Gullotta | Why do you call me bad?
5 anni prima
14 anni e una faccia senza pathos. Avevo provato a farmi crescere le occhiaie ma queste non crescevano. Cos’è quello schifo? Mi truccavo parecchio, avevo tutti amici intorno alla maggiore età. Una ragazza, K., mi accompagnò in un locale nuovo in centro sotto la sede di un Rione. Si sentivano gli sbandieratori su in alto. (Qualche anno dopo lo chiusero per droga, ma secondo me era un pretesto). Le stanze erano divise da tende di carta come mucchi di velina colorata ma più pesanti e trafitti da spilli di luce. Mi muovevo attraverso un forte mal di gola. Presi la consumazione gratuita. Uscita dall’ultima tenda con K. trovai 50 chiamate sul cellulare. Avevo detto a casa che non c’era campo. Ormai hai 30 anni, ne mancano solo 16, come fai a essere così fuori di testa? Mangiava i cracker e sputacchiava con la sua divisa da madre. Sei troppo piccola per arrivarci con la tua stupidità, sei manipolabile. Dovevo lavorare. Ma era difficile così pensai che c’era ancora tempo. Avevo fatto lo stage scuola-lavoro: tutto il giorno licenze di caccia e pesca, mi ferivo la delicata pelle delle mani nell’archivio, mi si era incastrata la gonna in una fotocopiatrice mostrando il sedere. Ma guadagnai 500 euro. Lavorai l’ultimo anno per un quotidiano locale; il mio capo era una folle. Sbucava dietro la colonna del negozio dell’estetista ridendo come Jocker. A volte mi abbracciava o mi chiamava a casa urlando di scrivere i pezzi dimenticandosi-che-andavo-a-scuola. Finché un giorno che il cielo si fece a ferro e fuoco come una fornace mi spaventai molto. Chiesi perdono ma non potevo continuare così. Decisi che dovevo trasferirmi da qualcuno. Qualcuno si doveva poi occupare di me. Iniziai su internet un’intensa selezione. Lavoro, hobby, età, gusti artistici. Scremavo, facevo domande a trabocchetto, alcuni passavano, altri bene, grazie, le faremo sapere. Dopo il diploma avrei assegnato il contratto a tempo indeterminato. Decisi di tingermi tutta di biondo prendendo spunto dal film su una spia della Seconda Guerra Mondiale. Sei una manipolatrice, diceva lei mentre guardava il telegiornale.
Cucina
Tornavo a mezzanotte circa dalla lezione alla scuola di teatro salendo sull’ultimo autobus in via Rizzoli che di notte era così pulita e borghese con i barboni più ordinati del mondo e drogati troppo stanchi per drogarsi. Ogni mese una persona mi faceva la spesa: prevalentemente salumi, brie e formaggi tondi, un po’ di pasta, latte e uova. Almeno non dovevo buttare i babybel ai cani ma dovevo decidere come spendere i due euro e 50 per il mio nutrimento giornaliero. I miei organi erano molto giovani perciò non si accorsero di nulla. C’era una bella credenza ma non era la mia. Lo avrei voluto. Avete presente i negozi di arredamento. La luce della lampada a quegli orari era bassa e alcolica. Giallo limoncello. Generalmente preparavo le uova al tegamino con un the caldo come i lords e le ladies. Il the gentilmente offerto. Prendevo 3 autobus la mattina per comprare alla Pam queste benedette uova. Avevo capito che nei negozi pakistani si spendeva molto, purtroppo siamo immersi nei nostri pregiudizi. Da loro amavo particolarmente i wurstel, che mordevo crudi, e potevo permettermi lo sfizio delle verdure, tipo la tenera carne del finocchio. Altrove, presi quasi uno schiaffo per aver comprato una bottiglia di vino rosso da loro. Ma era appunto altrove, un’altra città, altri margini di colpevolezza.
Hotel
Questo era un hotel con un bagno in mezzo al corridoio del primo piano e uno in mezzo al corridoio del secondo piano. Entrambi grigi. Al piano terra stava la reception. Per prima cosa guardai le lenzuola perché di solito nelle lenzuola stanno le blatte o quei piccoli insettini. Oppure sono viscide lo stesso, per loro inclinazione. Scelsi la coperta di eccelso ricamo floreale. In attesa che arrivasse, controllai il telefono e misi i vestiti sul letto. Minigonna tartan e calze nere sottili con sopra body a maniche lunghe o pantaloni eleganti neri con sopra top corto. Giravano molte auto puzzolenti anche se la finestra era affacciata su una strada secondaria. Non l’avrei mai data vinta alle macchine. Ero gelosa. La patente nuova poteva marcire nel portafoglio. Le macchine si credono chissà-chi solo perché ti possono portare in giro. Ti strappano i genitori, ti strappano i figli. Ti costringono a pensare per ore a cose accompagnate da musica su cui è meglio non pensare. Dietro ogni porta un occhio allergico rosso sangue piangeva e piangeva e si staccava violentemente da terra come un palloncino. Contai i soldi anche se sapevo che avrebbero contribuito. Volevo ben vedere. Ero molto tranquilla. Baby, com’è tenera la luce. Mi accarezzai la schiena. Qualcosa mi spettava. Perché mi ritieni cattivo? Disse il denaro nell’incavo dei miei piedi; lo sai, come proiezione di desiderio e di disprezzo. “Non voglio essere una proiezione”. Era inizio dicembre.
Hotel (Eng)
That was a hotel with a lonely bathroom in the middle of the first floor and another in the middle of the second floor. Both grey. At the ground floor there was the reception. First I looked at the sheets because usually in the sheets there are cockroaches and other small insects. In any case, the sheets are slimy, cause of their own inclination. I chose the embroidered flower blanket. Waiting, I had a look at the phone, then I put my outfits on the blanket. Tartan mini skirt and thin black stockings with a leotard or elegant trousers with a long sleeves crop top. Outside, there were many cars although we stayed on a secondary road. I would never have given it to cars. I was jealous. My new drive licence was dying in my wallet. Cars are arrogant because they bring you here and there. They tear you away your parents. They tear you away your children. They force you to think about strange things, lulled by music. Behind each door a bloody allergic red eye was crying and crying breaking away from the ground like a balloon. I counted the money, but I knew that they would have helped. No worries. I was really calm. Baby, how tender is the light. I caressed my back. There was something in store for me. Why do you call me bad? Said the money, between my feet; you know, as a projection of disdain and desire. “I don’t want to be a projection”. It was the beginning of December.
Photo by Carlos Arthur M.R