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Leronni | Nembi Sulla Casa

L’istinto ti ribalta oltre il tetto

nell’aria che giudica le forme

ma è qui che torni

nel vallo fra un letto e l’altro

fra la polvere dei libri

e il silenzio di chi parla

in una notte risorta per te

che hai pena a descrivere.

Le case: una coda che s’insinua

nel dormiveglia

l’archivio dei visi rovesciati

che s’imbrattano di luce.

Cosa hai detto alla tua, cosa

ti è sfuggito, approfittando

di quale varco le hai promesso

il nulla? Ciò che attende

oltre l’insensatezza

libera un vissuto abnorme

prodiga lingue

che sporgono sul caso: una memoria

una trama di pareti e carne

che poi negli occhi

si risolve eterna.

*

Nome profondo, ulcera

che transita nel giorno

e lo infuoca: qui

hai accatastato

il rigoglio del nulla

lo hai condotto all’altare

di carte e frantumi.

Tutti dormono. E tu sapevi.

Sapevi come coloro che non sanno

e piegano il vento. Conoscevi

la tua imprudenza:

non si trascende

s’incespica nel maglio.

Ad andare oltre il giardino

resta aperto il conto

che si dirama dall’alto

come pioggia: mattoni allineati

coesi per la carne che trascorre

vetri impostori

e sul comodino, in terrazzo

quella cenere, quella poltiglia

di senso che s’abbruna

quella lingua odorosa

inaudita

che s’incaglia sulla morte.

*

Qui proverai a siglare

l’invocazione per gli storni:

ci sai arrivare

lungo quest’asse non ti perdi.

Ma poi la rima riga il cielo

tutto ricade spossato:

ferraglia, altra polvere per il mondo.

Nel tuo pigro giardino

i fiori sono spogli, i tronchi

rinunciano alla gloria.

C’è da rifare il sogno

il piglio della pietra

che inverte le rotte:

altre case accanto

cumuli di memoria inesplosa

varianti plumbee

vite tagliate al millesimo.

Sai dove andiamo? Sei vigile

quando distingui il cane del vicino?

Le pareti scendono in te

corpi bagnati nel latte:

non ti opporre

sia quella la tua preghiera.

*

Le case soffrono per i morti.

Per i battesimi, per l’incauta

frontiera tracciata in noi stessi.

Per il pensiero che scende

sulle cose a dissolverle.

E per il vento, ovunque,

che sposta intere stagioni.

Tu sei lì a fasciarlo

porgi qualcosa che non torna

mai indietro

fai l’indifferente

per non giustificarti con la morte.

Poco oltre si fa famiglia

i gatti ne escono intatti scorrendo

nel pomeriggio come lacrime.

E anche guardando a fondo

le voci interrate non emergono

i popoli che hai imboccato

disconoscono il sangue.

 


Featured Painting by Valentin de Boulogne | Cardsharps (c.1615) | Gemaldegalerie_Dresden copy 37 | 94.5 x 137 cm

Comments (3)

  • Maria Grazia Palazzo

    Meraviglia sempre la tua poesia argentata che scava e libera. Grazie

    reply
  • Giacomo Leronni

    Grazie per l’ospitalità e complimenti a voi per questa meravigliosa avventura nel mondo dell’Arte…

    reply
  • Maurizio

    Mura che scendono come corpo nel latte.

    reply

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