o gioco dell’immaginazione che trasfigura eventi reali. Flusso di parole cui abbandonarsi o percorso in cui ogni vocabolo nasconde un altro significato. Il monologo di Kleist resta una potente dichiarazione di libertà umana.

 

La mia opera otterrà molto presto l’effetto desiderato, e con una precisione pressoché scientifica. Dopo un simile capolavoro non avrebbe mai fatto più nulla. Il capolavoro era definitivo. La strage era definitiva. Era nato per questo, e non gli restava nient’altro da fare, se non contemplare in eterno il risultato. Il suicidio avviene prima nella testa e poi avviene nella realtà. Il suicidio avviene prima all’interno del sistema nervoso e poi viene eseguito fuori, nel sistema nervoso del mondo. Il suicidio viene prima scritto nello spartito del cervello, nello spartito di ogni cervello, e poi viene eseguito nella sala da concerto del mondo.

«Guariti dalle case della catastrofe. Guariti dall’infame malattia mortale chiamata patria. Guariti dal panorama dell’infamia, dal paesaggio del peggio, dalla visione della fine. La storia è l’occhio clinico contro il male aberrante del tema natale, i nostri corpi i sismografi di tutti gli orrori e di tutti i terremoti. La storia è una lente d’ingrandimento, uno strumento scientifico sempre più preciso, sempre più implacabile».

«Ciò che chiamiamo scientifica disciplina della testa» disse Kleist, «estrema e ossessiva disciplina della testa prima di me si è espressa ad un livello infinitamente più elementare. Il mio pensiero è il metodo di un processo di disfacimento, il processo di disfacimento che per convenzione chiamiamo corpo, il processo di disfacimento che siamo, il precipizio allarmante e inesorabile che è il mondo fisico, il martellante martirio altrimenti definito materia. Il mio volto ha subito ormai una deformazione definitiva, è come se avessi ricevuto il violento, inesorabile pugno del mondo in piena faccia. Il mio volto è sfigurato dall’ottusità degli esponenti della famiglia K., il mio volto è sfigurato dall’inferno che i Kleist si sono costruiti. Il mio volto deve essere talmente orrendo e sfasciato da sembrare mummificato! Guardando allo specchio il campo di battaglia del mio volto mi estinguerei all’istante non riuscendo a tollerare una simile catastrofe. Il mio volto è una proliferazione abnorme fatta di metalli arrugginiti, masse gonfie di sangue, fiori ammuffiti, animali agonizzanti, formazioni vegetali, fossili vecchi di millenni. Un’architettura che provoca il crimine, chiunque veda da vicino la casa nella Moskauer Strasse e parli con la popolazione che vive intorno alla casa della Moskauer Strasse capirà perché ci siamo annoiati a morte e perché ce ne siamo andati maledicendo tutto».

«Il virtuoso dell’ozio. Nessuno è capace di non fare nulla, nessuno è capace di non intervenire quanto me. La mia epica dell’invisibile. La mia epica del sistema nervoso. La mia poesia del sistema nervoso. Il mio romanzo del sistema nervoso».

La letteratura è Dio. Diventa sempre più chiaro, sempre più inequivocabile. L’esistenza è solo e soltanto una lenta procedura burocratica per essere ammessi al Dio della Letteratura. Dalla tragica e squallida patria, dal disgustoso ospizio e dalla più disgustosa fossa comune d’Europa, dalla città più grottesca, nauseante e terrificante d’Europa noi ce ne andiamo. Dall’orrenda menzogna, dall’infame e idiota cartella clinica dei plebei educatori di stato noi siamo fuggiti. La grottesca e pericolosa norma della patria noi l’abbiamo infranta. Dalla mediocre malattia della patria siamo guariti da tempo. Diventare il recensore della fine, il recensore dell’ultima natura assurda. Sono stato perfetto. Ma a un certo punto ho voluto uscire dalla mia stanza. Ho conosciuto persone. Ho viaggiato. Ho visto, tardi e solo per un po’, il mondo. Questo è bastato per rovinarmi.

