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Russo | La voce

Se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato
Cormac McCarthy

Ho appena sentito una bambina chiamare “papà”, ripetutamente, ma senza ansie, con energica serenità, come chi invita a una nuova scoperta da condividere. La voce proviene dal giardino. D’istinto mi sono precipitato oltre la soglia, in un percorso che dal divano è di circa 7 metri. In quei 7 metri sentivo l’entusiasmo della speranza che quella voce fosse la voce di mia figlia. Una speranza irrazionale e pertanto vana: ho accompagnato mia figlia dalla mamma mezz’ora fa. La chiamerò al telefono stasera come ogni sera, ogni mattina e ogni sera ci scambieremo il buongiorno e la buonanotte con un audio. La rivedrò fra 4 giorni, faremo una caccia al tesoro in giardino, accenderemo la luce dell’acquario per vedere i pesci nuotare tra i relitti della nave, cercheremo un microscopico nuovo nato, mangeremo ciliegie sul divano guardando un film, dandole il bacio della buonanotte le dirò “non ti abbandonerò mai”.
Ho scrutato e osservato tra i rami della siepe: no, non è lei, si tratta di una bambina di poco più piccola, con la carnagione leggermente più scura, i capelli più corti e più scuri, più magra. Gioca in giardino con una paletta di plastica e rivolge lo sguardo ad un balcone del primo piano, chiamando “papà”.

Indossa una maglietta rossa. Non ricordo di aver mai visto mia figlia con una maglietta rossa. Pigiami sì, vestiti, cappotti, ma magliette no. Preferisce in estate colori dalle tonalità pastello: lilla, verde acqua, senape, bianco, giallino, azzurro al limite. Inizia a non chiedere più il rosa, “è da bambine piccole” dice. Del resto anche io ho contribuito probabilmente a questo distacco cromatico del desiderio.

Forse un figlio è una chiamata, un invito alla presenza, penso, che si fa voce, che si fa carne. Come di chi abbia ricevuto in dono una enorme sfera sconosciuta e densa, e inviti chi gli ha fatto quel dono a tuffarcisi dentro insieme a lui: “tu, proprio tu, vieni, porta con te la tua presenza e non abbandonarla mai, anche quando ti sembrerà che io non ne abbia più bisogno”. Ma quella chiamata è unica nella sua assolutezza. Un figlio è proprio quella voce, che ogni giorno diventa più la voce del figlio, sola tra tutte a dare senso. Non è la voce dell’amata, non è la voce della madre, nonostante mi ricordi di essere anche io a mia volta figlio, che conserva dentro di sé l’io bambino. Esiste una asimmetria del sapere forse nella relazione con il figlio. Il padre gli insegna la legge della vita, il figlio insegna al padre la vita stessa che non ha dimenticato, ma che ha disimparato a vivere, nella sua innocenza, nella sua nudità: “sì, ci sono, ci sarò anche quando ti sembrerà di non vedermi, insegnami tutto quello che sai, ascolto la tua voce, ne faccio un inno inviolabile, una preghiera”.


Photo by Devon Daniel

 

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