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Saracino | Diario Mediterraneo

Esiste un Mediterraneo segreto. Si annida e si conserva tra le fessure dei muri, al precipizio dei rampicanti di bouganville sui silenzi del pomeriggio. Questo Mediterraneo è minuscolo, appartato, inflitto nelle costole della pietra, fatto servo di apparizioni di cui incredibilmente poi sa divenire sovrano. È un Mediterraneo che pertiene alla sensualità, alla duttilità, alla benevolenza del cuore che vaga, sacrificando se stesso, ascendendo, in immagini e forme, ad esclusiva degli altri. Come una sorta di morte anteriore che si consuma al caldo maturo del futuro.

È un Mediterraneo insospettabile: luminoso e oscuro; perenne e incantato; terra e granaio di fiaba; ancestrale ossessione per chi ama. Ha l’insolenza della giovinezza orientata dallo sguardo: fa incetta di immagini che, un giorno, solleveranno il velo dell’imbarazzo e finalmente si racconteranno.

Alessandro Celani, poeta e storico dell’arte, riesce a coglierlo in “Diario mediterraneo” (Morlacchi 2009), una narrazione poetica e fotografica che attraversa i luoghi e al contempo le età della vita, come se esistesse una profonda adesione tra gli anni e lo spazio abitato fuggevolmente. Del viandare, del viaggio, del passaggio: un resoconto diaristico da sfogliare con la lentezza della sequenza o da aprire nella casualità dell’istinto: un’avventura del reale e del sogno, della misura e dello sconfinamento, del visibile e dell’invisibile. Grecia, Italia centrale e meridionale, Spagna, città ed isole più o meno note al poeta, qui sono raffigurate in un album fotografico e lirico attraverso la geografia spaesante del sentimento.

L’autore, che purtroppo ha lasciato precocemente questo mondo, nella postfazione esprime al lettore la bellezza e l’identità della sua voce ancora nitida e presente. Spiega quando sono nate le raccolte e le fotografie contenute nel libro, come si sono evoluti i versi nel tempo e quanto abbiano condizionato la prospettiva dello sguardo: dall’adolescenza all’adultità – uno stare tra le terre, appunto – fino all’approdo alla sezione intitolata Casa: il sud descritto da Celani è ancora una volta un’idea di estremità, di marginalizzazione del cuore che sforza sé stesso per imprimersi in un’ansia preculturale dove l’origine dei paesaggi e degli stati d’animo è talmente correlata da stabilire legami spontanei tra le persone, le cose e i periodi della vita.

“Ritorno al mio mondo avanti Cristo in cui è dolce prefigurare decadenze e tu sei di nuovo l’offerente colma di primizie/ la colazione bianca nel vento di fine primavera appena svelata dalle tue mani”. Cipro, Andros, Milos, Paestum, Lipari, Libia, Tangeri, Lecce, Otranto, Roma, Madrid, il calco di un’inattualità discreta ma pure eccedente e generosa connota le parole pellegrinanti sul palmo aperto di un Mediterraneo che non arretra di fronte alla possibilità di nominare la passione dell’osservazione, della ricerca. Le fotografie, bellissime, sono tutt’altro che di sottofondo. Direi anzi che spiccano per sovrintendere a un fine di ricchezza e sottolineatura. Alcune ritraggono paesaggi aperti, larghi, ampi; altre si soffermano con dovizia di particolari sugli scambi tra le luci e le ombre, i dettagli, i microscopici tagli, le crepe, le fenditure, la materia, il corpo del passo, l’incisione, le linee, le geometrie dei muri, gli oggetti del quotidiano. Lo dice Celani stesso in postfazione: “Mi piacciono le luci e le ombre, i particolari e i dettagli, la vita segreta delle cose inanimate”. Il Mediterraneo è anche questo saper vedere dentro agli interstizi, dove scomodamente attendono le vie della sorte: seguirle, non arrancare, non desistere. Andare oltre le facili compassioni, penetrare, “indagare qualcosa dell’anima”. Molti scrittori hanno codificato questa esistenza terrena del piccolo, del desueto, dell’ impossibile pulviscolare. Di solito, sono stati anche scrittori di fiabe, genere per eccellenza vocato a un percorso di formazione. E, di fatto, Celani è una persona eletta, che qui amiamo ricordare e omaggiare: sensibile, viaggiatore, archivia l’inchiesta sulla bellezza, la lascia in eredità.

“Nonostante i giardini luminosi di Benozzo la primavera si adagia su di noi senza perfezione hai suddiviso il passato in latitudini e longitudini una volta per tutte eppure qualcosa di incompiuto in esso continua a migrare piccole chiese azzurre in volo da sud i tigli che profumano di umano e la pelle lucida come l’alloro che di nuovo attende il richiamo”


 

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