«Riesce a sentirlo, caro Maggiore, questo rumore? Appena arrivato in questo posto non ha forse sentito come un battere di piedi, come l’avanzare di un esercito? Riesce a sopportare questa musica fatta di giorni e ore, questa musica a forma di condanna? Non è forse il rumore dello sfacelo dell’universo? Continua forse anche senza di noi questo rumore dello sfacelo? Non siamo forse noi il cervello dello sfacelo, non siamo forse esattamente noi il centro dello sfacelo?»

Kleist disse, continuando a camminare per la stanza: «Ho il terrore di pensare, il terrore di parlare, la mia forma e sussistenza è assicurata dal terrore, io esisto perché mi sfianca questo terrore, il mio primo istante di vita è stato il mio primo istante di terrore. Cammino da settimane in un oltretomba, da settimane mangio in un oltretomba». Il corpo di Kleist è come un teatro abbandonato, il suo corpo è un teatro buio e polveroso non più frequentato da nessuno ormai da anni, nessun attore da decenni recita orma su quel teatro, così come nessuno spettatore assiste agli spettacoli che hanno luogo in quel teatro. Lo stato mentale e fisico di Kleist è ormai uno stato ultimo e definitivo così come lo stato mentale e fisico del Capitano Kleist ha raggiunto ormai il limite estremo.

Tutto ciò che ci avete dato è la carne che si deforma, la vostra unica eredità era la fine. Nati e morti qualsiasi. Poveri funzionari della fine. Svenanti, ustionanti maniaci della mediocrità. La prima e più perfetta rappresentazione della morte. Il capolavoro della morte. Idioti ergastolani del sangue. Ha notato, Maggiore, che la società di oggi è composta esclusivamente da quelli che una volta si chiamavano plebei, morti di fame? Le regole universali oggi sono le loro. Le regole di chi è stato un disgraziato, uno straccione per secoli. La vede la grande fame di questi animali, che non mangiano da secoli e sono disposti a tutto pur di sopraffarti? Li sente urlare? La vede la loro violenza? Non mangerebbero anche il cadavere dei loro non- padri? Gli anni della nostra esistenza ci servono per liberarci di questi miserrimi allievi del nulla; da bambini e da adolescenti siamo le loro facili prede, poi però diventa sempre più difficile per loro addomesticarci. La nostra storia si svolge sotto il segno dell’insalvabile ossia sotto il segno dell’atroce religione del passato, noi i fantasmi intrappolati preda di parenti pericolosi a F***, una città accanitamente odiata, immediatamente e per sempre odiata; io non mi sono mai concessa a F***, il palcoscenico di questa città il mio corpo non lo ho mai calcato neppure una volta, per il mio corpo non c’è mai stata una prima teatrale sul palcoscenico di questa città. Città squallida, città dell’apatia; documenti scaduti e ingialliti, una catalessi degli eventi. L’infamia della patria originaria, una simile ingloriosa menzogna senza storia. Il mio corpo è un incubo chimico e fisico, apparso sulla scena nera della storia. La facoltosa famiglia ha finanziato sin dall’inizio la nostra implacabile ribellione. La mia famiglia ha caratterizzato con la propria storia l’idiota e assurda città di F***, ma io ho sempre soltanto rifiutato di proseguire il rapporto con questa città agghiacciante e profondamente pericolosa. Eseguo uno sfacelo che ha la forma di una carriera, eseguo uno sfacelo che ha la forma di una non- carriera! Ogni nostro gesto è l’inizio della fine, tutto a casa Kleist è l’inizio della fine, Kleist va indietro nella memoria ma un vero e proprio inizio non riesce a ricordarlo, il tema musicale dell’inizio il suo cervello non lo ha mai eseguito, tutto è sempre stato soltanto l’inizio della fine. É una casa che mi è totalmente estranea così come la città mi è totalmente estranea, un luogo totalmente casuale con il quale non ho mai avuto il benché minimo rapporto, io non ho mai avuto il minimo rapporto con F***, l’apparizione in quel luogo esatto non mi ha mai totalmente convinto e quel luogo esatto l’ho disprezzato come l’inferno. «Ho trasformato me stesso in un cimitero allo scopo di seppellire per sempre quel palazzo e tutto il suo contenuto. Un’operazione algebrica di radiazione e cancellazione totale. Sepolto nel cimitero del mio cervello, imprigionato nella mia testa totalmente fredda».

