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Patregnani | La Biblioteca di Padre Sergio

Esistono ancora i luoghi gratuiti. Sono isole che dividono la corrente del quotidiano, del correre e dell’affannarsi della dimensione materiale e produttivistica. Sono ormeggi a cui aggrapparsi per restare fermi il tempo che ci basta, prima di ripartire. In pochissimi, infatti, riescono a viverci; vivere su un’isola richiede una disponibilità mentale al sacrificio, all’accettazione, all’immobilità e alla solitudine, tutte caratteristiche dalle quali l’alveo cittadino e occidentale rifugge come una peste. Tolti quindi i pochissimi, strenui abitanti di queste isole, rimangono i visitatori, che godono del privilegio di poter riemergere dal fiume di dati della coscienza collettiva nevrotica e palpitante, per soffermarsi ad occhi aperti, per una volta, a respirare, a contemplare. La fortuna di questi visitatori sta nel loro essere anfibi. Nella loro ricerca, casuale oppure sistematica, di qualcosa che sia altro – e altrove – dalla loro biosfera.
La pace di questi luoghi gratuiti ha un che di inquietante, a tratti. Valicarne il confine significa riconoscere la propria diversità rispetto a tali luoghi e la propria omologazione al sentire comune, che rimane all’esterno. Questo scollamento dalla propria zona confortante e sicura è il primo sintomo dell’incertezza che pervade la mente del visitatore appena varcata la soglia. Si è dentro, ma come pesci fuori dall’acqua. Si entra in un cerchio in cui cambia la prospettiva perché cambiano gli equilibri magici che ne governano le forze.
Solitamente questi luoghi gratuiti colpiscono enormemente la sensibilità degli esseri anfibi, perché offrono sono in grado di offrire uno squarcio, un piccolo varco prospettico in grado di suggerire loro ciò di cui avevano bisogno e di cui cercavano conferma: esiste un modo di vivere – e di essere – che non si basa sui presupposti comuni. Esiste un modo di essere – e di vivere – che si basa sul darsi, sull’offrirsi agli altri come luogo e momento di scoperta. Sono luoghi, questi, che non hanno nessun altro senso se non il loro significante di “spazio a disposizione di chiunque possegga la disponibilità a ricevere”. Ecco che questi luoghi antropici, come il bosco, si fanno datori di vita, seppur in un modo più arcano, più oscuro. Non chiedono, non giudicano. Esistono e in quanto esistenti si donano.
Tra questi luoghi si ascrive a pieno titolo la Biblioteca di Padre Sergio. Non mi dilungherò in descrizioni dettagliate sul contesto e sulla storia del sito, poiché si possono facilmente trovare diversi documenti al riguardo con una semplice ricerca su internet – compresi i riferimenti alle suggestioni che creò nella mente di uno dei più famosi intellettuali italiani, Umberto Eco. Più interessante ancora sarebbe analizzare la sua posizione geografica in una delle valli più rudi dell’arco alpino piemontese, ancora profondamente radicate nella propria cultura, ma questo argomento meriterebbe un saggio a parte. Quello su cui invece mi focalizzerò qui è appunto la sua caratteristica di luogo gratuito, creato senza nessun altro scopo che quello di ospitare un patrimonio libresco di -ormai – quasi 70.000 volumi. Non è stato commercializzato, non viene “valorizzato” se non dalla presenza attiva di un custode e di qualche anfibio visitatore.
Per arrivarci si scende, fisicamente, in un lungo sotterraneo, chiuso alla vista e senza sbocchi sull’esterno. Il percorso si snoda in cinque stanze, rese labirintiche dalla disposizione degli scaffali, elementi di supporto ai volumi che si fanno pareti essi stessi, creando il meandro che accompagna l’occhio abbacinato del visitatore-anfibio. Non occorre abituarsi all’oscurità quanto alla moltitudine, all’accumulo. Impossibile riuscire a riconoscere la strada; il custode vi accompagnerà ma voi sarete troppo impegnati a catturare qualche titolo, a sfiorare con i polpastrelli i dorsi dei volumi. Che possono essere consultati ma non presi in prestito: ciò che è dell’isola rimane sull’isola. Non potrete portar via souvenir o ricordi tangibili, solo il ricordo di questa dimensione atemporale ed illogica.

I luoghi gratuiti esistono in se stessi e per se stessi, nella loro dimensione di apertura. Nella mente del visitatore-anfibio un campanello d’allarme sociale insinuerà la fatidica domanda: perché? Qual è il senso di tutto questo? O meglio, dove sta l’utilità di tutto questo? Perché la biblioteca non è stata spostata in un luogo areato, spazioso, facilmente agibile e raggiungibile? Perché si continua a usare quel vecchio calcolatore per tener traccia d’ordine nell’archivio gorgheggiante di libri e non si passa a un software più attuale, a un sistema di catalogazione accessibile a chiunque? Perché tutto ciò non viene aperto al prestito e all’effettivo utilizzo dei volumi?

Quello che effettivamente colpisce dell’accumulo della biblioteca di Padre Sergio è il senso di impotenza di poter trovare un nesso, anche minimo, fra le varie collezioni di collane e di volumi; quello di poter verificare se esiste qualcosa che ci interessi, che sia lì ad aspettare noi, che ci chiami (i libri, come oggetti, posseggono un’alta dose di magnetismo e la esercitano liberamente, si sa, nei confronti dei lettori). Anche qualora si trovasse un libro interessante per noi (anzi, qualora il libro trovasse il lettore), non ci sarebbe il tempo materiale per una lettura, una consultazione. Non certo per il visitatore anfibio, che ha quasi sempre poco tempo a disposizione e deve necessariamente accontentarsi di aver visto, assaporato e respirato il particolare dna di quel luogo. Resta deluso, forse, perché da visitatore si sente declassato a passante, che può solo esercitare un diritto alla flânerie, in questo caso tra gli scaffali, esortato a proseguire dalla presenza del custode-guida. Il luogo gratuito si è fatto santuario di idee, sepolcro di pagine e parole, catacomba custode di sapienza cristallizzata, già sbocciata e maturata, destinata a conservarsi uguale a se stessa e silenziosa per tutti gli anni a venire.
Non è dato sapere cosa succederà, se quell’infinità apparente di dorsi potrà trovare una collocazione più dinamica, uno sbocco nel flusso di dati, informazioni, di scambio che in parte costituiscono il fiume, là fuori. Si metterebbero a disposizione un’infinità di volumi alcuni dei quali piuttosto datati, forse privi di interesse per i più: in quanti vi attingerebbero veramente? Forse ne potrebbe nascere un museo archeologico del libro. Forse la collezione potrebbe essere annessa a qualche altro spazio, diventandone l’appendice “di colore”, la rarità, l’orpello affascinante da fotografare e dimenticare di lì a poco.
O forse questo luogo potrebbe sopravvivere nel suo solipsismo, nella sua gratuità, come un antro che ospiti il pensiero che vi si è cristallizzato, nell’atto ripetuto dell’accumulo, della lettura e della catalogazione. Un tempio che rimanga a monito di quanti si affrettano a cercare un senso e non riescano a vedere che un semplice uomo dedito alla povertà, alle attività semplici, alla vita scarna abbia potuto creare, come goccia nella roccia, un simile iato temporale. Che a guardarlo bene brulica di vita come la foresta descritta da Jean Giono nel suo magnifico libro L’uomo che piantava gli alberi. Chissà se anche questo libro è custodito nella biblioteca di Padre Sergio.


Photo by Giammarco

 

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