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Pistoia | Un fatto di apparizione

Ho sempre detestato i discorsi sull’addio, non certo per insofferenza -dire addio a qualcosa o qualcuno è un punto critico- ma più che altro perché la parola e il suo sentimento non mi sembravano corrispondere. Avere sotto i nostri occhi cose che vengono e cose che vanno non fa altro che alimentare una gran confusione; il problema dell’addio non è un problema di distacco ma di sparizione -un sentimento che ci fa palesemente entrare in una strada senza uscita. Esso non sta in questo andirivieni di cose che succedono senza controllo soppiantandosi dentro le nostre giornate ma nella nostra stessa capacità di osservare e di fare quello che etimologicamente la parola ci chiede: lasciare a dio, qualunque esso sia. In questo caso potremmo finalmente parlare di accoglienza invece che di difesa, così da aprirci invece di chiuderci; è una questione di convenienza. La parola lasciare può generare un malinteso: essa non ci suggerisce di perdere, di far sparire, ma di allentare e quindi dare largo, fare spazio, perciò concedere e permettere; dentro uno stato che comporta la più assente conoscenza e la più presente consapevolezza. Mai letto quelle cose New Age o quelle frasi dove si dice che in realtà l’evoluzione non consiste nel superare gli altri a livello spirituale ma nell’essere sempre più (e non è poco) consapevoli?

È per questa ragione che potremmo subito toglierci dai piedi la scomparsa. In questo modo l’addio non sarebbe più un’eclissi, un dileguamento, un crollo ma, al contrario, un fatto di apparizione.

Alessandro Baricco in un saggio prende in mano un pregiudizio colossale – “Pensiamo che i computer abbiano generato una nuova forma di intelligenza (o di stupidità)” e lo capovolge: “smettetela di cercare di capire se l’uso dello smartphone ci disconnette dalla realtà e dedicate lo stesso tempo a cercare di capire quale tipo di connessione alla realtà cercavamo”. A parte le domande su come abbia fatto a spiegarci tutto in due righe le nostre riflessioni cadono sul metodo. L’idea che la tecnologia ci farà in qualche modo scomparire sta benissimo con il nostro addio e con l’idea che questo comporti una sparizione. Come Baricco in The Game, anche noi potremmo pensare di invertire la domanda: ci occupiamo di far sparire le cose ma mai di farle apparire, perché in fondo ci preoccupiamo di perdere tempo ma mai di guadagnarlo, abbiamo il terrore di perdere spazio ma non ci viene in mente di crearlo. L’apparizione mette in luce; manifesta, tutto qui.

 

 

 

Si tratterebbe quindi di far apparire, di essere osservatori consapevoli, di lasciare che una cosa vada nelle mani di un qualsivoglia dio permettendo semplicemente che ciò accada, poiché è anche questione di non resistere. Perché ci è difficile farlo allora? Perché il nostro dramma è non sapere, non avere le cose sotto controllo. Perché dare a noi stessi l’incarico di fare lo spettatore corrisponde a un delirio. Implica lo stare fermi, fare spazio a ciò che non si sa, essere ricettivi e includere tanto il nero che il bianco senza bisogno di negare una cosa per affermarne un’altra.

Occuparsi di un addio è essere inclusivi insomma, non esclusivi, altrimenti staremmo qui a cercare disperatamente delle spiegazioni e, non ottenendole, andremmo fuori di testa.

Succede nelle opere d’arte: siamo spinti ad osservare, a guardare bene, a essere ricettivi. E il vero significato non sta affatto nella spiegazione dell’opera – non esiste- ma sta nella capacità di ascoltare per sentire cosa ci può dare. Davanti a un quadro, per esempio, è essenziale fare un passo indietro affinché qualcosa accada. Avvicinarsi troppo sarebbe un vero casino, farebbe scomparire completamente la sua visione d’insieme. Da questo punto in poi, in questo articolo, siamo liberi di staccare i radar da ciò che viene e va anche perché, onestamente, siamo capaci di gestire solo ciò che vediamo, quello che ci si presenta davanti, non certo ciò che scompare. Per ritornare al discorso che contempla l’idea di “lasciare a dio” non possiamo fare a meno di prendere in considerazione la parola fede perché, in sé, ci propone di riconnetterci a qualcosa aprendo un legame. E per migliorare la nostra libertà andrei su perdersi : rompere lo schema.

 


Photo by Artem Gavrysh

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