Sei completamente pazzo e morirai pazzo. Ti decomporrai non avendo ancora lasciato il tuo stato di follia. La decomposizione e putrefazione del tuo corpo non riuscirà a farti guarire dalla tua follia. Chiuditi in una bara; faremo venire un falegname, inchioderà un pezzo di legno scuro contro la tua porta, e nella tua stanza rimarrai sepolto vivo. Un essere capitato tra i Kleist nessuno sa come né soprattutto perché.

Kleist era sepolto in se stesso, recitava incessantemente. Era destinato al nulla, stava invecchiando a vista d’occhio, era una natura nera, il suo cranio era martellato da idee fisse. Il suo mal di testa ha dominato la sua intera esistenza, il suo mal di testa non è che il punto di massima percezione della distruzione del mondo, è nella sua testa che il mondo si distrugge meticolosamente e lucidamente, incessantemente e definitivamente. Il suo mal di testa ha divorato il suo corpo, spolpato la sua carne. Il fatto di essere nati è un tale shock incomprensibile, che ogni nostro pensiero è un tentativo di stordimento da una tale dura e assurda verità coi suoi svenanti e intollerabili colpi d’ariete. Nel suo incessante stato di shock i giorni trascorrono senza che lui se ne accorga, cadaveri sopra cadaveri nella fossa comune della sua testa; il suo cervello precipita, lui precipita all’interno del suo cervello e all’interno di tutte le sue atrocità, nell’imperativo «ed esercizio e suicidio» del suo destino.

Kleist, estremamente irritato e nervoso, disse: «Esiste qualcosa di più triste dell’intelligenza, della testa di stato? Come ho potuto sopportare per due decenni la testa degli educatori o funzionari della specie? C’è qualcosa di più triste e soprattutto noioso che abbassarsi ad essere un ingegno di stato? I loro reliquiari infernali».

Che cosa vogliono da noi i famosi Kleist? Ci hanno mandato nelle scuole finanziate da loro affinché noi imparassimo ad annoiarci, imparassimo a diventare dei servi, sia pure servi di lusso, per poter poi un giorno finalmente pagare i loro debiti, i debiti del Potere, i quali non sono altro che i debiti della Morte, i debiti dei Kleist e dei loro funzionari e consanguinei. Loro vogliono che noi lavoriamo, che noi paghiamo i loro giorni, vogliono che noi paghiamo la loro vecchiaia, vogliono che il nostro sangue nutra il loro corpo dannato. La nostra coscrizione nelle fila dei Kleist e nelle istituzioni pagate col denaro dei Kleist è l’arruolamento nella morte, nella loro bruttissima morte. Carne che finisce nella gola di un cadavere chiamato Potere: questa è l’educazione che i nostri militari avrebbero voluto impartirci. I Kleist vogliono che noi li arricchiamo, vogliono divorare i nostri corpi, vogliono il nostro sangue, vogliono la nostra testa, vogliono che noi non usciamo più dalle gabbie che hanno costruito per noi. Voi ci avete rinchiuso nei vostri istituti di correzione sin da subito, voi ci avete rinchiuso sin da subito in quegli edifici dall’architettura di morte, edifici nei quali abbiamo trascorso buona parte dell’esistenza, ma dai quali a un certo punto siamo evasi, dal momento che intendevamo evadere da voi, dal vostro cervello putrefatto e dal vostro corpo putrefatto, voi ci avete registrato nei vostri istituti sin dall’inizio, voi ci avete registrato nei vostri libri della morte, appena nati voi ci avete registrati nei vostri istituti di correzione, poi avete continuato a tenerci rinchiusi nei vostri istituti di correzione continuando a scrivere il nostro nome nei vostri registri della morte, voi in questi istituti di correzione ci avete educato al terrore. Voi avete cercato di controllarci totalmente l’esistenza allo scopo di assoldarci nei vostri Eserciti della Disgrazia. Voi avete cercato di impiegarci nelle imprese dei Kleist, ma noi dall’inferno dei dannati stiamo già uscendo adesso.

 


Incipit di “Kleist” | Andrea Leone | Edizioni Ventizeronovanta |  2014 | Amazon Books

Photo by Aaron Burden on Unsplash

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