Schiattarella | Napoli Milionaria
È la Napoli dei disperati che vivono in abitazioni che non sono case, ma “sfogliatelle” mangiate dai bombardamenti. È la Napoli che combatte la seconda guerra mondiale e la sua atavica miseria. È la Napoli desiderosa di sopravvivere ad ogni costo. Ad ogni costo. Perché tutto ha un prezzo e Amalia lo sa bene. Moglie di un tranviere disoccupato, madre di tre figli, ha un solo scopo: portare il piatto a tavola. E non importa se per farlo deve ricorrere alla borsa nera, accaparrarsi prodotti introvabili (farina, carne, uova…) e rivenderli a prezzi esorbitanti perché “A guerra è guerra, Gennà”. Ma Gennaro Jovine ha già compreso che la loro, non è più la guerra dei potenti, ma quella combattuta dai poveracci, dalle “vasciaiole”, come la moglie e la sua vicina, concorrente nel contrabbando, impegnate quotidianamente a contestarsi, nel vicolo, il prezzo di una tazza di caffè che la prima vorrebbe vendere a 3 lire mentre la seconda a sole 2 lire e mezzo. È il primo atto della commedia teatrale e il commento dell’uomo, alias Eduardo de Filippo, “Il Caffè Italia fa concorrenza al Gambrinus!” lascia ancora spazio ad una risata liberatoria. Ma quella amara non tarda ad arrivare perché Amalia sta per superare il confine tra bene e male, tra il desiderio di mettere un piatto a tavola e la brama di denaro: inizia a dissanguare il povero ragioniere Spasiano rivoltosi a lei per comprare, a caro prezzo, qualche alimento per la famiglia.
Gennaro spera ancora che quello aperto possa intravedere il limite da non superare e, a malincuore, chiude un occhio, anzi entrambi quando arriva a fingersi morto pur di non far scoprire al brigadiere Ciappa, giunto per arrestarlo, la merce nascosta sotto al letto. È l’ultima scena prima della sua partenza per il fronte, a combattere la guerra dei potenti che lo porterà lontano da quella personale, da quella famiglia che in sua assenza andrà completamente alla deriva. Al suo ritorno, dietro il lusso ostentato e l’apparente serenità, il reduce non tarderà a riconoscere il prezzo pagato dai suoi cari per aver venduto il loro bene più grande: l’onestà.
La moglie, impegnata nei suoi traffici col suo socio d’affari -e non solo- , Errico “Settebellizze”, non ha tempo per occuparsi dei suoi figli e così Maria Rosaria resta incinta di un soldato statunitense che la lascia per rientrare in patria mentre Amedeo ruba pneumatici.
Intanto “La guerra è finita” continuano a ripetere le molteplici comparse, saltellando nel secondo atto sulle macerie di una famiglia, come in preda ad una follia collettiva. In realtà ad esser finita è solo la commedia teatrale che lascia il posto, nel terzo atto, a quella umana e non siamo più né a Napoli né nel dopoguerra perché quella umana è senza luogo e senza tempo.
Il cambiamento di prospettiva ci è offerto proprio dalla protagonista femminile, Amalia, che, di fronte alla malattia della figlia più piccola, si risveglia dal sonno della ragione. La vita la sta ripagando con la stessa moneta: l’unica cura è una medicina introvabile, quasi certamente nascosta dagli interessi del mercato nero. E il salvatore sarà un generoso ragionier Spasiano, quel ragionier Spasiano, affamato nel momento del bisogno proprio dalla stessa Amalia.
“Ch’è ssuccieso?!” Continuerà a ripetere la donna, aspettando, sperando, come ha detto il dottore, che il rimedio faccia effetto durante la notte.
“‘Cosa ci è successo? Come siamo arrivati a questo punto?” Intende con la sua litania. E la risposta del capofamiglia arriva “ ‘A guerra, Ama’!”
Prima di tutto, esordisce il marito, la guerra che di certo non ha voluto lei e di cui non ha colpa, ma, in secondo luogo, le “carte di mille lire”, i soldi:
”…’e ccarte ‘e mille lire fanno perdere ‘a capa… Tu [Amalia] ll’he’ accuminciate a vede’ a poco ’a vota, po’ cchiù assaie, po’ cientomila, po’ nu milione… E nun he’ capito niente cchiù […] A me, vedenno tutta sta quantità ’e carte ’e mille lire me pare nu scherzo, me pare na pazzia… (Fa scivolare i biglietti di banca sul tavolo sotto gli occhi della moglie) Tiene mente, Ama’ : io ’e ttocco e nun me sbatte ’o core… E ’o core ha da sbattere quanno se toccano ’e ccarte ’e mille lire…”
Il peccato di Amalia è quello di aver ceduto al fascino dei soldi, restando indifferente alla sofferenza che la circondava, di aver creduto che fosse possibile comprare la felicità. La propria felicità a scapito di quella altrui.
“Come si rimedia a tutto questo?” Sembrano chiedere i suoi occhi imploranti mentre la sua bocca tace.
“Come ha detto il dottore” fa rispondere il grande Eduardo ad un fiducioso Gennaro “S’ha da aspetta’, Ama’. Ha da passà ’a nuttata.” Consapevole che anche la notte dell’anima, prima o poi, passa.
Photo by Sam van Bussel