Giarrano | Il silenzio
Tre quadri, tre vite, degli oggetti.
Una donna nell’angolo della cucina, sospesa.
Eppure qualcosa di più grande gira tra gli angoli e sulle scene, come un viso solo apparentemente ferito che cerca di ricucire le proprie ferite per farne una storia. Storia unica e storia che si ripiegasopra altre storie. Storia che si sgualcisce, si strappa, ritorna e si impone, si inalbera, si accovaccia, si spegne. Storia che plana delicatamente tra i colori, le sfumature, i mezzi toni, incespica negli spazi dove il colore è più spesso, in quelle isole felici dove si aggruma la luce e abbaglia, si chinacuriosa alla ricerca delle impronte lasciate sulla bachelite nera, tra i numeri del disco, per poi cedere all’impossibile soluzione del geroglifico e scostando la testa, riprende il cammino.
Se qui c’è silenzio è un silenzio che si auto esclude, si mette da parte, si annienta. È il silenzio delle vite che scorrono impersonali o frante, della giovinezza in stallo o delle parole dette a bassa voce. È il silenzio caparbio e risoluto che affronta le lamentele e i dolori, i muri crollati e le fatiche, il rancore e la debole consapevolezza di un’altra, possibile, vita. Ma quando tutto questo finisce e il vento termina di urlare, il silenzio ritorna con le proprie fattezze e il clamore si attenua.
L’aria si appesantisce e inizia a costruire la nostra solitudine: il luogo della nostra redenzione e del nostro peccato. L’unico luogo dove nessuno può accostarsi, chiamarci, consigliarci o pregare per noi. È un silenzio che è meno del proprio silenzio e di più della somma dei colori.
È un silenzio che passa sui muri sporchi, sui visi chiusi o assorti, o sulle pieghe dei vestiti. È il silenzio che fa i conti con tutto ciò che lo tocca, con le proprie paure, gli sbagli, la luce che non serba che il nulla e il buio che ritratta la propria regione indifferente.
È un silenzio deturpato che ci parla da un’altra realtà. O da un altrove sconosciuto. Un cumulo di roba lasciata a rovinarsi in mezzo a una strada. “Cosa”, detriti o mole di rifiuti che rubano la presenza dalle scene, innescando un terremoto che apre la falla della presenza. Una fessura o una crepa dalla quale si capisce che la realtà non tornerà mai più.
Nel suo essere capace di attesa e oblio, in questo potere di dissimulazione che cancella ogni significato determinato e l’esistenza stessa di colui che parla, in questa neutralità grigia che forma il nascondiglio essenziale di ogni essere e che libera così lo spazio dell’immagine, questo silenzio, questa roba ammassata, queste macerie o rifiuti, non sono né la verità né il tempo, né l’eternità né l’uomo, ma il segno di uno strappo: il fondo mostruosamente aperto sul proprio fondo, cioè sul rovescio senza fondo della sua presentazione.
Featured Paintings by Vincent Giarrano. @vgiarrano