Saracino | Cielo, il Cielo
Özdemir İnce, poeta turco nato nel 1936 a Mersin, città a sud della Turchia, è senz’altro voce limpida che si spande come luce nelle fibre poetiche del Mediterraneo.
Esiste, prima di tutto, un Mediterraneo inteso come stile, marca identitaria, spazio di condivisione e vita? che si appoggi, si distenda, giaccia su molte delle cose a cui pensiamo, quando cadiamo dolcemente autori della sua rappresentazione? Sì, ed è un Mediterraneo effuso nel paesaggio, nella storia, nei gesti e nei racconti che si tramandano. Persino l’estetica dei modi e delle abitudini ne è coinvolta. Persino il parlare alto, il muoversi vistoso di un corpo o il bagliore “nero” del sole al meriggio. È il Mediterraneo che Camus ha descritto così bene nella raccolta dei suoi Saggi solari. Un mondo sorgente e contrastato, sedimento e piana, oscurità e balenìo, che si affaccia alla poesia e che la poesia stessa porta a compimento cucendo un mantello che simbolicamente lo copre e lo attraversa, dalla Turchia ad Algeri, dall’Egeo a Metaponto, senza fondo, ma in sola profondità. Forse è piaga di sogno o moto di gioia. È eccesso, esubero, intrattenimento generoso. Questa elargizione di vita che lo connota si riflette nelle produzioni poetiche dei suoi abitanti e Özdemir İnce ne fa propria la testimonianza attraverso una raccolta di versi, “cielo, il cielo”, tradotta da Gülbende Kuray Ulusoy, uscita in Italia nel 2012 per la casa editrice Poiesis, da anni attenta e sensibile alle voci più autentiche e sedimentate della storia della letteratura contemporanea.
Autore in versi, ma anche scrittore e giornalista, İnce è personalità di primo piano della cultura turca e anche figura complessa la cui biografia è costellata di molteplici soddisfazioni letterarie ed eventi, inclusi quelli drammatici come l’arresto e l’espatrio per ragioni politiche.
Istanbul, Ankara, Parigi, Roma, le isole greche, Sofia. Sibillini o appariscenti, i luoghi della sua vita sorgono e passano lasciando i semi delle suggestioni che ricreano nel tempo della pronuncia. Una pronuncia vitale, naturale e spontanea, che si inoltra nelle trame di una poesia votata a uno sguardo devoto alle cose del mondo, dalle più piccole alle più grandi, cariche ugualmente di una sostanza di meraviglia che contagia per cristallino e giovane stupore, come se ogni cosa venisse ammirata da sempre per la prima volta. In İnce percepiamo la cosiddetta ispirazione vera, che non corrisponde alla compiaciuta volontà di “fare il poeta”, bensì a una leale vocazione ad “esserlo”. E lo capiamo dalla istintiva tensione che abbraccia i suoi testi così sprovvisti di difese e in marcia sulla terra, sulla primavera, sulla strada, sulla spiaggia, nei paesi, sulle ombre e i drammi, gli amori, le rovine, i mutamenti del cielo, le fortune, i fiori, le feste, la grazia dell’abbandono, i corridoi, i pavimenti delle case, le campagne, gli alberi, i letti del risveglio, i figli, la moglie, la prova del dolore, il battesimo del fuoco dell’estate.
“Sono sumero, ittito, turco, greco, arabo e tanto di più…Perciò sono ricco…Nello stesso tempo sono mediterraneo”, dice il poeta, affermando quella comune ascendenza di cuore e logos che fa combaciare, aderire e distinguere molta della poesia mediterranea.
İnce è autore che crede nella possibilità testamentaria della poesia, la quale può intervenire nelle relazioni tra uomo, società e natura investendo nel presente il ciclico avventurarsi del tempo, rischiarando il passato, profetizzando con fiducia il futuro. Idee e forza morale del vivere, questi elementi sono stati raccolti e riconosciuti in lui: una presa sensuale in compagnia del mondo, affianco alle esperienze che lo validano e lo perpetuano dentro una visione di bellezza, coscienza e integrità spirituale. Una lirica pulita, mai enfatica, a tratti discreta, che vuole sfiorare e non invadere, che si misura nel rispetto verso gli altri ma che pure sfronda ogni compagine di finzione, aliena il torpore, smaschera il falso.
Un ricordo
Da un certo punto di vista è una cosa naturale:
apri la porta, c’è il fumo dentro,
piatti, forchette, coltelli, discorsi,
per un attimo tutto sta sospeso per aria,
e poi c’è uno sguardo, tra le edere.
Ieri sera era là, ecco, era di fronte a me,
con la schiena contro il muro, con le gambe allungate.
Istanbul, 17/5/1980
La lettura a me stesso
Almeno prendi come esempio i salmoni,
dopo cinque anni di avventura nei mari,
litigano e tornano al lago dove sono nati;
per riprodursi e morire maschi e femmine,
contro le barriere d’acqua e sassi,
contro le correnti invalicabili; pensa alla loro resistenza
contro i numerosi nemici, e alla forza
che piega i loro istinti a tornare.
Vieni, anche noi torniamo ora alla nostra terra
seguendo i pollini, le vie che l’hanno aperte,
ma non per morire, per vivere e per scrivere,
per raccontare la melacotogna che sorride e il melograno che lacrima.
Meglio quando è puro
Una poesia, sequestrata dai fiori,
una poesia, cauterizzata alle labbra, stracciata,
una poesia, sulla punta della forca.
Così si prova ormai tra di noi,
Così si prova l’invincibilità.
L’oscurarsi delle acque
Stabilisci un intervallo tra due dolori,
sta affondando il delta della giovinezza.
Mi sono inchinato,
ho guardato il tuo corpo che apre il mare,
è iniziato a diventare secco
a partire dalle unghie,
la linfa della mano destra è avvizzita.
Hai sempre taciuto,
non è stato aperto il sigillo della tua bocca,
nessuno sa che cosa è passato
tra te e
il settembre offeso
Ankara, 30/5/1981
Mi ricordo del nostro incontro,
per la prima volta a Karlovassi Vecchio,
c’era una luna enorme, mi ricordo,
si scioglieva in un cielo estivo:
Un incontro del Venire e dell’Andare
Del Prendere e del Dare
un incontro della Morte con la Morte
un incontro della Vita con la Vita
All’Improvviso e Mai!
Nelle altre lingue che gli uomini parlano
la chiamano anche eternità.
La piccola selezione di testi è tratta dalla raccolta “cielo, il cielo” tradotta da Gülbende Kuray Ulusoy. Diwan della poesia, Poiesis 2012.
Featured Image by Kenrick Mills